“Filologia germanica” di Nicoletta Francovich Onesti

Filologia germanica, Nicoletta Francovich OnestiFilologia germanica. Lingue e culture dei germani antichi
di Nicoletta Francovich Onesti
Carocci editore

«La filologia germanica si occupa delle lingue germaniche antiche e delle loro attestazioni scritte. In particolare studia i testi che ce le documentano; è quindi una scienza dei testi, qualunque testo, non importa se di grande valore letterario o di mero valore documentario. I limiti cronologici entro cui opera questa disciplina sono abbastanza elastici, anche se in generale si può dire che rientrano nell’età medievale. Nello studio delle lingue germaniche antiche naturalmente si va dalle origini, situate nella tarda antichità o nell’Alto Medioevo, fino grosso modo all’inizio dell’età moderna. Ma la ricerca sulle origini stesse può tentare di risalire alle radici più lontane, e raggiungere quindi anche epoche più remote. Nell’altra direzione, si può giungere a seguire l’evoluzione di una lingua fino nell’età moderna se necessario; comunemente però si considera terreno più strettamente specifico della filologia germanica il periodo medievale delle lingue in questione, che di solito comprende le fasi antiche e medie delle varie lingue germaniche. Le quali, diciamo subito, sono: inglese, tedesco, olandese, frisone, danese, svedese, norvegese, islandese, più due lingue ora estinte: il gotico e il longobardo. “Germanico” non è dunque sinonimo di “tedesco”, bensì ha un senso più ampio, relativo a tutte le lingue del gruppo, sia antiche che moderne.

Per lo studio di quella che è la documentazione scritta nelle lingue germaniche si analizzano i testi, E questo significa “filologia” in senso stretto: analisi testuale; in particolare critica del testo, che mira ad accertarne l’autenticità, a verificarne la correttezza, a ricercarne la fisionomia originaria, a rintracciarne la trasmissione attraverso il tempo dall’originale alle copie, di manoscritto in manoscritto, di redazione in redazione; infine a interpretarlo, magari a individuarne le fonti e a capire le circostanze della sua stesura. Dare un’accurata lettura di un testo e proporne l’edizione ritenuta più fedele e più vicina all’originale è lavoro basilare per i filologi, premessa indispensabile per ogni ulteriore approfondimento delle ricerche ed ogni eventuale costruzione teorica più generale. […]

Dato che i documenti scritti relativi alle fasi più antiche delle lingue germaniche sono spesso scarsi e problematici, qualunque di essi, anche il più piccolo, è una testimonianza preziosa. Si è detto che l’indagine linguistico-filologica prescinde dal valore artistico o letterario dei testi; qualunque testo, anche il più apparentemente insignificante, è una testimonianza diretta di un dato momento storico-linguistico, e perciò altamente significativo. Per la filologia è ugualmente interessante come oggetto di studio un grandioso poema come il Nibelungenlied, o una pergamena su cui è stilato un contratto di compra-vendita, un arido glossario latino-germanico, un’iscrizione di poche parole, o una glossa in margine a qualche codice medievale. Il valore del documento storico è ugualmente immenso, e ogni tipo di testo contribuisce a ricostruire il quadro linguistico dei secoli passati; ognuno è un tassello fondamentale del mosaico. Questo anche se ovviamente studiare un poema pregevole come il Beowulf o un affascinante carme dell’Edda per alcuni può essere più attraente che magari decifrare un’iscrizione runica consunta e mezzo cancellata dal tempo. […]

