“Filone di Bisanzio. Μηχανικὴ Σύνταξις. La costruzione delle mura” di Elena Santagati

Dott.ssa Elena Santagati, Lei è autrice del libro Filone di Bisanzio. Μηχανικὴ Σύνταξις. La costruzione delle mura, edito da Quasar, che rappresenta la prima traduzione in lingua italiana dell’opera: quale rilevanza ha l’opera del Meccanico per lo studio delle conoscenze in ambito militare e poliorcetico dei Greci?
Filone di Bisanzio. Μηχανικὴ Σύνταξις. La costruzione delle mura, Elena SantagatiL’analisi di ciò che a noi rimane dell’opera di Filone di Bisanzio, detto anche il Meccanico, assume una grande rilevanza nell’ambito degli studi di poliorcetica del mondo antico poiché permettere di cogliere l’evoluzione delle più importanti esperienze in campo militare e poliorcetico che i Greci avevano maturato nel tempo e di cui l’opera di Filone sembra essere frutto ed espressione. L’attività di Filone si colloca cronologicamente in piena età ellenistica (III secolo a.C.) riferendone le novità che, introdotte nel tempo, sono divenute, in questo periodo storico, norma. In particolare, questo primo volume degli excerpta, si concentra sul modo migliore di costruire le fortificazioni a protezione della città. Si tratta di materiale ricco di spunti estremamente interessanti il cui approfondimento si è rivelato prezioso per una migliore comprensione di quel modello generale di difesa che l’Autore propone. Per meglio comprendere la misura in cui i vari sistemi di difesa descritti da Filone sono stati declinati in concreto, si è fatto continuo ricorso alle testimonianze letterarie che, accanto a quelle archeologiche, diventano prova del fatto che quanto egli teorizza nel suo manuale era già divenuto prassi.

Quale modello generale di difesa propone Filone?
Filone scrive in una fase storica in cui il costante ricorso alla guerra aveva promosso una continua ricerca di nuove tattiche militari che si avvalessero anche di tecnologie in fase di sviluppo. È questo infatti il periodo in cui fioriscono, all’interno del modo ellenistico, officine in cui operano ingegneri il cui compito era sperimentare nuove tecniche applicabili all’ambito militare soprattutto in un momento in cui i sistemi di alleanze erano molto fluidi e, come abbiamo già detto, il ricorso alla guerra consueto per la risoluzione dei conflitti. Le artiglierie erano sempre più importanti nell’assetto degli eserciti ellenistici che ora annoverano tra le loro file anche technitai, ossia operai ‘specializzati’. Nel periodo in cui scrive Filone, però, possiamo constatare dal punto di vista archeologico che le fortificazioni non hanno ancora escogitato o applicato tutti gli accorgimenti necessari per contrastare efficacemente un esercito ben organizzato. Dal testo di Filone emerge infatti una poliorcetica ancora fortemente sperimentale in cui le forme architettoniche non sempre, alla prova dei fatti, sono così efficaci, come evidenziano talune fonti storiografiche. Esse infatti raccontano di assedi fortunati per la scarsa manutenzione dei sistemi di fortificazione o per il mancato adeguamento di esse alla forza d’urto delle macchine da guerra elaborate negli anni e la cui forza di fuoco diveniva sempre più potente. Alcune delle idee proposte da Filone il Meccanico, dunque, non si ritrovano nella pratica poliorcetica; altre sono solamente sperimentate in pochi casi e poi abbandonate. Inoltre le fonti attestano alcuni prototipi di bastioni o di torri che nel tempo sono stati dismessi forse perché troppo costosi o poco pratici. Durante l’età ellenistica, in particolare, è praticata una difesa attiva che prevede una forte mobilità di uomini dentro e fuori le mura con veloci sortite contro i nemici e rapidi rientri. Le fortificazioni devono essere perciò facilmente attraversabili disponendo di numerose aperture e postierle, in alcuni casi nascoste dalle torri, da cui i difensori potevano uscire per attaccare le artiglierie nemiche. Di ciò rimane una valida attestazione sia sul piano storiografico sia sul piano archeologico. Questo tipo di tattica viene utilizzata in realtà per un breve periodo e sperimentata in alcune importanti fortificazioni come, ad esempio, in Sicilia, nel castello Eurialo a Siracusa o a Erice, e in alcune città epirote come Antigonea. Quando, in una fase successiva, tra il III e il II secolo a.C., i difensori non avranno più la capacità numerica di sostenere questa tattica, le mura si chiuderanno sempre di più, i circuiti diminuiranno di dimensioni e le città saranno difese da cortine sempre meno permeabili. Ma questa nuova fase non è stata vissuta da Filone.

Come si sono evoluti, nel mondo greco, i sistemi di difesa?
Filone, come abbiamo detto, scrive in una fase avanzata della storia della poliorcetica greca. In età omerica e nel periodo successivo i sistemi di difesa si ponevano come sistemi di controllo del territorio e la guerra si svolgeva lontano dai sistemi fortificati e gli eserciti si affrontavano in campo aperto. Le fortificazioni erano i luoghi in cui si custodivano i beni della comunità e in cui avveniva lo scambio e il commercio. Le fortezze che gestiscono il paesaggio dell’Attica, nella chora di Atene, segnano luoghi di particolare pregio economico, legati alla organizzazione del lavoro nei campi e dell’estrazione dell’argento nelle miniere del Laurion. In genere le fortificazioni gestiscono le vie di commercio e di comunicazione controllando i percorsi o ancora diventano punto di riferimento per gli spostamenti via terra come delle stazioni di sosta. Questa funzione permane anche in età classica, anche se appaiono i primi casi, ad esempio nell’Occidente greco, in cui le fortificazioni svolgono un ruolo attivo nell’ambito propriamente militare.

