“Fare norme con principi. Principi generali e prevedibilità nel diritto internazionale penale” di Aurora Rasi

Dott.ssa Aurora Rasi, Lei è autrice del libro Fare norme con principi. Principi generali e prevedibilità nel diritto internazionale penale edito dal Mulino: quale rilevanza ha assunto la categoria dei principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati nel diritto internazionale?
Fare norme con principi. Principi generali e prevedibilità nel diritto internazionale penale, Aurora RasiI principi generali comuni agli ordinamenti nazionali sono il punto di congiunzione tra il diritto interno ed esterno agli Stati, ossia tra il diritto nazionale ed il diritto internazionale. Mi spiego meglio. Come indica la loro denominazione, i principi generali comuni agli ordinamenti nazionali hanno origine nel diritto degli Stati. È lì che nascono, che si sviluppano, che si consolidano, ed è lì che producono naturalmente effetti normativi. Non è errato dire che tali principi avrebbero potuto restare, per il diritto internazionale, dei meri fatti, financo sconosciuti. Eppure, ad un certo momento, questi principi vengono rilevati, ed applicati, dall’operatore del diritto internazionale. Ciò non avviene per caso, o per scelta arbitraria dell’operatore del diritto internazionale. Ciò bensì accade perché l’ordinamento internazionale annovera i principi generali comuni agli ordinamenti nazionali tra le sue fonti normative. Così facendo, esso trasforma dei meri fatti in contenuti giuridici vincolanti. Osservando il fenomeno dal punto di vista della teoria degli ordinamenti, può senz’altro constatarsi che l’atto di riconoscere tra le sue fonti i principi generali di origine nazionale comporta che l’ordinamento internazionale faccia propri gli orientamenti giuridici diffusi nel diritto interno agli Stati. È questo un fenomeno estremamente interessante. In fondo, il diritto è la manifestazione di volontà di chi ha il potere di fare norme, all’interno del proprio ambito di competenza. Il diritto nazionale, in tale ottica, è ciò che il legislatore vuole nell’ambito dell’ordinamento dello Stato. Ebbene, allorché la volontà di numerosi Stati coincidesse, questa diventerebbe ipso facto fonte del diritto internazionale. Si produrrebbe allora un effetto conformativo sull’ordinamento internazionale. I principi generali di origine nazionale evidenziano dunque che l’ordinamento internazionale vuole far proprio ciò che gli Stati vogliono. Non stupisce allora che l’interesse nei confronti di questa fonte del diritto internazionale cresca sempre più. Non che di principi generali si occupi soltanto la dottrina, sia chiaro. Basti pensare che, al momento, la Commissione del diritto internazionale, organo costituito dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con l’obiettivo di contribuire allo sviluppo del diritto internazionale, sta studiando proprio i principi generali comuni agli ordinamenti degli Stati. Eppure, la dottrina giuridica può fornire, forse più degli altri soggetti istituzionali, uno sguardo complessivo rispetto a tali principi generali e, in particolare, rispetto alle funzioni che questi svolgono non solo nell’ordinamento internazionale ma nell’intera esperienza giuridica, nazionale ed internazionale che sia.

