
In realtà le moderne fake-news sono legate strettamente alla diffusione dei social media e nascono nell’ultimo decennio all’interno degli sforzi della Russia di recuperare la propria autorevolezza nel mondo. Infatti, come racconto nel mio libro, le fake-news così come le conosciamo oggi sono il risultato di un sofisticato lavoro di ingegneria comunicativa e sociale realizzato dagli sforzi congiunti del FAPSI, l’Agenzia Federale per le Comunicazioni e l’Informazione russa, e dell’Internet Research Agency, una azienda indipendente di San Pietroburgo con oltre 500 dipendenti, probabilmente finanziata da Evgeny Prigozhin, un oligarca molto vicino a Putin.
Cosa si intende per «mondo post-verità»?
Per spiegarlo parto dal concetto di fatto. Su che cosa sia un fatto nessuno ha dubbi: è un evento immediatamente evidente. I problemi nascono quando parliamo di evidenza. Esistono infatti due fonti di evidenza. Una prima fonte è l’osservazione diretta del mondo fisico che ci circonda (esperienza): è un fatto che oggi piove perché se guardo fuori dalla finestra c’è la pioggia. Una seconda fonte di evidenza nasce dalla comunicazione e/o dall’osservazione delle persone o degli oggetti presenti nella nostra rete sociale (conoscenza): è un fatto che per potersi iscrivere a Medicina bisogna superare un test di ammissione. Gli psicologi sociali hanno dimostrato da tempo che la conoscenza sociale è una fonte di evidenza superiore a quella dell’esperienza. Infatti, negli anni ’50 uno psicologo sociale, Solomon Asch, ha realizzato un esperimento diventato un classico all’interno degli studi sul conformismo sociale. Ad un gruppo di soggetti, di cui tutti meno uno erano complici dello sperimentatore, veniva chiesto in dodici prove di osservare una linea su un foglio e di indicare a quale corrispondesse tra altre tre di dimensioni differenti. Dopo cinque risposte corrette, il gruppo dei complici incominciava a rispondere in maniera unanimemente scorretta. Che cosa faceva a questo punto il povero soggetto sperimentale, che doveva rispondere per ultimo? L’ottanta per cento dei partecipanti, pur davanti ad un’evidenza contraria, ha ceduto alla pressione del gruppo almeno una volta mentre quasi il sessanta percento almeno due volte.
Nel mondo post-verità si usa lo stesso approccio: vengono utilizzati i social media per mostrare che le persone del nostro gruppo sociale hanno tutte la stessa visione, falsa, di quello che succede intorno a noi spingendoci implicitamente ad adeguarsi ad essa. In pratica nel mondo post-verità non conta l’evidenza ma il conformismo sociale, imposto attraverso un uso distorto dei social media. Il risultato finale è sorprendente. Le fake-news non solo modificano la percezione della realtà del soggetto ma sono anche in grado di influenzarlo fino al punto da spingerlo a condividerle in tempo reale in maniera spontanea e partecipata.
Dove nascono e si diffondono le fake news?
Come racconto in dettaglio nel volume la strategia utilizzata dalle fake-news è quella di proporsi come fatti sociali la cui evidenza, anche quando l’esperienza mostrerebbe il contrario, nasce dal supporto del gruppo sociale di cui facciamo parte (riprova sociale). Nel mondo offline un approccio del genere sarebbe praticamente impossibile: solo le istituzioni hanno la capacità di proporre e imporre fatti sociali agli altri membri della rete con la stessa efficacia. La nascita e la diffusione dei social media invece ha reso possibile attuare nel mondo digitale questo tipo di strategia, anche se a lungo lo hanno compreso in pochi. In particolare a facilitare questa strategia è l’utilizzo di «cyber-truppe» i cui soldati sono i «troll», i «bot» e i «chatbot». Se i troll sono utenti dei social media che hanno l’obiettivo di intervenire sui social e nelle chat generando conflitto e divisione, i bot e i chatbot sono invece falsi profili social controllati da programmi di intelligenza artificiale che hanno il compito di condividere (bot) o commentare (chatbot) le fake-news.
Esiste un nesso tra sharing economy, influencer e fake news?
Sharing economy, influencer e fake-news condividono lo stesso tipo di evidenza: la conoscenza sociale. In tutti e tre i casi, infatti, non è l’esperienza a dirmi che Tizio è un “driver” e che quindi può svolgere lo stesso ruolo di un taxista o che Caio è uno “youtuber” esperto di videogiochi, ma la presenza di una rete sociale che lo conferma con il proprio supporto. Per questo, anche se non ho licenze o capacità particolari ma quello che è faccio è in grado di attrarre una rete di follower posso comunque essere “driver” o un social influencer e diventare famoso.
Che cosa significa questo: che oggi crearsi una rete sociale digitale è diventato il sistema più veloce di mobilità sociale. Più di qualunque altro strumento attualmente disponibile. Come ho raccontato in dettaglio nel mio volume sui Selfie, se io sono in grado di costruire una grande rete sociale digitale e questa rete sociale è disposta a seguirmi e ad attribuirmi uno status – youtuber, driver, host – allora io ottengo lo status indipendentemente da qualunque altro fattore, compresa la competenza.
Con un meccanismo simile, però, posso anche creare le fake-news. Inizio creando una comunità digitale, che raccolga il gruppo di persone che voglio raggiungere intorno ad un obiettivo comune. Poi presento le fake-news come dei fatti sociali direttamente legati al raggiungimento o al mancato raggiungimento dell’obiettivo comune, dicendo che tizio e/o il suo gruppo/partito con il suo comportamento, ha messo in discussione tali valori. E faccio in modo che i membri della comunità con i loro commenti esprimano una forte disapprovazione nei confronti delle conseguenze di questo evento per il gruppo. Alla fine di questo processo saranno i membri della comunità stessa a supportare e a difendere la verità delle fake-news.
Come sopravvivere alle fake news?
Difendersi dalle fake-news è difficile e richiede un intervento integrato a tre livelli.
Il primo livello è quello istituzionale, che deve regolare le modalità di accesso e di utilizzo dei nostri dati personali e punire i creatori di fake-news.
Il secondo livello di intervento è quello della rete, che attraverso delle figure dedicate – i «fact-checker» – può aiutare sia i gestori dei social media che i loro utenti a riconoscere le fake-news.
L’ultimo è quello del singolo utente, che può difendersi in tre modi. Il primo è riducendo la dipendenza comportamentale: ogni utente di smartphone lo controlla in media centocinquanta volte al giorno, una volta ogni 6 minuti. Il secondo, dedicando una maggiore attenzione a quanto troviamo sui social. Infine, attraverso un adeguato livello di formazione che permetta di identificare quei segnali che caratterizzano le fake-news.