“Faculty development. Il docente universitario tra ricerca, didattica e management” di Roberta Silva

Prof.ssa Roberta Silva, Lei è autrice del libro Faculty development. Il docente universitario tra ricerca, didattica e management, edito da Carocci: quali sfide impone, all’Università italiana, il panorama attuale?
Faculty development. Il docente universitario tra ricerca, didattica e management, Roberta SilvaPer rispondere a questa domanda è necessario prima di tutto fare una premessa: negli ultimi anni la figura professionale del docente universitario ha vissuto un cambiamento organizzativo che non l’ha lasciata indifferente. Infatti, se in passato i suoi compiti vertevano in modo quasi totale su didattica e ricerca, negli ultimi anni il ruolo dei cosiddetti “carichi istituzionali” ha assunto un peso sempre più rilevante. Da un punto di vista pratico questo significa che il docente universitario ha avuto necessità di formarsi (o per meglio dire, in molti casi “auto-formarsi”) a competenze “nuove” quali quelle gestionali, organizzative e di leadership. Questo è avvenuto in un periodo storico in cui, inoltre, anche gli ambiti della ricerca e della didattica sono profondamente cambiati. Basti pensare, ad esempio, al ruolo sempre più preponderante che stanno assumendo nella vita accademica la risposta ai bandi competitivi (siano essi nazionali o internazionali): elaborare un proposal per queste call prevede competenze specifiche che i docenti universitari hanno dovuto acquisire. Va inoltre considerata la necessità di adattare la didattica alle esigenze di studenti profondamente diversi da quelli che varcavano le soglie dei nostri Atenei anche solo dieci anni fa. Già questo cambiamento professionale, o per meglio dire la necessità di evolvere in coerenza con esso, rappresenta una sfida per l’Università italiana, che ha, a mio parere, la responsabilità di accompagnare i propri docenti in questa evoluzione se desidera metterli nella condizione di abbracciare il mutamento e viverlo come un’occasione di crescita. A questa sfida, già di per sé impegnativa, si affiancano quelle che la pandemia ha portato con sé. Sarebbe assurdo non ammettere che l’esperienza degli ultimi anni ci ha mutato e anche ora che essa sembra essere, come tutti speriamo, in remissione, ci rendiamo conto che come una risacca ha lasciato, sulla spiaggia dell’accademia, degli elementi di cui dobbiamo tenere conto. Taluni, come l’introduzione sempre più massiccia delle tecnologie nella vita universitaria, erano aspetti che già affioravano sotto la sabbia e che la marea ha solo fatto emergere con maggiore velocità, mentre altri, come la necessità di gestire in modo più efficace gli aspetti socio-relazionali della vita accademica, erano essenzialmente inaspettati. Ma sono comunque lì, a caratterizzare il nostro nuovo orizzonte, e dobbiamo prenderli in carico se vogliamo assumere un ruolo responsabile nei confronti del nostro agire professionale. Io credo che il faculty development sia uno strumento prezioso per aiutarci in questo processo.

Cos’è il faculty development?
Il concetto di faculty development ha subito, nel corso del tempo, molti cambiamenti tuttavia una definizione fondamentale di John Bruce Francis, risalente agli anni Settanta, lo identifica come quello sforzo specifico, compiuto dalle Università, per sostenere nei faculty members lo sviluppo delle competenze necessarie previste dal loro profilo professionale, con lo scopo di ingenerare in loro un cambiamento sia in termini di comportamenti attuati che di orientamento personale, che consenta loro di abbracciare i bisogni degli studenti e di contribuire alla crescita dell’istituzione accademica. Si tratta di una definizione in parte eccessivamente sintetica, tuttavia contiene un principio di triangolazione tra docente, studente e istituzione e una visione evolutiva che caratterizzano tutt’oggi il faculty development. Un aspetto interessante, che ha invece caratterizzato i primi anni Duemila, è stata l’enfasi sempre maggiore che (soprattutto in ambito anglosassone) gli Atenei hanno posto sullo sviluppo non solo professionale, ma anche personale dei proprio docenti, impegnandosi in iniziative volte alla promozione delle soft skils dei docenti così come in programmi aventi come obiettivo quello di sostenerli in modo più trasversale. Basti pensare, ad esempio, agli interventi di molte Università statunitensi per migliorare il bilanciamento lavoro-vita privata o per sostenere quei faculty members che si trovano in una fase di transizione, sia essa “fisica” che di tipo più personale (come ad esempio il passaggio a un profilo senior). Questi cambiamenti sono significativi per comprendere il senso profondo delle azioni di faculty development che, con il passare del tempo, si caratterizzano sempre più come l’espressione della volontà degli Atenei di farsi carico dello sviluppo dei faculty members in modo globale, al fine di renderli a loro volta agenti di cambiamento capaci di supportare l’istituzione accademica verso il fiorire pieno delle sue potenzialità.

