
Detto questo, il segreto per fare squadra credo che possa stare proprio nel riuscire a trovare un equilibrio tra bisogni individuali e bisogni del gruppo, un equilibrio che non sia solamente mettere da parte i propri bisogni per quelli del gruppo, cosa che può comportare nel tempo frustrazioni, ma che permetta una integrazione, al punto che i bisogni propri e quelli del gruppo trovano collocazione all’interno di un unico sistema interdipendente.
Quali dinamiche psicologiche intervengono nei gruppi di lavoro?
I gruppi di lavoro presentano al loro interno una evoluzione che può essere rappresentata per tappe: c’è un primo momento in cui il gruppo si forma e le persone sono piuttosto dipendenti dal responsabile del gruppo, in quanto è questo il riferimento per capire cosa ci si aspetta da loro. Inoltre, in questa fase ognuno di noi cerca di soddisfare il bisogno di essere accettato dall’altro, per cui le persone tendenzialmente sono disponibili. In un secondo momento, una volta che i componenti del gruppo hanno chiari obiettivi e aspettative nei loro confronti e hanno soddisfatto il bisogno di accettazione, ecco che emergono i primi confronti, in cui ogni componente cerca un equilibrio tra le proprie aspirazioni e i bisogni del gruppo. In questa fase è facile ritrovare comportamenti di sfida al responsabile del gruppo e certamente sorgono i primi conflitti. La gestione del conflitto è una fase importante per il gruppo, perché permette di strutturare i ruoli e le norme per lavorare; inoltre, una buona gestione del conflitto può sviluppare sentimenti di fiducia che favoriscono il lavoro in gruppo e il raggiungimento degli obiettivi.
Quali fattori possono portare al successo o all’insuccesso di un gruppo di lavoro?
I principali fattori che influenzano l’efficacia e l’efficienza del gruppo di lavoro riguardano:
- la fiducia tra i membri: una scarsa fiducia impedisce alle persone di confrontarsi e pertanto di poter acquisire informazioni importanti che permettono prese di decisioni efficaci, oltre lo sviluppo di strategie creative per la soluzione dei problemi;
- la capacità di gestire le divergenze è un altro elemento di successo: se i conflitti sono vissuti dai membri come potenziali occasioni di perdita, come elementi disturbanti le relazioni, è facile che si crei un clima di evitamento dei conflitti stessi, in cui sono presenti, ma latenti, salvo poi emergere nel momento in cui le persone si sentono sicure di poter «vincere» sovrastando la controparte. Questo comporta spesso una scarsa fiducia tra le persone, con relazioni povere di contenuti e affettivamente negative, che impediscono un lavoro nel gruppo, creano stress e cadute di processo che divengono motivo di errori e di insuccesso.
- Conoscere le dinamiche di gruppo, sapere quali modalità e reti comunicative utilizzare per scopi diversi a cui è chiamato il gruppo è un altro fattore di successo del gruppo stesso.
- La buona integrazione dei propri obiettivi con gli obiettivi del gruppo aiuta lo sviluppo del «senso del noi» e pertanto una adesione convinta al gruppo stesso, che si manifesta con comportamenti di aiuto agli altri, di appartenenza positiva al gruppo, di cittadinanza organizzativa che creano efficienza ed efficacia e aumentano la performance del gruppo.
Come si sviluppa una leadership?
La leadership e un processo che riguarda la gestione del potere all’interno del gruppo. Rifacendosi a quanto detto in precedenza sulla dinamica obiettivi individuali-obiettivi di gruppo, possiamo affermare che il leader è colui che esercita un’influenza tale da portare i membri del gruppo a una adesione soggettiva e motivata agli obiettivi del gruppo. In questo caso il leader diviene un mediatore tra bisogni individuali e bisogni del gruppo di lavoro. La leadership prevede pertanto in prima battuta un’adesione del leader agli obiettivi del gruppo. In alcuni modelli di leadership si sostiene infatti che il leader è colui che in un primo momento di conforma alle norme del gruppo, gli vengono poi riconosciute conoscenze e competenze funzionali al raggiungimento degli obiettivi, successivamente viene legittimato nel proprio ruolo grazie alle competenze mostrate e infine mostra una identificazione con il gruppo. Negli anni recenti ci si è concentrati sempre più su aspetti etici del leader, legati all’identificazione con gli obiettivi del gruppo, per cui i comportamenti del leader sono funzionali non alla soddisfazione dei propri bisogni, ma dei bisogni del gruppo. La servant leadership è il modello più recente che ha le sue radici questa dimensione etica secondo cui il leader, per essere tale e mantenere la propria leadership, deve innanzitutto mostrare costantemente di rivolgersi agli obiettivi del gruppo che conduce. Il leader viene considerato come colui che è al servizio del benessere dei propri collaboratori al fine di facilitarli nel raggiungimento degli obiettivi. In questo caso pertanto la leadership si realizza grazie alla messa in atto di competenze relazionali come la capacità di ascolto, l’empatia, il prendersi cura, la persuasione, ma anche senso di responsabilità, attenzione alla crescita delle persone (e ai loro bisogni) e capacità di costruire una comunità e un senso del noi. Del resto, i maggiori fallimenti della leadership nella storia si sono avuti proprio nel momento in cui i leader sono stati trovati a perseguire i propri interessi anziché gli interessi del gruppo o della comunità che dirigevano.
