
Come è possibile prepararsi a un mondo radicalmente diverso da quello cui siamo stati abituati?
Ci sono almeno due piani su cui lavorare: un piano pratico e un piano filosofico. Sul piano pratico, è necessario riacquistare competenze manuali cui non siamo più abituati: coltivare, costruire, riparare. Sempre sul piano pratico, occorre organizzarsi in movimenti sociali per fare pressione sui nostri governi affinché prendano le misure adeguate alla situazione, oppure per prendere il potere e riscrivere le nostre Costituzioni (come sta facendo il Cile): infatti non basta un Green New Deal con una spolverata di energie rinnovabili e con qualche angolo nei supermercati dedicato ai prodotti sfusi e alla spina [2]. Qui bisogna prepararsi all’autarchia alimentare: un rapporto fornito qualche anno fa da un esperto agronomo alla Commissione Europea suggeriva che, da qui a una quindicina d’anni, l’Europa dovrà trovare 100 milioni di agricoltori per far fronte alla produzione agricola necessaria a sfamare i suoi 500 milioni di abitanti [3]. Attualmente gli agricoltori in Europa sono circa il 4% della popolazione: non appena il petrolio a buon mercato finirà, occorrerà passare al 20%. In pratica, un europeo su cinque diventerà agricoltore, solo che non lo sa ancora. L’Agenzia internazionale dell’energia – cioè l’organismo più autorevole al mondo in materia di fonti fossili e rinnovabili – parla di un probabile schock petrolifero da qui al 2025 [4]. Gli esperti del petrolio anticipano la fine del petrolio a buon mercato da qui a tre anni [5]. Quando l’oro nero sarà venduto a più di 100 dollari al barile (oggi oscilla attorno ai 60), la crisi finanziaria, economica e sociale che ne seguirà sarà peggiore di quella del 2008, peggiore di quella dovuta al covid-19 (e di cui abbiamo solo visto l’inizio) e persino peggiore di quella del 1929! Sul piano filosofico, bisogna prepararsi a desiderare una vita diversa.
In che modo la fine delle risorse, i disastri ambientali e climatici, la crisi economica e le disuguaglianze sociali ci costringeranno a ripensare i nostri valori e desideri?
Occorre fare di necessità virtù: inutile aspirare a ciò che non potremo più avere; meglio abituarsi all’idea di vivere con meno e adoperarsi per renderlo desiderabile. La buona notizia è che si può: molte delle cose con cui viviamo oggi non sono indispensabili e molte di quelle cui nessuno di noi vorrebbe rinunciare si possono fare in altri modi, meno impattanti sulla natura e meno ingiusti socialmente (ricordo che gli smartphone e le auto Tesla contengono materie prime la cui estrazione causa la morte dei bambini in Congo [6]). In questo contesto, bisogna cambiare i nostri valori e imparare a godere della temperanza dei costumi e dei consumi. Riscoprire altri piaceri ci permetterà di non prendere la fine della società termo-industriale come un’avversità indesiderata. Con un barile di petrolio a 100 o a 200 dollari, la benzina costerà molto di più e l’inflazione esploderà, così come la disoccupazione. Conosceremo penurie di prodotti e black out elettrici. Non potremo più desiderare tre automobili e quattro televisori a famiglia, e se è per questo neanche la continuità assoluta del riscaldamento o dei servizi Internet. Non potremo più sostituire lo smartphone ogni sei mesi. Non potremo più neanche continuare a disprezzare i lavori manuali. Meglio cominciare sin da subito a costruire il mondo nuovo che ci aspetta. E soprattutto, meglio impegnarsi per renderlo bello e gradevole, mentre allo stesso tempo si comincia a ripararlo, per esempio piantando alberi ovunque si possa. Come dicevo prima, la preparazione filosofica e pratica di ognuno di noi deve essere accompagnata da un impegno politico collettivo: mentre gli individui saranno costretti a diventare materialmente più autonomi, i movimenti sociali dovranno farsi sentire per ottenere dallo Stato ciò che lo Stato può ancora fornirci per limitare i danni. Un reddito universale garantito (da finanziare tassando i redditi più ricchi, lottando contro l’evasione fiscale e attaccando il PIL delle mafie) e un piano nazionale di ripopolamento delle campagne (attraverso incentivi, educazione e investimenti seri) sono le priorità assolute per evitare miseria, carestia e rivolte armate.