Tra gli svariatissimi problemi che possono presentarsi a un filologo germanico ne illustriamo uno con un esempio concreto, abbastanza emblematico; prendiamo il caso di un testo famoso, quello del Carme d’Ildebrando. Si tratta di un frammento scritto su due pagine, la prima e l’ultima, di un codice di Fulda (Assia) del IX secolo, che contiene testi in latino di argomento teologico. Subito ci si è chiesti perché l’unico esempio a noi giunto di poesia epica alto-tedesco antico, di argomento germanico tradizionale e profano, sia stato inserito in un manoscritto di contenuto tanto diverso; e perché non sia stato completato, ma s’interrompa con la fine della pagina. I tentativi di risposta sono stati i più diversi, e coinvolgono la storia della cultura e la storia pura e semplice. Si è ipotizzato che la poesia tradizionale germanica fosse apprezzata dai monaci, che colsero quindi l’occasione di fissarne un esemplare celebre. Può anche darsi che questa stesura rientrasse in un programma culturale più vasto, promosso anni prima dallo stesso Carlo Magno, il quale pare avesse sollecitato il recupero degli antichi carmi in volgare tedesco, la lingua dei suoi antenati. Ma perché in un codice latino? Si è pensato allora che il contenuto del carme (duello tra padre e figlio, con tragico epilogo) potesse costituire un exemplum sugli effetti negativi delle lotte interne alla famiglia, alludendo allo scontro politico allora in atto tra l’imperatore Ludovico il Pio e i suoi figli. Oppure, un argomento adatto per propagandare il concetto cristiano della santità del matrimonio, se è vero che il figlio di Ildebrando era stato abbandonato dal padre, o era, come sostengono alcune interpretazioni, addirittura illegittimo. E qui entrano allora in causa anche problematiche di ordine giuridico, per capire l’eventuale posizione dei figli illegittimi nel diritto germanico.

Altri problemi riserva l’edizione del testo, che essendo conservato in un esemplare unico (codex unicus) lascia perplessi davanti a certe lezioni difficili. La paleografia ci dice che le due pagine sono state scritte da due mani diverse, e non si sa perché siano intervenuti due copisti per riportare solo 68 versi. Che poi siano versi lo si è capito solo dal fatto che hanno una struttura allitterativa, ma niente nel manoscritto divide i versi, anzi lo scritto è continuo, con rari segni di punteggiatura. Il che ha portato a diverse soluzioni nella divisione in versi operata dagli editori moderni; alcuni ne contano 68, altri 66. Ogni suddivisione in versi comporta necessariamente opinioni precise in fatto di metrica, e comunque qualunque decisione si ripercuote sull’aspetto metrico; secondo alcuni studiosi esistono nel carme versi brevi costituiti da un solo semiverso, secondo altri invece le apparenti irregolarità metriche sono dovute a mere lacune nel testo (il copista avrebbe saltato qualche parola). Attribuibili a lacune sarebbero anche alcuni casi di versi privi di allitterazione, secondo la concezione che l’allitterazione debba essere regolarmente presente.

Che ci siano lacune o no naturalmente non lo si decide solo in base alla struttura dei versi; la traduzione e l’interpretazione possono dire molto su questo argomento. In alcuni punti difficili le interpretazioni degli studiosi divergono. È chiaro che in questo campo è fondamentale la conoscenza strettamente linguistica, grammaticale, lessicale. Ma entrano in gioco anche la conoscenza dell’argomento, la capacità di comprendere eventuali allusioni alla società, alle norme giuridiche, insomma alla civiltà altomedievale germanica, che possono molte contribuire a una corretta interpretazione dei passi difficili del testo.

Se si pensa che ci siano delle lacune, queste saranno dovute a un errore della memoria, o a un errore dell’occhio di chi scriveva? In altre parole lo scriba riportava un brano poetico che conosceva a memoria, oppure lo copiava da un’altra stesura scritta, oggi perduta? Da certi piccoli errori di scrittura che sono tipici dell’occhio (che scambia le quattro aste di mi per quelle di un) sembra che il copista non scrivesse a memoria, ma avesse sott’occhio un’altra copia del carme. […]

Come si vede tutte le questioni si intersecano; i vari aspetti, quello storico, quello paleografico, quello filologico-testuale, quello linguistico e quello metrico, per non citare che i principali, s’intrecciano in modo che la soluzione di uno di essi condiziona spesso la soluzione degli altri. Fondamentale e primario è il lavoro dei filologi, che stabiliscono la corretta lettura del manoscritto e ne fanno l’edizione. Stabilire correttamente ciò che è scritto è presupposto per ogni ulteriore interpretazione linguistica e per qualsivoglia altra speculazione; se non c’è una base testuale sicura, ogni elucubrazione di tipo storico-culturale rischia di poggiare sul nulla.»

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