Che nesso esiste tra i principi generali di origine nazionale ed il principio di legalità?
Per comprendere il nesso tra i principi generali di origine nazionale ed il principio di legalità occorre focalizzare l’attenzione sul diritto penale. Come numerosi ordinamenti nazionali, anche l’ordinamento internazionale contempla, al suo interno, un ramo penale. Esso quindi prevede delle norme incriminatrici, delle norme sanzionatrici e delle norme che disciplinano il procedimento giudiziario volto ad accertare la responsabilità penale degli individui. A differenza degli ordinamenti nazionali, però, l’ordinamento internazionale ha preso in considerazione le condotte degli individui, e la loro possibile criminosità, soltanto di recente. La genesi del diritto internazionale penale può infatti rinvenirsi nel processo di Norimberga o, per meglio dire, negli strumenti normativi che lo hanno governato. Al suo sviluppo hanno poi contribuito i Tribunali internazionali penali per la ex Jugoslavia e per il Ruanda, istituiti negli anni ‘90 dello scorso secolo dalle Nazioni Unite e, più di recente, la Corte penale internazionale. Il diritto internazionale penale è dunque un sistema normativo “acerbo”, per così dire, ben lontano dal grado di maturazione e di consolidamento che il diritto penale ha solitamente raggiunto nell’ambito delle normative degli Stati. È proprio tale carattere “acerbo”, unitamente alla circostanza che lo sviluppo del diritto internazionale penale avvenga soprattutto in via giurisprudenziale, a comportare che, non di rado, ci sia bisogno di integrare le sue norme. Talvolta c’è addirittura bisogno di “fare le norme”, ossia di formularle. Qui entrano in gioco i principi generali domestici: per “fare le norme”, o anche solo per integrare quelle che già ci sono, il giudice internazionale penale sovente ricorre a loro. È un metodo senz’altro efficace. Esso consente di arricchire un sistema normativo ancora rudimentale attraverso l’applicazione di principi di diritto estrapolati da sistemi giuridici più sofisticati. Peraltro, essendo i principi generali di origine nazionale una delle fonti del diritto internazionale, la loro applicazione è del tutto lecita. E tuttavia, così facendo, il giudice internazionale penale rischia di violare il principio di legalità. Quest’ultimo, riconosciuto sia nel diritto degli Stati che nel diritto internazionale, proibisce che l’individuo sia chiamato a sopportare delle conseguenze penali a fronte di condotte che, al tempo della loro commissione, non erano criminose. Nel diritto internazionale il principio di legalità è peraltro imperniato sul requisito della prevedibilità: perché sia rispettato, occorre che sulla base della normativa penale l’individuo possa prevedere tutte, ma proprio tutte, le conseguenze della propria condotta, e possa fare ciò sin dal momento in cui valuti se porla in essere. Ebbene, conciliare detta esigenza di prevedibilità con l’applicazione dei principi generali comuni agli ordinamenti nazionali è complicato per più d’una ragione. In questa sede, concentriamoci soltanto sulla principale. L’identificazione del contenuto di un principio generale comune agli ordinamenti domestici è il prodotto di un procedimento argomentativo complesso, difficile da compiere perfino per chi ha una solida preparazione giuridica. Talvolta, tale procedimento viene compiuto nel corso dello stesso processo internazionale penale nel quale il principio generale è destinato ad essere applicato per la prima volta. Vi è dunque il rischio che un individuo veda accertata la criminosità della sua condotta sulla base di un principio generale domestico che non solo al tempus commissi delicti non conosceva, ma che forse non avrebbe neppure potuto conoscere applicando uno standard di ordinaria diligenza. In tal caso vi sarebbe, con tutta evidenza, la possibilità che egli sia chiamato a sopportare, per la sua condotta, delle conseguenze penali che non avrebbe potuto, in tutto o in parte, prevedere. In tale ipotesi sarebbe dunque leso il principio di legalità. Ebbene, posto che l’applicazione dei principi generali di origine nazionale è un’attività del tutto lecita ai sensi del diritto internazionale, e posto che essa potrebbe porsi in conflitto con il principio di legalità, è urgente capire come sia possibile applicare i principi generali di origine nazionale senza che ciò comporti la violazione di altri principi pure riconosciuti dal diritto internazionale. Questa è esattamente l’operazione che mi sono proposta di fare con il mio libro. Scrivendolo, ho cercato di identificare degli elementi oggettivi, o per meglio dire delle condizioni la cui soddisfazione sia oggettivamente accertabile, che consentano all’operatore del diritto internazionale penale di applicare i principi generali di origine nazionale, così arricchendo il diritto internazionale penale, e di garantire, al contempo, che gli individui siano al riparo da qualsivoglia violazione del principio di legalità.

Come si sviluppa la scelta di ricorrere ai principi generali di origine nazionale?
La scelta di ricorrere ai principi generali di origine nazionale nasce dalla necessità di sanare le carenze del diritto internazionale. Le carenze possono manifestarsi in diverse forme. A volte l’operatore del diritto internazionale ricorre ai principi generali domestici perché ha bisogno di applicare una norma che però non trova, o che trova ma reputa troppo lacunosa per essere applicata. Ciò è accaduto, ad esempio, quando il Tribunale internazionale penale per la ex Jugoslavia si è trovato ad applicare per la prima volta la norma, prevista dal suo Statuto, in base alla quale i crimini contro l’umanità avrebbero dovuto essere sanzionati. Per applicarla, il Tribunale evidentemente necessitava di una seconda norma che stabilisse con quale pena sanzionare i detti crimini. E però, nel diritto internazionale, questa seconda norma non c’era. Allora il Tribunale ricorreva ai principi generali domestici. In base ad essi, veniva ricostruita una norma in base alla quale i crimini contro l’umanità avrebbero comportato le pene detentive più alte previste dall’ordinamento giuridico. Altre volte, la scelta di ricorrere ai principi generali di origine nazionale è determinata dall’impossibilità di interpretare una norma internazionale utilizzando gli strumenti previsti dallo stesso ordinamento internazionale. Tale ipotesi si è verificata dinanzi al Tribunale internazionale penale per il Ruanda, il quale ha applicato i principi generali domestici al fine di chiarire il significato delle norme internazionali che disciplinavano il concorso di persone nel crimine. La normativa internazionale puniva l’atto di aiutare o favorire la commissione di un crimine da parte di altri, e però non precisava quali condotte materiali concretizzassero davvero un aiuto o un favoreggiamento. Altre volte ancora la scelta di ricorrere ai principi generali comuni agli ordinamenti nazionali è compiuta per rafforzare l’autorevolezza delle norme internazionali. Ciò è avvenuto, ad esempio, innanzi alla Corte penale internazionale. Applicando il diritto internazionale, la Corte stabiliva che il processo penale potesse proseguire pur se l’imputato sarebbe stato assente a talune delle udienze che, nell’immediato futuro, si sarebbero tenute. Tale norma internazionale era però reputata dalla Corte scarsamente autorevole. Dopo averla applicata, allora, la Corte ha richiamato i principi generali domestici, chiarendo che il contenuto di questi fosse il medesimo della norma internazionale.

