“Filosofia, filologia e scienza in età ellenistica” a cura di Max Bergamo e Raffaele Tondini

Dott.ri Max Bergamo e Raffaele Tondini, Voi avete curato l’edizione del libro Filosofia, filologia e scienza in età ellenistica pubblicato da Ledizioni: da dove nasce l’esigenza di affrontare l’Ellenismo in chiave interdisciplinare?
Filosofia, filologia e scienza in età ellenistica, Max Bergamo, Raffaele TondiniL’esigenza di adottare un metodo interdisciplinare per lo studio dell’Ellenismo deriva, potremmo dire, dallo stesso oggetto di studio: si tratta, infatti, di un periodo che non era ancora caratterizzato dalla netta divisione tra discipline e saperi propria del mondo contemporaneo. Lo scopo principale del volume è, in effetti, quello di far emergere le convergenze e le ibridazioni tra diversi ambiti del sapere che si possono rintracciare nell’età ellenistica, in modo da poter così recuperare una visione unitaria in assenza della quale il periodo in questione rischia di restare, per molti aspetti, lettera morta per i lettori e gli studiosi di oggi.

Studiare l’Ellenismo significa, inoltre, percorrere a ritroso il cammino che ha portato alla creazione e alla definizione di molte delle discipline specifiche che ci sono oramai familiari, come ad esempio le cosiddette “scienze esatte” (matematica, geometrica, meccanica etc.) ma anche settori come la grammatica e la filologia. Tornare all’origine di questo sviluppo permette non solo di ricostruire la concezione ellenistica di questi campi del sapere ma anche di apprezzare i legami, spesso molto stretti e – ai nostri occhi – talora insospettati, che li legavano tra loro.

Questo è il caso, ad esempio, della filosofia, che rivestiva un ruolo di fondamentale importanza nel periodo in esame e che poteva quindi dire la sua, in una maniera che oggi sarebbe probabilmente impensabile, su una serie di aspetti appartenenti, dal punto di vista di noi moderni, a “discipline” quali – per citarne solo alcune – matematica e geometrica, medicina, fisica e astronomia. Lo stesso principio vale, naturalmente, per tutti gli altri ambiti del sapere sorti nel corso dell’età ellenistica: risulta, così, di fatto impossibile comprendere le scelte metodologiche di un Euclide se non teniamo debitamente conto delle discussioni filosofiche sullo statuto degli enti geometrici, o apprezzare l’eredità della speculazione aristotelica se non esaminiamo parallelamente la strumentazione bibliografica messa a punto da Callimaco con i pinakes.

In che modo la figura di Eratostene di Cirene testimonia un approccio non settoriale alla conoscenza in epoca ellenistica?
Eratostene di Cirene (ca. 275-194 a.C.) fu il terzo bibliotecario di Alessandria e fu precettore del futuro re Tolomeo IV. Un bell’aneddoto è utile per capire quanto i suoi interessi fossero eclettici, anche agli occhi dei suoi contemporanei. Si racconta infatti che Eratostene fosse soprannominato Beta (la seconda lettera dell’alfabeto greco) poiché era l’eterno secondo in tutte le discipline. Egli compose poemi encomiastici per la corte tolemaica ma i suoi interessi furono culturali in senso lato: Eratostene si occupò di filosofia, storia, filologia, astronomia e matematica.

La sua fama imperitura si deve però al trattato Sulla misurazione della Terra, in cui descriveva il celebre metodo geometrico per calcolare il diametro della Terra, impresa che gli riuscì con un errore inferiore all’1%. Noi possediamo solo imprecisi riassunti del metodo seguito da Eratostene ma possiamo essere certi che il suo calcolo non sarebbe stato possibile senza l’applicazione della geografia matematica ai dati raccolti dalla burocrazia del regno tolemaico a fini agricoli e fiscali. È probabile che egli stesso abbia disegnato la mappa dell’Egitto che utilizzò per i suoi calcoli.