Nel libro, Lei afferma, sulla scorta del pensiero di Raoul Vaneigem (e richiamando il concetto marxiano di alienazione), che il «lavoro ci occupa per otto ore al giorno, cinque giorni la settimana. È la nostra attività principale e nella stragrande maggioranza dei casi è un’attività che non ci piace. In pratica viviamo vite che non approviamo. Gettiamo via l’unica nostra possibilità. ‘Ma chi oserà, in una guerra in cui ogni istante è esposto al fuoco nutrito della concorrenza, alzare la bandiera bianca di un momento di oziosità?’»: come è possibile non soccombere alla scelta di abbracciare la pigrizia?
Attenzione, il mondo che si prefigura davanti a noi richiederà più lavori utili e manuali. Ma allo stesso tempo tutti i lavori inutili, stupidi e dannosi – quelli che l’antropologo americano David Graeber ha chiamato bullshit jobs (lavori del cavolo) [7] – scompariranno. Ci sarà meno bisogno di impiegati di banca e di operatori nei call center; in un mondo collassato, a cosa servirà un diploma in marketing? In altre parole, è molto probabile che avremo più tempo libero. Se ci organizziamo bene collettivamente, possiamo fare in modo che tutti lavorino per far funzionare la società ma, non avendo più bisogno di produrre per arricchire una piccola casta di parassiti in alto della piramide, potremo tutti lavorare meno. In quel caso la pigrizia non sarà un problema, ma una virtù. Riscopriremo la convivialità, la musica, il canto, l’arte, il racconto, ecc. Invece di riempirci la testa di reality show passeremo le serate a raccontarci storie o a leggere un libro, magari collettivamente e ad alta voce (come nei secoli passati).
Nel libro, uno spazio importante è dato all’educazione, alla quale è dedicato il capitolo più lungo: come si può insegnare a decrescere?
Il capitolo cui Lei fa riferimento non è dedicato all’insegnamento della decrescita in particolare, ma ad una riforma dell’insegnamento tout court. Quindi, se la sua domanda concerne i metodi per insegnare in generale, allora non posso che consigliare i tre libri su cui quel capitolo si fonda: Il maestro ignorante di Jacques Rancière, Pedagogia degli oppressi di Paolo Freire e La testa ben fatta di Edgar Morin. I primi due libri invitano l’insegnante a trattare l’allievo come un essere pensante e intelligente tanto quanto lui. Il loro argomento è che solo dando credito alle persone (bambini e adulti) si puo’ ottenere rispetto e responsabilità da parte loro; mentre a forza di dire all’allievo che non è capace di far qualcosa, questi finirà per convincersene. Il terzo libro citato insegna, dal canto suo, ad avere un approccio educativo attento alle interconnessioni fra i saperi.
Se la sua domanda si rivolge invece ai contenuti della decrescita, allora le dirò che bisogna partire dall’analisi del mondo attuale: quali sono i problemi che affliggono il pianeta e l’Italia? Perché ci siamo ritrovati in questa situazione? E che cosa ci aspetta negli anni e decenni a venire? In funzione di questo si può riflettere in un secondo momento sulle soluzioni. Si potranno allora affrontare tutta una serie di temi, dalla filosofia di vita in un mondo collassato (tema cui è appunto dedicato Filosofia della decrescita) alla necessità d’acquisire i saperi pratici più innovativi, come la permacultura per creare giardini commestibili e il bricolage per la fabbricazione di low tech. Leggere libri è indispensabile, ma non è l’unica cosa da fare. Consiglio per esempio ai nostri lettori di cercare corsi di permacultura e di bricolage nella loro città o regione. È inoltre molto importante fare parte di un gruppo – che sia composto da membri della famiglia o da sconosciuti, poco importa. Di fronte alla catastrofe, occorrerà fare comunità e privilegiare la solidarietà e la collaborazione alla competizione e all’individualismo tipici della società capitalista.
Il libro contiene anche un’intervista con Maurizio Pallante, uno degli intellettuali più attivi e noti nell’ambito della decrescita in Italia: quale lettura ci offre della situazione attuale del nostro Paese?