In generale possiamo dire che l’evoluzione architettonica finalizzata alla creazione di bastioni di difesa e di strutture realizzate per alloggiare grandi macchine da guerra (torri quadrangolari o pentagonali, basi per accogliere le macchine da guerra etc.) si affermi a partire dal IV secolo a.C., periodo in cui è possibile cogliere, sia sul piano archeologico sia su quello storiografico, una maggiore strutturazione del paesaggio fortificato. Esso nasce soprattutto in relazione al formarsi dei grandi stati territoriali durante il IV secolo e si organizza secondo una scala di fortificazioni di grandezze diverse, dalla fattoria o dal villaggio fortificato, fino alle fortezze extraurbane e alle grandi città fortificate. L’invenzione più importante in campo poliorcetico al tempo di Filone è, forse, proprio la gestione di un territorio vasto attraverso una rete di castelli e città che anticipano alcune dei grandi sistemi di incastellamento di età post antica. Da questa consapevolezza nasce pertanto la necessità di approcciarsi allo studio delle fortificazioni in modo diverso: esse infatti non appaiono più come elementi isolati e analizzati come tali, ma inserite nel più ampio contesto delle aree in cui insistono.

Quale rilevanza ebbe il tema della guerra nel pensiero antico?
Il tema della guerra, in quanto fatto sociale totale, nel corso dei secoli, ha costituito un importante spunto di riflessione per una grande varietà di espressioni artistiche che hanno coinvolto non solo i generi letterari ma anche le arti visive.

In particolare, l’individuazione della guerra quale componente strutturale della società umana si deve, già nel V secolo a.C., a Tucidide. Egli, infatti, convinto della ineluttabilità della guerra perché radicata nella stessa natura umana, definiva la guerra βίαιος διδάσκαλος, maestra di violenza. La visione di Senofonte, influenzata dagli avvenimenti storici del suo tempo, appare mutata. Egli infatti considera la guerra come necessaria e ciò forse a causa dell’incapacità da parte delle poleis greche di perseguire una ideologia ora che l’egemonia di Atene era tramontata. Le alleanze, nel IV secolo a.C., erano divenute particolarmente fluide e il ricorso alla guerra era ormai divenuto un fatto endemico al punto che anche Platone sottolinea come la guerra fosse una condizione permanente del genere umano. Inoltre l’amara consapevolezza che la guerra nel tempo avesse cambiato volto si coglie in Polibio che lamenta il venire meno di quel codice d’onore e di quei valori aristocratici guerreschi che avevano caratterizzato la guerra nel passato.

Come si sviluppò la produzione trattatistica militare e quale ruolo ricoprì la meccanica?
A partire almeno dal IV secolo a.C., il sapere militare diventa un importante campo di indagine di cui è espressione una manualistica specifica che, nata come un’esigenza per organizzare una prassi affiancando il genere storiografico, ne sistematizza il sapere. Nasce così la trattatistica militare, nella sua forma di genere letterario, il cui scopo era quello di supportare i capi militari, sempre più spesso impegnati in campagne militari.

Sebbene la nascita della trattatistica come genere letterario possa essere ascritto solo al IV secolo, è possibile cogliere informazioni di grande rilevanza sul piano tattico e militare in Tucidide e in Senofonte attraverso i quali è possibile cogliere i processi di trasformazione della guerra. Il primo infatti è considerato comunemente il fondatore della storiografia politico-militare mentre Senofonte il primo ad avere posto l’accento sui concetti di strategie e tattiche sostenendo che quella militare è un’arte, una scienza e, come tale, può essere insegnata. In realtà l’avvio di uno specifico interesse verso la στρατηγική τέχνη (l’arte della strategia) come scienza teorica e pratica sembrerebbe riconducibile all’ambiente degli Stoici. All’interno della fioritura della trattatistica militare la meccanica rivestì un ruolo importante rappresentando un campo di indagine vivace in relazione alla teoria delle leve e delle sue irradiazioni e applicazioni. La grande fortuna della meccanica è infatti da attribuire alle sue ampie applicazioni e, in particolare, a quelle che coinvolgevano le macchine d’assedio, il cui progresso tecnologico era divenuto fondamentale a causa del mutamento del modo di fare guerra.

Elena Santagati, laureata in Lettere classiche presso l’università di Messina con votazione 110/110 con lode, nel 1996 ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Storia antica presso l’università La Sapienza di Roma. Vincitrice di concorso a Ricercatore nel 1999, è attualmente docente di Storia greca presso il DICAM dell’Università di Messina. Ha sviluppato interessi e prodotto ricerche in vari campi della storia greca. Si segnalano in particolare gli studi relativi alla storia di Sicilia dall’orizzonte anellenico sino alle vicende di IV e III secolo a.C.; ai fenomeni di travestitismo nell’antica Grecia, tra storia e mito; all’Epiro di età ellenistica, all’identità poleica e a quella federale, filtrate attraverso il documento monetale. Ha al suo attivo quattro monografie, numerosi contributi in riviste scientifiche del settore e partecipazioni, con relazioni, a convegni internazionali. È membro del Collegio dei Docenti della scuola di Dottorato in Scienze Storiche, Archeologiche e Filologiche dell’Università di Messina. Nel 2018 è stata insignita del Premio internazionale Anassialos, saggistica per il volume Timoleonte, aner hieros tra storia e propaganda.

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