Come è possibile gestire i conflitti nei gruppi di lavoro?
Ogni conflitto, da un punto di vista psicologico, prevede una divergenza tra le parti la cui caratteristica principale è che sia incompatibile, ovvero tale che la soddisfazione di una parte comporti una perdita per l’altra, infine, cosa che a volte diamo per scontata, tale divergenza incompatibile si realizza sempre e comunque all’interno di una relazione. La mancanza anche di uno solo di questi tre elementi (divergenza, incompatibilità e relazione) rende impossibile un conflitto. Nel caso in cui, per esempio, vi è la rottura di un tavolo di trattativa, le parti cessano la propria relazione e il conflitto non può procedere, come pure nel caso in cui si raggiunga un accordo che renda le posizioni o uguali o non più incompatibili. Nei gruppi di lavoro la presenza di un conflitto non è di per sé negativa, anzi, è funzionale alla maturazione del gruppo stesso (come si diceva nella domanda 2), tuttavia, la gestione dei conflitti può essere più o meno efficace. Nell’affrontare un conflitto è infatti necessario tenere presente che vi sono due dimensioni importanti: l’ottenere un risultato (raggiungimento di obiettivi) e la relazione (che può essere più o meno di fiducia). Nei gruppi di lavoro, che comportano spesso relazioni durature, una gestione dei conflitti funzionale è quella di tipo integrativo. In questo caso le parti in conflitto, grazie a una relazione positiva e di fiducia, possono esprimere al meglio i propri bisogni e obiettivi e in un confronto basato orientato alla massima soddisfazione dell’una e dell’altra parte, si cerca di trovare la soluzione migliore per entrambe. Spesso i conflitti nei gruppi di lavoro riguardano diversi punti di vista sulla realtà, diversi modi di ottenere i medesimi obiettivi, in questo caso il confronto aperto, che si può realizzare solo quando le relazioni sono buone, permette soluzioni creative e al tempo stesso soddisfacenti per entrambe le parti o con gradi di frustrazione molto bassi. Questa gestione del conflitto aumenta inoltre la fiducia e la libertà di poter entrare in conflitto in ogni momento, in quanto l’aspettativa non è quella di perdere i propri obiettivi a scapito dell’ottenimento di quelli degli altri. Nei gruppi dove non sono presenti relazioni di fiducia, al contrario, è possibile trovare gestioni competitive del conflitto, dove una parte entra in conflitto solo quando è sicura di poter sovrastare l’altra, in questi casi è più facile esercitare l’evitamento, ovvero non si entra in relazione per timore di essere sovrastati. Questi tipi di conflitti creano tuttavia condizioni non favorevoli al clima del gruppo e bloccano il suo sviluppo in un vero e proprio team, dove ogni componente trova la piena integrazione tra bisogni personali e bisogni del gruppo e una identificazione con quest’ultimo (lo sviluppo del senso del noi di cui si diceva pocanzi).
In che modo le nuove tecnologie e le nuove modalità produttive hanno modificato le relazioni all’interno dei gruppi di lavoro?
Nel mondo del lavoro al giorno d’oggi stiamo assistendo a due grandi cambiamenti: la globalizzazione dei mercati e l’inserimento delle nuove tecnologie.
La globalizzazione ha portato ad aziende che necessitano di fornire risposte sempre più flessibili in un ambiente, rappresentato dal mercato, la cui richiesta varia proprio perché così allargato.
Le nuove tecnologie a loro volta forniscono una risposta rapida alle richieste ambientali, ma hanno anche comportato nuove modalità di produzione (basti pensare alla lean production che permette alta qualità e produzioni just in time).
Dal punto di vista organizzativo questi cambiamenti hanno avuto ricadute sia sull’architettura delle organizzazioni, sempre meno gerarchizzate e sempre più piatte, sia sulla qualità dei lavoratori, che necessitano di competenze e conoscenze sempre maggiori, molto spesso sempre più specializzate.
Questi aspetti rendono pertanto il gruppo di lavoro lo strumento più funzionale in quanto l’alta specializzazione necessita di persone diverse che possano lavorare al meglio insieme per raggiungere obiettivi complessi, inoltre l’abbattimento delle gerarchie comporta allo stesso modo lo sviluppo di organizzazioni dove il team diviene il punto di riferimento.
Daniele Malaguti (http://www.danielemalaguti.it/), Psicoterapeuta e Psicologo del lavoro e delle organizzazioni, insegna Elementi psicologici e sociali del lavoro nei servizi sociali nel Dipartimento di Sociologia e Ricerca Sociale dell’Università di Trento