Come tutti gli altri decrescentisti, Maurizio Pallante è cosciente da tempo del futuro sobrio e frugale che ci aspetta. Insieme a Serge Latouche, Paul Ariès, Ugo Bardi, Luca Mercalli ed altri, Pallante ha scritto dei libri molto importanti su come organizzare la nostra società in modo da limitare i danni ambientali e sociali che stiamo già vivendo. Ma questi intellettuali sono sempre stati trattati dai media dominanti come delle Cassandre o come degli autori ridicoli, che vogliono riportarci all’età delle caverne. A chi ridicolizza il movimento della decrescita chiedo se abbia letto i rapporti dell’IPCC [8] sul clima. I commentatori televisivi che non perdono occasione per deridere la decrescita sono coscienti del fatto che il petrolio a buon mercato presto finirà? Sono al corrente delle recenti inchieste occidentali sui metalli e le terre rare? Ciò che i decrescentisti ci dicono da tempo è che non possiamo fare come se niente fosse, lasciando il nostro stile di vita e l’organizzazione sociale tali come sono, per puntare tutto sulle rinnovabili. Non funzionerà. Semplicemente non c’è abbastanza litio sulla Terra per centinaia di milioni di veicoli elettrici, come non c’è abbastanza platino per centinaia di milioni di veicoli a idrogeno. Ecco perché la decrescita appare inevitabile: il risparmio e la rinuncia, prima ancora del riciclaggio e dello sviluppo delle energie rinnovabili, s’imporranno a noi per limiti fisici e geologici. La scelta non è fra crescita e decrescita, ma fra decrescita subita e decrescita scelta. Lo spazio di un’intervista è troppo stretto per poter argomentare sufficientemente. Non posso fare altro che consigliare a chi ci legge non solo i miei libri, ma anche e soprattutto i libri che cito nei miei testi. Se posso permettermi, concludo con una lista di titoli che mi sembrano fra i più importanti per avere una visione d’insieme su queste questioni: La scommessa della decrescita di Serge Latouche; La decrescita felice. La qualità della vita non dipende dal PIL di Maurizio Pallante; Picco per capre. Capire, cercando di cavarsela, la triplice crisi: economica, energetica ed ecologica di Luca Pardi e Jacopo Simonetta; La terra, la storia e noi. L’evento antropocene di Christophe Bonneuil e Jean-Baptiste Fressoz; nonché La guerra dei metalli rari. Il lato oscuro della transizione energetica e digitale di Guillaume Pitron. Se la lettrice e il lettore conoscono l’inglese, consiglio loro anche How everything can collapse. A manual for our times di Pablo Servigne e Raphael Stevens, in attesa che sia tradotto in italiano.
Buona lettura e buona decrescita a tutti noi!
Fabrizio Li Vigni è dottore in sociologia all’EHESS di Parigi e insegnante-ricercatore a Sciences Po Saint-Germain-en-Laye
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[1] https://lowtechlab.org/en.
[2] https://www.agi.it/politica/decreto_clima_governo-6715644/news/2019-12-11/.
[3] https://pabloservigne.com/nourrir-leurope-en-temps-de-crise/.
[4] https://www.lefigaro.fr/conjoncture/2018/11/13/20002-20181113ARTFIG00001-l-economie-mondiale-face-au-risque-de-penurie-de-petrole.php.
[5] https://www.youtube.com/watch?v=pCSnisyyYx8&t=2s.
[6] https://www.corriere.it/esteri/17_aprile_13/inferno-coltan-2adccda8-2218-11e7-807d-a69c30112ddd.shtml. Vedere anche: https://www.theguardian.com/global-development/2019/dec/16/apple-and-google-named-in-us-lawsuit-over-congolese-child-cobalt-mining-deaths.
[7] https://www.garzanti.it/libri/david-graeber-bullshit-jobs-9788811672661/.
[8] L’International Panel on Climate Change o Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico “è il foro scientifico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite, l’Organizzazione meteorologica mondiale (OMM) e il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (UNEP) allo scopo di studiare il riscaldamento globale”: https://it.wikipedia.org/wiki/Gruppo_intergovernativo_sul_cambiamento_climatico.