
Precisiamo che pur essendo amico di Fabrizio non l’ho mai chiamato Faber e con Faber il titolo non ha niente che vedere. Più semplicemente è preso da una poesia che Fabrizio mi lesse a L’Agnata, quando stavamo correggendo le bozze e lui, in questa poesia dedicata a Dori, si definiva Falegname di Parole.
Come si potrebbe descrivere la multiforme personalità di Fabrizio De André?
Fabrizio è stato prima di tutto un grande intellettuale al pari di Pasolini e Sciascia. Attraverso la sua opera ha contribuito alla crescita civile di questo paese anche se negli ultimi tempi si domandava se tutto l’impegno profuso nella sua opera fosse realmente servito a qualcosa.
In che modo l’esperienza di vita di De André si riflette nelle sue canzoni?
Pur non essendo esattamente autobiografiche molte delle sue canzoni prendono spunto da situazioni vissute, le più disparate, penso alla Citta Vecchia (la citazione del professore) e a Mègu Megùn (il ricordo di un colorato litigio della nonna), dove cita personaggi e fatti realmente accaduti.
In quali brani si rispecchiava maggiormente Fabrizio?
Tutti! Ma c’è uno in particolare che chiude Anime Salve il suo ultimo disco, Smisurata preghiera è infatti una sorta di testamento, una summa del suo pensiero. Entrato per caso nell’album, è un brano straordinario, di grande intensità e, senza saperlo, chiude definitivamente il sipario sulla sua produzione.
Qual è stata l’importanza di Dori Ghezzi per l’ispirazione artistica di Fabrizio De André?
Avere Dori accanto è stato fondamentale per Fabrizio. Dori è una persona molto pratica, il filtro ideale per un artista, visto che conosce molto bene tutto ciò che ruota intorno alla musica. Infaticabile e generosa, le è stata accanto dal 1975. Indubbia la sua importanza nel processo creativo; lei ha giustamente fatto notare che non sempre si può essere all’altezza quando ci si confronta con artisti fuori dal comune come Fabrizio.
Il libro è denso di ricordi e testimonianze, alcune inedite: quali, a Suo avviso, quelle più significative?
Il libro è frutto di un lungo lavoro condiviso con Fabrizio che prevedeva la realizzazione della biografia (Non per Un dio ma Nemmeno per Gioco, Vita di Fabrizio De André – Feltrinelli 22° edizione) oltre allo studio dell’opera o dello stile come dicono gli americani. Falegname di Parole è un libro divulgativo, non critico, che vuole essere una guida all’ascolto e alla fruizione dell’opera attraverso il mio commento e le tante testimonianze di Fabrizio e di artisti che con lui hanno lavorato da Piero Milesi a Pagani, Fossati, Reverberi, Bubola etc. Si tratta di tutto materiale inedito, interviste da me realizzate. Le più significative sono ovviamente quelle di Fabrizio insieme ad alcune pennellate di musicisti quali Roberto Vecchioni e Antonello Venditti. A complemento bisogna aggiungere tanti materiali (foto, partiture, etc.) inediti e mai pubblicati.
Vuole raccontarci qualche aneddoto su Fabrizio?
Fabrizio era una persona molto divertente, di aneddoti ce ne sarebbero tanti, ma quello che mi piace ricordare di lui è la grande generosità ed affettuosità che elargiva a chi gli era vicino. Dopo la sua scomparsa sono venuto a sapere dal suo amico Andrea Grillo che Fabrizio (a mia insaputa) gli aveva telefonato preavvisando la mia intervista.
Nel ventennale dalla sua scomparsa, qual è l’eredità di Fabrizio De André?
In questo ventennale della sua scomparsa, molte potrebbero essere le considerazioni da farsi. In primo luogo il tanto, eccessivo utilizzo avvenuto proprio con la pubblicazione di libri scadenti, scritti per la maggior parte da chi non solo non l’ha mai conosciuto, e questo ci potrebbe anche stare, ma nemmeno lo ha mai ascoltato in concerto. Questi lavori non fanno altro che confondere dando di Fabrizio una immagine non corretta, sfumata, lui che è stato sempre contro e soprattutto mai banale. Poi va anche detto che i mezzi di comunicazione, televisione compresa, hanno fatto il minimo sindacale, quando ci si sarebbe aspettati maggiore riguardo nei confronti di un artista che è stato e rimane uno dei grandi della nostra cultura. La sua eredità? Direi soprattutto lo stimolo a pensare, a guardare dietro alla facciata, ad interrogarsi. Questo il lascito più grande, anche se oggi senza la sua voce che ci rappresenta, ci sentiamo inascoltati e quasi inermi di fronte al potere che giornalmente ci avviluppa.