“Famiglia Dovere Onore. Anatomia del Trono di Spade” di Sara Zurletti

Famiglia Dovere Onore. Anatomia del Trono di Spade, Sara ZurlettiProf.ssa Sara Zurletti, Lei è autrice del libro Famiglia Dovere Onore. Anatomia del Trono di Spade edito da Castelvecchi: a cosa si deve il successo di quello che è considerato il più rilevante fenomeno di cultura pop del secondo decennio degli anni Duemila, la serie televisiva Trono di Spade?
Il successo straordinario del Trono di Spade è dovuto a mio parere alla combinazione di diversi fattori. Il primo fattore è l’inedita gestione nella storia dell’elemento dell’“avventura”. Le epiche battaglie di terra, di mare e di cielo, gli assedi sanguinosi, le scalate impossibili, i fulgidi eroismi e le orribili viltà, e poi cariche di cavalleria, duelli, fughe, evasioni, sono ingredienti tradizionali per i film d’avventura, li abbiamo già visti mille volte, ma nel Trono di Spade tutto avviene in una scala assolutamente smisurata: una sorta di potenziamento e intensificazione dell’avventura, possibili grazie al meccanismo della serie che costruisce prioritariamente il quadro di drammaticità generale in cui l’azione è inserita. Per fare un solo esempio, la battaglia tra i Bruti e i Guardiani della Notte nell’episodio nove della quarta stagione dura ben cinquanta minuti: cinquanta minuti di appassionante battaglia con l’intensità e la tensione proprie a uno scontro di portata epica. Ma tale intensità è data anche dall’approfondimento psicologico precedente, per cui vediamo scontrarsi, su entrambi i fronti, personaggi che conosciamo bene e che apprezziamo, per un effetto globale di impatto travolgente (Jon deve tenere tra le braccia l’amata Ygritte morente; i suoi confratelli dei Guardiani della Notte, recitando il loro giuramento, si sacrificano per abbattere il Gigante che si è introdotto a Castello Nero; Mance Rayder, il fiero re dei Bruti che rifiuta di inginocchiarsi, viene preso prigioniero). Tutto questo, senza dimenticare che l’avventura avviene in un medioevo reinventato sulla scorta del Signore degli Anelli (la fonte principale del Trono di Spade, come spiego nel primo capitolo), quindi con armi, corazze, cavalli, castelli, vestiti, cibo, usanze, stile di vita, concepiti in maniera da formare un’ambientazione storica del tutto persuasiva. George Martin e gli showrunner della serie D. Benioff e D. B. Weiss hanno creato un mondo costruito in maniera micrologica, dove i singoli dettagli e l’insieme si corrispondono alla perfezione. Il secondo motivo del successo mondiale del Trono di Spade sta nella modalità stessa della serialità televisiva che, quando è ben gestita, genera dipendenza nello spettatore. Le serie televisive rappresentano per le nostre società quello che nell’Ottocento erano i feuilleton, cioè romanzi a puntate che venivano pubblicati in appendice su riviste e poi raccolti in volume. Molti meravigliosi romanzi dell’Ottocento nascono come feuilleton: I Miserabili di Victor Hugo, per esempio, o I Misteri di Parigi di Eugène Sue o i romanzi di Dickens. La serialità televisiva ha saputo ricreare quel legame di lunga durata con il fruitore che era caratteristico appunto del feuilleton, per il quale i lettori della borghesia ottocentesca aspettavano con ansia l’uscita delle riviste per leggere un altro capitolo della loro storia preferita, come gli appassionati del Trono di Spade hanno aspettato con ansia la ripresa della serie da una stagione all’altra. Corollario di questa derivazione ideale dal feuilleton è che la nuova serialità (quella nata con la diffusione della televisione via cavo) ha la possibilità mai sperimentata prima di sviluppare un carattere, o un tema o una situazione: si trova cioè tra le mani la possibilità di approfondimento che appartiene da sempre alla letteratura, ma che il cinema e la televisione non avevano mai avuto. Il cinema può bensì scolpire un carattere in maniera essenziale e persuasiva, ma è costretto a procedere per compressione e per simbolizzazione perché il tutto si svolge e si deve concludere nell’arco di più o meno due ore. Invece, nel libro analizzo i meccanismi strutturali, una vera e propria moltiplicazione dei livelli di temporalità, che permettono alla nuova serialità televisiva di rivaleggiare con il romanzo. Da qui i caratteri meravigliosamente disegnati del Trono di Spade, i personaggi che risultano interessanti, persuasivi, toccanti, repellenti, in una parola veri. Il terzo motivo del successo è la particolare accezione in cui è presente il “meraviglioso”. Nel Trono di Spade il meraviglioso è usato in maniera duplice. Da una parte ci sono creature magiche che partecipano all’azione (draghi, meta-lupi, zombie, spettri, maghe, uomini-albero, giganti, elfi): i draghi di Daenerys Targaryen, per esempio, diventano una presenza sempre più importante mano mano che la serie va avanti e in corrispondenza dell’ultima stagione hanno un ruolo essenziale nelle due battaglie a Grande Inverno e ad Approdo del Re. Il meraviglioso fa sognare, oggi come all’epoca di Omero: vedere in azione un drago, anzi, volare con una ripresa in soggettiva sulla sua groppa incenerendo dall’alto i nemici con una lingua di fuoco, è un’esperienza esaltante, un modo di evadere dal quotidiano e lasciarsi rapire in una dimensione fantastica. Nel libro, però, dimostro che il sovrannaturale ha anche una ulteriore importantissima funzione, che è anche di tipo strutturale: questo riguarda il particolare il ruolo degli Estranei.