Quali problemi pone la loro applicazione nell’ambito penale?
L’applicazione in ambito penale dei principi generali domestici pone diversi problemi, tutti legati al principio di legalità. Alcuni di questi li vedevamo poco fa, quando parlavamo appunto del nesso che esiste tra i principi generali di origine nazionale ed il principio di legalità. In generale, possiamo dire che l’applicazione dei principi di origine nazionale può, e sottolineo può, ridurre il grado di prevedibilità della normativa internazionale penale e delle sue conseguenze. Vede, per poter prevedere le conseguenze della sua condotta, l’individuo ha bisogno di apprendere il contenuto della normativa penale. Mentre per conoscere il contenuto del diritto nazionale gli basterà aprire il codice penale, per conoscere il diritto internazionale l’individuo va incontro a molte più difficoltà. Egli dovrà consultare il diritto scritto, contenuto nelle convenzioni. Poi dovrà consultare il diritto non scritto, che è contenuto nella consuetudine e nei principi generali domestici. Per ricostruire la consuetudine l’individuo potrà restare nell’ambito del solo ordinamento internazionale. Invece, per ricostruire i principi generali domestici, egli dovrà esaminare gli ordinamenti dei diversi Stati che compongono il panorama giuridico mondiale e, poi, trasporre i principi comuni nel diritto internazionale. È evidente che il grado di difficoltà nella ricostruzione dei principi generali di origine nazionale sia molto alto. Talmente alto che ci si può domandare fino a che punto sia possibile presumere che ciascun destinatario del diritto internazionale, e dunque anche dei principi generali domestici, riesca a soddisfarlo. Con riferimento ai principi generali domestici vi è, in altre parole, un problema di conoscibilità della disciplina normativa il quale comporta, inevitabilmente, un deficit di prevedibilità della stessa e, dunque, un deficit nella garanzia del principio di legalità. Nel libro riscontro peraltro che non si tratta di problematiche insolubili. Esse sono certamente complesse ed abbisognano, per la loro soluzione, di un’analisi giuridica approfondita, che ho cercato appunto di svolgere.

Come avviene l’identificazione dei principi generali di origine nazionale?
L’identificazione dei principi generali di origine nazionale avviene mediante un procedimento teso a distillare i minimi comuni denominatori dell’esperienza giuridica nazionale. L’operatore del diritto internazionale deve, prima di tutto, selezionare gli ordinamenti nazionali da porre in comparazione tra loro. Non è una scelta neutra, né semplice. Essa presuppone una vasta conoscenza del diritto degli Stati, non limitata agli ordinamenti più prossimi alla propria cultura di riferimento, e deve inoltre portare alla composizione di una sorta di “indice” degli ordinamenti nazionali capaci di rappresentare tutte le tradizioni giuridiche che compongono il panorama giuridico mondiale. A quel punto, l’operatore deve procedere al confronto vero e proprio tra le normative degli Stati, con l’obiettivo di isolare i frammenti normativi comuni. Anche tale operazione è tutt’altro che semplice. In genere vi si procede astraendo, a partire dalle regole, i principi che le informano. Mi spiego meglio. Il medesimo principio generale di diritto può informare plurime regole particolari, le quali sono possono essere, e sovente sono, diverse tra di loro. Per fare un esempio, il principio della criminosità del furto informa plurime norme penali nazionali. Queste definiscono la fattispecie astratta in maniera leggermente diversa le une dalle altre. Inoltre, la sanzionano con pene di differente entità, a seconda del grado di allarme sociale riconnesso al furto nei vari contesti sociali, culturali e giuridici. Se si confrontassero tra loro le regole sarebbero subito evidenti le difformità tra gli ordinamenti nazionali, mentre gli elementi comuni faticherebbero ad emergere. Arrestando l’analisi a tal punto si potrebbe addirittura concludere che elementi comuni non ve ne siano. Invece, focalizzando l’attenzione sul principio di diritto che ispira ciascuna regola, e confrontando tra loro proprio e soltanto i principi, gli elementi comuni, se presenti, divengono manifesti. Per riprendere il nostro esempio, diverrebbe subito chiaro che tutte le regole, pur se eterogenee, sono informate al medesimo principio di diritto in base al quale il furto deve essere sanzionato penalmente. Ecco che allora, mediante il confronto tra i principi che ispirano le regole o, se si preferisce, che sono attuati dalle regole, l’operatore del diritto internazionale riesce ad identificare i principi generali comuni, quelli che cioè permeano i diversi ordinamenti nazionali e che possono, pertanto, ritenersi comuni all’esperienza giuridica nazionale nel suo complesso.