Come gli altri bibliotecari di Alessandria, Eratostene non poteva certo trascurare gli studi letterari. Nel nostro volume abbiamo infatti pubblicato un saggio in cui Federica Benuzzi mette in luce come gli interessi scientifici di Eratostene abbiano contribuito in modo non secondario alla sua attività filologica ed esegetica sulle opere di Aristofane. I frammenti del suo trattato Sulla commedia antica mostrano in due modi la forma mentis scientifica di Eratostene. Da un lato egli applicò nozioni di medicina e zoologia alla spiegazione di passi oscuri di Aristofane; d’altro canto l’Eratostene filologo operò, per così dire, con metodo scientifico mettendo in proporzione tra loro fenomeni linguistici e letterari simili.

Insomma, in Eratostene la varietà degli interessi culturali non fu solo un vezzo da erudito ma rappresentò la cifra ultima del suo lavoro scientifico e letterario.

Per quali ragioni possiamo considerare Diogene di Babilonia una figura emblematica dell’Ellenismo?
Il filosofo stoico Diogene di Babilonia può essere considerato come emblematico dell’Ellenismo non solo per il dinamismo della sua carriera, che lo portò dalle rive del Tigri prima ad Atene e poi in ambasceria a Roma (155 a.C.), dove si fece portavoce delle dottrine della sua Scuola, ma anche – e soprattutto – per la notevolissima estensione dei suoi interessi. Egli ci risulta, infatti, essersi occupato di un numero particolarmente ampio di “discipline”, che erano da lui considerate alla stregua di diverse forme ed articolazioni dello stesso sapere filosofico: non si interessò soltanto ai classici settori dottrinali della filosofia stoica (fisica, logica ed etica) ma anche ad ambiti particolari come la musica, la retorica e la filosofia politica.

Nel contributo dedicato a Diogene di Babilonia che si trova nel nostro volume, Max Bergamo si concentra, in primo luogo, sugli studi filologico-letterari del filosofo stoico. Un’analisi di questi studi permette, infatti, di sottolineare la fondamentale importanza di un filone molto produttivo dell’esegesi antica: l’interpretazione allegorica, che permette a Diogene di sviluppare una lettura dell’episodio mitico della nascita di Atena dalla testa di Zeus che fornisce credito e sostegno al cruciale concetto stoico di logos. In secondo luogo, sono le riflessioni dedicate alla psicologia e alla fisiologia – strettamente legate, a loro volta, alla linguistica – ad essere prese in esame. Diogene di Babilonia si avvale di argomentazioni tratte da questi vari campi del sapere al fine di stabilite la localizzazione corporea – nel cuore – della parte direttiva dell’anima. In questo contesto, egli fa leva, ancora una volta, sul concetto di logos, che si rivela in questo senso essere al cuore di un tentativo filosofico ed esegetico unitario.

Più in generale, il caso di Diogene di Babilonia costituisce un eccellente osservatorio per quanto riguarda l’integrazione di saperi particolari, in età ellenistica, all’interno di un edificio teoretico sistematico e in sé conchiuso – nella fattispecie, all’interno della filosofia della Stoa. Esso mette in luce, inoltre, il primato storico ed evolutivo della filosofia rispetto a una serie di campi dottrinali che avrebbero progressivamente acquistato, nel corso dell’Ellenismo, una fisionomia autonoma e specifica.

Come si è articolato il processo che ha portato a riconoscere uno spazio di legittimazione alla scienza antica nell’ambito degli studi di filologia classica?
Il processo che ha finalmente condotto a una legittimazione della scienza antica nell’ambito degli studi di filologia classica è stato contraddistinto da una non trascurabile difficoltà. Particolarmente sintomatico della complessità di questo percorso è il fatto che colui che è considerato come l’inventore della nozione di Ellenismo, Johann Gustav Droysen, sembra completamente ignorare, nelle sue opere, la scienza ellenistica. Indubbiamente significativa è, in questo senso, la paradossale affermazione secondo la quale la filosofia si sarebbe, a suo dire, opposta al progresso scientifico.