Quale rapporto esiste tra i romanzi di George R.R. Martin e la serie televisiva?
Il rapporto tra i romanzi di Martin e la serie televisiva è complesso perché non è quello di una semplice derivazione: dedico tutto il terzo capitolo a metterlo bene a fuoco, anche paragonando il Trono di Spade ad altre serie televisive e cinematografiche. Tutti gli appassionati sanno che Martin non ha ancora finito di scrivere i suoi romanzi, mentre la serie televisiva si è ormai conclusa. Quindi siamo davanti a un’opera “derivata” (la serie) che sopravanza quella da cui deriva (i romanzi) e acquista rispetto a quella una sostanziale autonomia espressiva. Da qui, probabilmente, la difficoltà di Martin a finire i romanzi, che dovrebbero essere ancora due. Come spiego meglio nel libro, però, la questione del rapporto tra romanzi e serie non può essere concettualizzata solo sulla base di una semplice priorità cronologica, ma è di natura ermeneutica, è cioè un processo di “interpretazione”. Se infatti la distanza tematica tra serie e romanzi è minima nelle prime due stagioni, mano mano che la serie si sviluppa Benioff e Weiss cominciano a lavorare sulla traccia scritta di Martin come se fosse un canovaccio, cioè procedono interpretandola e quindi costruendo sulla base di quella una “drammaturgia” (il Trono di Spade, per certi versi, è teatro filmato) che adopera gli stessi elementi dei romanzi ma li sviluppa in maniera originale. Il punto più intrigante della questione è però esaminare cosa accada quando Martin stesso passa a “interpretare” i suoi romanzi e firma come sceneggiatore il bellissimo episodio dell’Orso e la Fanciulla bionda. Potremmo definirlo un cortocircuito semiotico.

Qual è la struttura della storia narrata nel Trono di Spade?
La struttura della storia risulta a mio parere dalla combinazione di diversi principi. Il primo è quello di una storia “a esplosione”. Tutto comincia infatti a Grande Inverno, nel primo episodio della prima stagione, e procede come una gigantesca esplosione corrispondente alla “diaspora” degli Stark. Ned e Catelyn Stark, e poi i loro figli – Robb, Sansa, Bran, Arya e Rickon, più il “bastardo” Jon Snow e il protégé di Ned Stark Theon Greyjoy – partono da Grande Inverno sparpagliandosi a raggiera in giro per i Sette Regni. Da questo punto la storia procede con il modello detto “a spirale”, perché le vicende relative ai vari personaggi ruotano comunque tutte intorno a un medesimo asse centrale: la Guerra dei Cinque Re. Per le prime quattro stagioni, il Trono di Spade potrebbe essere rappresentato come un universo in continua espansione. Poi, dalla sesta all’ottava stagione, l’universo narrativo del Trono di Spade comincia a contrarsi, fino a ritornare lì dove tutto aveva avuto inizio, Grande Inverno. È molto difficile per gli autori governare questa contrazione progressiva per la quale linee narrative autonome tendono a convergere e ad accavallarsi le une sulle altre: nel libro analizzo le conseguenze determinate da questa “contrazione strutturale” sulla fisionomia dei personaggi. Il Trono di Spade è veramente una forma molto complessa, direi persino impossibile da cogliere con una definizione soddisfacente. Ma a me, in quanto fan, è successo che riflettere sui dettagli di costruzione, cogliere l’esistenza di un problema di gestione dei vari fili narrativi, capire perché i principi strutturali si alternassero e a volte entrassero in conflitto, ha portato a seguire la serie con maggiore consapevolezza e allo stesso tempo anche maggiore piacere. Questo è tipico delle grandi opere d’arte: quanto più le analizzi, quanto più le conosci, quanto più penetri nei loro dettagli, tanto più aumenta il loro fascino e la loro capacità di incantare.