Quali tecniche presiedono alla trasposizione dei principi generali di origine nazionale?
La trasposizione dei principi generali di origine nazionale è un passaggio argomentativo delicato. Non una ma plurime tecniche descrivono come debba avvenire. Tutte partono indicando all’operatore del diritto internazionale di esperire un tentativo: una volta identificato un principio di diritto comune agli ordinamenti nazionali, occorre provare ad applicarlo, così com’è, in sede internazionale. Allorché il principio si rivelasse compatibile con il diritto internazionale, e dunque ivi applicabile, nulla quaestio. Se invece l’applicazione del principio in sede internazionale non si rivelasse praticabile, si porrebbe un problema di trasposizione. Lungi dal rappresentare una eventualità puramente ipotetica, la difficile applicazione di un principio comune agli ordinamenti degli Stati in sede internazionale si verifica con una certa frequenza. Del resto, ciò non deve stupire. Come abbiamo visto, quelli distillati esaminando gli ordinamenti degli Stati sono principi formatisi, sviluppatisi e consolidatisi nel contesto del diritto interno; principi il cui contenuto si è perfezionato interagendo con gli altri principi accolti nella medesima sfera giuridica nazionale. Il contesto giuridico nazionale è però profondamente diverso dal contesto del diritto internazionale: sono diversi i soggetti, le procedure mediante le quali si producono le norme giuridiche, le tecniche di soluzione dei conflitti normativi, addirittura gli strumenti di accertamento del diritto. Ebbene, sulla base dei rimedi che le diverse tecniche di trasposizione individuano per risolvere tale problema, è possibile suddividerle in due macro-categorie: le tecniche che ammettono un adattamento dei principi generali, da un lato, e le tecniche che tale adattamento escludono, da un altro lato. La prima categoria è fondata sull’assunto della possibilità, per l’operatore del diritto internazionale, di intervenire sul contenuto dei principi emersi dall’esame del diritto degli Stati. Tale intervento deve essere però limitato a rendere il principio compatibile con le peculiarità dell’ordinamento internazionale. La seconda categoria di tecniche di trasposizione è invece basata sull’assunto opposto, ossia sull’esclusione della possibilità di modificare il contenuto dei principi. La loro incompatibilità con il diritto internazionale sarebbe insanabile. Da un punto di vista più generale, è peraltro possibile guardare alle tecniche di trasposizione come a tecniche di raccordo tra ordinamenti giuridici e, al contempo, come a tecniche di soluzione dei conflitti normativi. Anch’esse hanno dunque un ruolo fondamentale in quel processo, incarnato proprio dai principi generali comuni alle normative degli Stati, di congiunzione dell’ordinamento internazionale con gli ordinamenti nazionali.

Aurora Rasi è ricercatore all’Università di Roma «La Sapienza». Tra gli altri suoi lavori «Lo sviluppo dei principi generali di diritto nel tempo» (Rivista di diritto internazionale, 2020), «The Court of Justice of the European Union and the International Criminal Court: The Fight Against Impunity Between Complementarity and Mandatory Requirements» («The Fight Against Impunity in EU law», Marin e Montaldo (eds), Oxford, 2020), «Gli effetti diretti e il primato del diritto dell’Unione: una creazione a geometria variabile» (Il diritto dell’Unione europea, 2018, Premio SIDI 2019).

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