La discussione intorno ai limiti e alla portata della scienza dell’antichità (Altertumswissenschaft), sviluppatasi in maniera significativa nel corso dell’Ottocento, ha tuttavia permesso, come mostra Luciano Bossina nel saggio che apre il nostro volume, di assegnare alle scienze un ruolo di maggiore importanza nel quadro degli studi sull’Ellenismo. Preludio a questa fondamentale rivalutazione furono gli sforzi sistematici ed enciclopedici di Friedrich August Wolf e di August Boeckh, dai quali traspare la necessità di una comprensione integrale delle civiltà antiche, non più limitata allo studio esclusivo dei grandi monumenti letterari. Sarà, poi, con le ulteriori riflessioni di Ulrich von Wilamowitz-Moellendorff e di Eduard Schwartz che la scienza ellenistica acquisterà un notevole risalto sia da un punto di vista didattico che da un punto di vista politico e sociale.

Il recupero e la valorizzazione della scienza antica vanno, infatti, di pari passo con la militanza di stampo nazionalistico di Wilamowitz e Schwartz, cosicché ripercorrere il cammino che ha portato alla legittimazione degli aspetti “scientifici” dell’Ellenismo significa, allo stesso tempo, riconoscere la pulsione universalistica che la cultura tedesca dell’epoca vedeva all’opera nell’era del dominio greco sul mondo e nella quale finiva, con malcelato orgoglio, per immedesimarsi.

Oggi, al di là della benvenuta assenza di tali estremismi, il rischio è quello che gli studiosi del mondo antico ignorino – con poche eccezioni – il grande sviluppo delle scienze esatte in età ellenistica. Da questo punto di vista, il nostro volume ha l’obiettivo di opporsi con decisione a un simile sviluppo e di proseguire e incoraggiare, al contrario, lo studio della scienza ellenistica.

Cosa rappresentò, per la storia del pensiero, la nascita della filologia alessandrina?
Per valutare la nascita della filologia alessandrina dobbiamo tenere a mente tra aspetti: quello politico, quello storico-culturale e, infine, quello che potremmo quasi definire filosofico.

Sul piano politico la Biblioteca di Alessandria rappresentava un grande elemento di prestigio politico. Abbiamo notizia del fatto che, per arricchire la loro collezione libraria, i Tolomei obbligassero tutte le navi che sbarcavano ad Alessandria a lasciare alla Biblioteca i libri che trasportavano, ricevendone in cambio soltanto delle copie. Per mettere a frutto questa imponente raccolta libraria i primi Tolomei assunsero il personale più qualificato e finanziarono la ricerca di base scientifica e letteraria che si svolgeva nel Museo, il tempio delle Muse che conteneva la Biblioteca.

Sul piano storico-culturale dobbiamo ricordare che la cultura ellenistica si nutrì dei frutti che le epoche arcaica e classica avevano prodotto in Grecia. Ad Alessandria confluirono una miriade di opere di poesia, storia e filosofia. Quando i bibliotecari di Alessandria disponevano di due o più esemplari della stessa opera, possiamo star certi che quelle copie manoscritte non potevano essere identiche: il processo di copia a mano causava necessariamente un gran numero di differenze che potevano mettere in crisi gli studiosi di letteratura.

È in questo contesto che nacque la filologia ellenistica e che si verificò quella rivoluzione di pensiero di cui parlavamo. Nel nostro volume abbiamo pubblicato un saggio in cui Franco Montanari, assoluta autorità nel settore, ricostruisce come, davanti alla difformità tra diverse copie dei poemi omerici, i bibliotecari di Alessandria allestirono edizioni in cui le differenze erano segnalate da particolari segni e scrissero commenti per spiegare le loro scelte. Montanari ha il merito di sottolineare la portata filosofica di questo passaggio: le edizioni alessandrine presuppongono infatti un passaggio mentale tra singola copia di un’opera e testo in sé. La nuova filologia non voleva solo correggere una copia ma ricostruire il testo in quanto tale. Possiamo dire che, tra copia e testo, sussiste lo stesso rapporto che intercorre tra un triangolo disegnato su un foglio e il triangolo che Euclide costruisce in un suo teorema.

