
Quale statuto filosofico per discipline come management, economia e scienza della politica?
Ecco il punto: tutte le discipline che studiano la governance e l’amministrazione pubblica – come il management, che ci insegna come affrontare problemi di gestione delle risorse e funzionamento dei sistemi amministrative pubblici, la scienza della politica, che ci permette di inquadrare la pubblica amministrazione nelle sue complesse relazioni con il sistema politico, o l’economia che collega governance pubblica e analisi macro-economica delle risorse del settore pubblico – sono scienze “moderne” dotate certamente di un loro autonomo ambito di investigazione e metodi di ricerca, ma contengono anche un “residuo filosofico” irriducibile.
Ad esempio, l’economia non si è mai completamente sconnessa dalla filosofia morale, dalla quale deriva, o la scienza politica dalla filosofia politica.
A maggior ragione lo studio della governance pubblica, che è interdisciplinare e applica in modo congiunto diverse discipline – oltre ad economia, management e scienza politica, anche la sociologia, il diritto, la psicologia sociale, la storiografia, ecc. – non può né deve liberarsi dal suo residuo filosofico. Al contrario: deve adottarlo e svilupparne pienamente le implicazioni. Possiamo forse parlare del rapporto fra Stato e cittadini senza la filosofia politica? O della discrezionalità della burocrazia senza discutere questioni di fondo sulla natura e la libertà umana?
In che modo la filosofia politica risolve la questione della legittimazione della governance pubblica?
Negli ultimi decenni, non solo in Italia ma in tutto il mondo, sono state effettuate, o perlomeno tentate, riforme su riforme del settore pubblico, seguendo prescrizioni e ricette di volta in volta “managerialiste” o “partecipatorie” od altro – ma raramente si è posta in questione quale era la logica di fondo che giustificava tali riforme: come esse potessero o meno contribuire alla legittimità sostanziale della governance pubblica agli occhi dei cittadini.
Quali questioni di ordine ontologico ed epistemologico solleva lo studio dell’amministrazione pubblica?
Svariati. Facciamo due esempi. Primo, al pubblico funzionario si chiede di essere, al contempo, neutrale ed imparziale, orientato all’efficienza ed efficacia, probo e altruista, dedito alla “cosa pubblica”, e cosi via, con leggi di riforma che esortano questi (giustissimi) princìpi. Ma cosa ci dice la riflessione filosofica di tipo ontologico sulla “natura umana”? Siamo sicuri che basti proclamare e declamare certi princìpi per attuarli? O forse una più serrata lettura dei classici della filosofia (e della letteratura) ci può fornire un quadro più realistico dal quale partire per analizzare questi problemi? Ecco un contributo che il pensiero filosofico di tipo ontologico può fornire ad una seria ed approfondita riflessione sul tema.
Un esempio su questioni di filosofia della conoscenza. Una parte degli studi di pubblica amministrazione applica le scienze comportamentali, di tipo sperimentale, per comprendere i comportamenti sia degli operatori che degli utilizzatori di servizi pubblici: metodi molto vicini al neo-positivismo. Un’altra parte ricorre a studi qualitativi o anche all’argomentazione logico-deduttiva, spesso basata sul “senso comune”. Entrambi gli approcci contribuiscono alla conoscenza della pubblica amministrazione e del suo funzionamento, ma in modi diversi. Adottare una prospettiva filosofica permette di riconoscere i punti di forza ed i limiti di entrambi gli approcci, e di integrarli.
Quali strumenti concettuali offre la filosofia nello studio della governance pubblica?
Nozioni quali quelli di “utopia” o di “idealtipo” possono essere utilissimi nello studio della governance pubblica, e sono stati utilizzati ampiamente in altre epoche, ma oggigiorno, per un insieme di ragioni, sono come scomparsi dal bagaglio intellettuale non solo degli studiosi ma anche degli operatori. Questo è un limite: immaginare il futuro è fondamentale per migliorare la governance pubblica. Saper riflettere sui tipi ideali aiuta a guardare la realtà con lenti diverse, per migliorarla.
Quali diverse tradizioni intellettuali si distinguono nella concezione della governance e amministrazione pubblica?
Nel libro identifico tre tradizioni intellettuali che, dibattute a livello internazionale, sono riscontrabili nella governance e amministrazione pubblica italiana.