Quali considerazioni è possibile sviluppare riguardo all’ambientazione e agli orizzonti temporali implicati nella storia narrata?
L’ambientazione e la temporalità sono il vero colpo di genio di Martin. Nella trama del Trono di Spade, infatti, il tempo e lo spazio si identificano. Dall’inizio, anche perché è il motto della casa più importante, sappiamo che “L’inverno sta arrivando”, quindi veniamo informati che sugli uomini e i loro futili giochi dei troni pende una minaccia mortale. La minaccia, che non viene presa abbastanza sul serio fino a quando accade l’irreparabile, è l’avanzata dell’esercito dei Morti dai territori a nord della Barriera verso la Barriera stessa, per oltrepassarla e invadere i Sette Regni. Se volessimo parafrasare il motto “L’inverno sta arrivando”, potremmo dire che “L’esercito dei Morti sta arrivando”: l’“inverno”, propriamente, è questo. L’arrivo minaccioso dell’inverno, che è un dato “temporale” – a Westeros, come è noto, le stagioni non si avvicendano con un ritmo regolare -, viene però verificato nella trama da un dato squisitamente “spaziale”, e cioè la pressione che prima i Bruti e dopo gli stessi Estranei fanno sulla Barriera. Le tappe dell’azione, che portano prima i Bruti comandati da Mance Rayder ad assaltare Castello Nero in un disperato ed epico tentativo di sottrarsi all’avanzata dell’esercito dei Morti, poi vedono Jon Snow, eletto Comandante dei Guardiani della Notte, accogliere i Bruti a Castello Nero (per una decisione che gli costerà cara), e infine ci mostrano l’Esercito dei Morti sfondare la Barriera grazie al drago di Daenerys arruolato dal Re della Notte, rivestono di concretezza spaziale – battaglie, scalate, assalti, resistenze, migrazioni di popoli, morti che marciano inesorabilmente – l’astratto dato temporale dell’“arrivo dell’inverno”. Nel libro spiego come questa geniale invenzione strutturale verifichi in maniera clamorosa dei concetti tradizionali della teoria della letteratura. Parti consistenti della mia analisi mostrano come si riscontri nel Trono di Spade proprio l’applicazione intelligente e spregiudicata di tecniche tradizionali della letteratura, del teatro e del cinema.

Quale profilo si può tracciare dei personaggi?
Nei romanzi i figli degli Stark sono tutti giovanissimi, mentre nella serie sono molto più grandi. Per fare un esempio, Sansa ha solo undici anni quando parte per Approdo de Re, Arya ne ha nove, Robb quattordici. La giovane età è funzionale alla storia perché Martin disegna i loro percorsi – come pure quello di Jon Snow, Theon Greyjoy e Daenerys Targaryen, come altrettanti “romanzi di formazione”, cioè quel tipo di romanzi in cui viene descritto come un adolescente, superando una serie di prove, diventi alla fine un adulto. Così, per fare solo qualche esempio, quello di Arya è il romanzo di formazione di un killer, quello di Sansa il romanzo di formazione di una regina, quello di Jon il romanzo di formazione di un capo militare. Ma Martin ha anche una grande esperienza di sceneggiatore e per disegnare i suoi personaggi ha senz’altro tenuto presente il miglior manuale esistente: Il Viaggio dell’Eroe di Christopher Vogler, un indispensabile strumento di lavoro per qualunque sceneggiatore hollywoodiano. Il Viaggio dell’Eroe è una morfologia: prescrive cioè una serie di tappe per le quali quello che succede all’eroe deve avere una logica e una consequenzialità ben definite. Tutti i personaggi maggiori del Trono di Spade appaiono disegnati con questo modello. Nel libro analizzo uno per uno i “viaggi” dei vari personaggi e spiego anche la ragione di una sorta di “distorsione” caratteristica che si nota tra i tracciati dei personaggi e la struttura della storia.