Per concludere possiamo tranquillamente dire che anche la filologia ellenistica giocò un ruolo importante nello sviluppo della civiltà occidentale: pensare filologicamente significa, da un lato, essere consci della storia culturale che ci precede; dall’altro implica uno sforzo di astrazione che ben si inserisce nel contesto della civiltà scientifica che fiorì in epoca ellenistica.

Che importanza ebbe, per la storia greco-romana, il biennio 146-145 a.C.?
Il 146-145 a.C. non è una di quelle date che si imparano a scuola. I manuali di storia delimitano infatti l’Ellenismo tra due eventi politici, ossia la morte di Alessandro Magno (323 a.C.) e la conquista romana dell’Egitto (31 a.C.): tra questi due estremi si sviluppa la parabola, prima ascendente e poi discendente, dei regni ellenistici.

Lucio Russo, da storico della scienza, preferisce individuare come discrimine storico il punto più alto di questa parabola ossia quel biennio 146-145 a.C. in cui Roma si impadronì di fatto del bacino del Mediterraneo, distrusse Corinto, Cartagine e Numanzia e rese l’Egitto un regno vassallo. Nel saggio che abbiamo pubblicato Russo riassume la tesi fondamentale del suo ultimo libro (L. Russo, Il tracollo culturale. La conquista romana del Mediterraneo: 146-145 a.C., Roma 2022): i rivolgimenti politici della metà del II secolo a.C. causarono un regresso cultuale dovuto alla fine di una civiltà scientifica basata sul metodo sperimentale e assiomatico-dimostrativo e sul convenzionalismo linguistico. La fine delle istituzioni cultuali finanziate dai monarchi ellenistici interruppe la catena di trasmissione del sapere tra maestri e allievi e impedì ai Romani di comprendere il vero valore della scienza (ma anche della filosofia!) ellenistica.

Questa è una tesi provocatoria che ha già innescato vivaci dibattiti sulla stampa: è comprensibile come un medievista come Alessandro Barbero si sia sentito punto nel vivo da una visione che rischia di estendere l’infamante marchio di “età oscura” non solo al Medioevo ma anche all’intero periodo imperiale romana! Anche per questa ragione le tesi di Russo vanno valutate con serietà e obbiettività. Esse mettono radicalmente in discussione la nostra positivistica fiducia in un indefinito progresso della scienza e ci offrono una diversa chiave di lettura della storia greca e romana. Chissà se, in un futuro non troppo remoto, il 146-145 a.C. diventerà una di quelle date che tutti imparano a scuola!

Max Bergamo, ex allievo della Scuola Galileiana di Studi Superiori di Padova, è attualmente postdoc presso la Ludwig-Maximilians-Universität München e l’École Pratique des Hautes Études di Parigi. Ha studiato filologia classica a Padova e filosofia a Monaco, dove ha conseguito il dottorato in cotutela con Sorbonne Université. I suoi interessi di ricerca si rivolgono alla filosofia antica – in particolare a Eraclito e alle tradizioni stoica e neoplatonica –, al ruolo dell’eredità greca nel mondo islamico, al pensiero e all’attività filologica del primo Nietzsche e alla storia della filologia classica più in generale.

Raffaele Tondini, già allievo della Scuola Galileiana di Studi Superiori, ha studiato filologia classica all’Università di Padova dove ha conseguito il dottorato e svolge attività di ricerca e insegnamento. Il suo principale interesse è la letteratura cristiana antica, con particolare attenzione all’edizione di testi e alle interazioni tra grammatica antica ed esegesi biblica. Altri campi di ricerca da lui praticati sono il teatro attico di V sec. e la storia della filologia classica nel XX sec.

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