La prima è quella della governance e amministrazione pubblica come saggezza pratica. È l’approccio più antico, che risale indietro nei secoli e millenni, dalla Cina confuciana alla amministrazione della Repubblica e poi dell’Impero Romano. In questa concezione, governance pubblica e pubblica amministrazione è “l’arte di amministrare” e il ragionamento morale e l’argomentazione logica applicata al più ampio insieme di fenomeni ne sono il centro; la riflessione, l’interpretazione e la comparazione dei sistemi amministrativi nel tempo e nei diversi contesti, con un approccio interdisciplinare, sono costitutivi di questo approccio, e il pensiero filosofico è centrale
La seconda tradizione è quella della PA come esperienza pratica: è un approccio “interessato agli strumenti e alle tecniche che possono aiutare l’attività quotidiana dell’amministrare e pone enfasi all’apprendimento attraverso l’esperienza. È una tradizione che risale al Basso Medio Evo e i suoi esponenti più rappresentativi sono Fayol, Gulick e Urwick, Taylor. Questa tradizione è cresciuta in importanza con lo sviluppo degli estesi apparati amministrativi pubblici dopo la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, che hanno visto lo Stato dapprima mobilitare tutte le risorse della società per sostenere lo sforzo bellico, e successivamente sviluppare il welfare state. Nonostante sia raramente esplicitato dagli studiosi di questo filone, il pensiero filosofico permea questo approccio, anche perché la pubblica amministrazione in questa tradizione non viene studiata come una scienza dotata di un metodo rigidamente definito al quale attenersi; all’opposto, il ragionamento pratico, di derivazione aristotelica, che pervade questo approccio è permeabile ad una pluralità di questioni di ordine ontologico, etico ed epistemologico che richiedono una prospettiva filosofica e attraverso le quali il pensiero filosofico acquisisce un ruolo centrale (il lettore che dovesse avere avuto un’esperienza d’aula, vuoi come docente o come discente, in una scuola di formazione in amministrazione e management pubblico, avrà ben presente come le discussioni in aula spessano trascendano il tema specifico oggetto di insegnamento per toccare i più ampi temi di ordine etico, conoscitivo, valoriale, e quant’altro.
Infine, la terza tradizione intellettuale è quella della governance e amministrazione pubblica come conoscenza scientifica: in questo approccio il conseguimento di una conoscenza “scientifica” è centrale; di solito, “scienza” viene intesa in un senso stretto, sul modello delle scienze naturali, una concezione nella quale il rigore è tanto maggiore quanto più ci si avvicina ad una trasposizione dei metodi delle scienze naturali nelle scienze sociali. Il “Nume Tutelare” è il Premio Nobel Herbert Simon, mentre la corrente filosofica di ispirazione è sovente il neopositivismo. Invero, un più ampio approccio filosofico come quello adottato in questo libro può permettere di far luce sia sui punti di forza che sui limiti, ontologici ed epistemologici, di questo approccio.
Sovente studiosi nell’una od altra tradizione tendono a vedere solo le sfaccettature ed aspetti che caratterizzano la propria tradizione, invece del più ampio fenomeno amministrativo. Integrare assieme le tre tradizioni intellettuali permette invece di pervenire ad una visione d’assieme.
In che modo l’amministrazione pubblica può tradursi in una forma di umanesimo pratico?
L’amministrazione pubblica è costitutivamente una forma di umanesimo pratico. Amministrare è infatti una forma dell’agire sociale che è intrinsecamente connessa all’esercizio ed alla pratica di decisioni informate da capacità di giudicare con saggezza e da scelte valoriali che in ultima analisi concernono la promozione dell’umanità che è in ciascuna delle persone coinvolte nei e dai processi amministrativi pubblici, sia come decisore che come destinataria dell’azione amministrativa (o specularmente l’assenza di tale promozione, la negazione dell’umanità che è in ciascuna persona che deve essere “sempre anche un fine, mai soltanto un mezzo”, nell’immortale formulazione di Kant, laddove tale capacità di giudizio manchi o tali valori non vengano praticati, o financo vengano espressamente negati). Già Hodgkinson aveva notato come in generale la funzione manageriale (di organizzazione pubblica o privata che sia) non può essere esaminata solo sul piano fattuale, essendo sempre ed intrinsecamente connessa ad una dimensione valoriale. Si tratta dunque di riscoprire questa dimensione, analizzarla in modo esplicito, ed incorporarla consapevolmente nel discorso sulla governance pubblica.
Edoardo Ongaro è professore ordinario di Public Management presso la Open University del Regno Unito. Nel periodo 2013-2019 è stato Presidente del European Group for Public Administration (EGPA), la principale società scientifica europea in materia di scienze dell’amministrazione e management pubblico: l’unico altro italiano a presiedere EGPA è stato il Professor Sabino Cassese dal 1987-90. Edoardo Ongaro è Fellow della Academy of the Social Sciences e del Joint University Council of the Applied Social Sciences.