Qual è la dimensione valoriale del Trono di Spade?
Il Trono di Spade è cultura di massa, non c’è dubbio. Ma non è una normale occorrenza della cultura di massa. Sostengo anzi che il Trono di Spade sia stato diffuso con la modalità e i canali di un’opera d’arte pop ma che, a guardarlo bene, smentisca la propria appartenenza alla cultura di massa non appena se ne consideri il “messaggio”. Il sistema di valori affermato dalla serie, infatti, non solo non è sovrapponibile a quello di tanti altri prodotti mainstream pensati per un pubblico di massa – un messaggio che potremmo in estrema sintesi definire conformista e rassicurante, tarato sull’orizzonte di attesa di un pubblico che non vuole né riflettere criticamente né tanto meno ribellarsi ai valori correnti – ma, al contrario, si rivela elitario e critico nei confronti della realtà. Questo, dal punto di vista semiotico, è un vero tour de force. L’obiettivo viene ottenuto mandando in scena uno scontro ad alta densità simbolica tra il “potere” e l’“onore”. Da una parte c’è il Trono di Spade, che in quanto simbolo sintetizza la parola d’ordine delle nostre società, dove l’individuo spende la vita a rincorrere “successo, denaro e potere” ed è disposto a qualunque bassezza e crudeltà pur di assicurarseli. Ma dalla parte opposta del Trono c’è l’“onore”, simboleggiato al più alto grado da Ned Stark. Dedico il quarto capitolo del libro a spiegare cosa rappresenta e perché Ned Stark, malgrado muoia alla fine della prima stagione, sia il personaggio più importante del Trono di Spade, e come soltanto comprendendo questo dato fondamentale si riesca a cogliere il messaggio profondo della storia. Diciamo qui solo che l’ottava stagione, che tanto ha fatto discutere (ne parlo anch’io nel libro, mettendone a fuoco le debolezze ma anche i grandi pregi), non poteva finire con la battaglia contro gli Estranei a Grande Inverno – per me, una delle più spettacolari battaglie mai filmate. L’azione era destinata a concludersi obbligatoriamente intorno al Trono di Spade, ad Approdo del Re, perché doveva mostrare come alla fine l’onore prevalga sul potere, almeno dal punto di vista simbolico.

Si può affermare che il tema chiave dell’intera epica del Trono di Spade sia la questione dell’eroe: quale statuto di eroismo emerge dal racconto?
L’etimologia della parola “eroe” la lega al tema del sacrificio: l’eroe è colui che si sacrifica per propiziare la palingenesi della comunità cui appartiene. Il caso del Trono di Spade è particolare: l’eroe onorevole che dovrebbe sconfiggere il Trono, Ned Stark, muore infatti troppo presto, cioè prima di essere riuscito a produrre la palingenesi della comunità cui appartiene (i Sette Regni). Dal punto di vista narrativo è una situazione disperata. In realtà, tutto quello che succede in seguito funziona come un’esplosione innescata dall’uccisione del signore di Grande Inverno, in cui altri personaggi – persino Jaime Lannister! – ricevono parte dell’energia positiva di Ned, che alla fine della storia si raccoglie nuovamente intorno alla figura di Jon Snow. A quel punto, Jon è pronto a portare l’attacco decisivo al potere e fa letteralmente crollare il vecchio mondo basato sul potere del Trono. A tale proposito è interessante indagare (mi soffermo su questo punto nel quarto capitolo) che tipo di eroe sia Jon Snow e se riesca a eseguire pienamente il mandato simbolico che grava sulle sue spalle da quando Ned Stark muore, o se la sua figura mostri fino alla fine qualcosa come un’“inadeguatezza” al proprio gigantesco compito. Per finire, faccio notare come Ned Stark e il suo amico e antagonista nella prima stagione, Robert Baratheon, siano delle figure archetipiche di “padri”, e come invece Jon (che, secondo quanto si apprende alla fine della settima stagione, non è il figlio bastardo di Ned ma quello legittimo di sua sorella Lyanna Stark e di Raeghar Targaryen, e come tale legittimo erede del Trono dei Sette Regni) appartenga a quello dei “figli”. Jon è “figlio” in senso fortemente simbolico: è infatti concepito da Martin, Benioff e Weiss proprio come il Sigfrido dell’Anello del Nibelungo di Wagner, eroe puro dal destino segnato. Definire la fisionomia di eroe di Jon Snow è di importanza essenziale per capire Il Trono di Spade, perché ricade su questo personaggio la responsabilità dello scioglimento finale dell’azione e, aggiungerei, del carico simbolico che vi è associato.

Sara Zurletti si occupa di Musica, Estetica e Germanistica. Ha insegnato in varie università italiane e a Paris 8. Attualmente insegna Storia della musica al Conservatorio di Cosenza. Pubblica in quattro lingue ed è regolarmente invitata in convegni nazionali e internazionali. Ha curato volumi collettanei e pubblicato Il concetto di materiale musicale in Th. W. Adorno (Il Mulino, 2006), Le dodici note del diavolo. Ideologia, struttura e musica nel Doctor Faustus di Th. Mann (Bibliopolis, 2011) e Amore luminoso, ridente morte. Il mito di Tristano nella Morte a Venezia di Th. Mann (Castelvecchi, 2016).

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