In che modo il faculty development rappresenta uno strumento essenziale per gestire la metamorfosi che sta subendo l’Università?
Partendo dalle premesse che abbiamo qui tracciato è evidente che, se il panorama contemporaneo ci mette di fronte a questioni sempre più complesse e articolate, è necessario per le Università “attrezzarsi” per affrontarle in modo propositivo e non in un’ottica di “tamponamento” o peggio ancora di importazione di azioni risolutive sviluppate in contesti “altri” senza la necessaria opera di adattamento. Altrettanto poco efficace è chiedere ai faculty members di farsi carico di tali compiti senza fornire loro gli strumenti, le conoscenze le competenze adeguate a fronteggiarli. Il compito del faculty development in una situazione di questo tipo è, a mio parere, quella di impegnarsi in un’analisi dello stato attuale per identificare con chiarezza i bisogni emergenti e metterne in luce le aree di reciproca influenza. In seguito a ciò è possibile definire, in modo progressivo e strutturato, le azioni tese a rispondere alle esigenze identificate, nonché le risorse necessarie per implementarle. Fondamentale a questo proposito credo sia la capacità di promuovere interventi interconnessi e capaci di supportarsi e “potenziarsi” vicendevolmente, mantenendo al contempo una logica di sostenibilità e di realismo. Infine è necessario verificare, attraverso uno sguardo euristico, l’efficacia dei provvedimenti messi in atto, al fine di identificarne punti di forza e criticità per ottimizzarli in un’ottica trasformativa. Gli Atenei hanno quindi la possibilità, attraverso le azioni di faculty development, di orientare la propria crescita in modo organico, responsabile ed efficace, armonizzando le esigenze dell’istituzione con quelle dei docenti e degli studenti e dando corpo alle linee di sviluppo dell’Ateneo a partire da una presa in carico consapevole e calibrata del contesto di riferimento.

Qual è la struttura organizzativa del faculty development center e quali servizi può offrire?
Il modo più semplice con cui un Ateneo può promuovere azioni di faculty development è, ovviamente, attraverso un Faculty Development Center. Tuttavia possono essere molte le forme che queste strutture possono assumere, che dipendono dalle esigenze di ogni specifica istituzione accademica. Si va da figure singole che su incarico della governance raccolgono attorno a sé gruppi di lavoro più o meno informali e promuovono iniziative per lo più a carattere sporadico o comunque non formalmente organizzate, a Centri di Ateneo pienamente formati che possiedono un’organizzazione interna e che si impegnano su progettazioni strutturate, passando per gruppi di lavoro stabili ma non formalizzati a livello istituzionale (per quanto ovviamente investiti di tale mission dal Rettore) o strutture attive a livello dipartimentale collegate tra loro da un ufficio centrale.

Ognuna di queste strutture ha punti di forza e punti di debolezza, anche se la scelta di un Centro di Ateneo è quella più diffusa (in particolare nelle Università di dimensione medio-grande) perché consente una progettazione di ampio respiro, ottimizza la gestione delle risorse finanziarie e permette la creazione di un team di lavoro stabile, tutti aspetti necessari per l’organizzazione, la promozione e la realizzazione di programmi di intervento efficaci.

Per quanto riguarda invece i tipi di servizi che queste realtà possono offrire è necessario fare una premessa. In letteratura vengono distinte tre principali aree di intervento del faculty development: la prima relativa allo sviluppo professionale dei faculty members, la seconda legata al loro sviluppo personale e la terza allo sviluppo dell’istituzione stessa. La prima di queste aree è ovviamente la più “frequentata” e spesso la “base” di tali iniziative è rappresentata dallo sviluppo delle competenze didattiche dei docenti, soprattutto per coloro che si trovano nelle fasi di avvio della loro carriera accademica. A livello internazionale non è raro che gli Atenei rendano obbligatoria, per i nuovi assunti, la frequenza a programmi di questo tipo, nonché l’ottenimento di una certificazione che attesti il raggiungimento di queste competenze. In Italia sono ancora poche le Università che si sono già mosse in tale senso, tuttavia non è azzardato immaginare che questo possa diventare nei prossimi anni uno standard. Accanto a queste iniziative possono trovare spazio anche interventi che mirano allo sviluppo di altre skill professionali, come quelle progettuali, con particolare riferimento all’elaborazione di proposal per bandi competitivi, le competenze di scrittura accademica o quelle digitali. Per quanto riguarda invece lo sviluppo personale, molti Atenei, soprattutto di area anglosassone, hanno da tempo avviato programmi per lo sviluppo delle competenze trasversali dei docenti, con particolare riferimento a quelle comunicative o socio-relazionali, ma non è inusuale che vengano promosse anche le competenze riflessive, viste, tra le altre cose, come uno strumento per promuovere, oltre che l’autocoscienza, anche la capacità del docente di divenire “protagonista consapevole” del proprio processo di sviluppo. Infine, per quanto riguarda le iniziative che possono essere dedicate allo sviluppo dell’istituzione accademica, rientrano in questo gruppo, ad esempio, le azioni rivolte all’academic management, con particolare riferimento a quelle che istituiscono momenti di confronto tra l’anima “amministrativa” dell’istituzione e quella rappresentata dai docenti, ma anche le azioni dedicate alla popolazione studentesca, sia di tipo formativo, rispetto a temi trasversali, che di sensibilizzazione riguardo a questioni eticamente rilevanti.

Quale futuro per il faculty development?
Nel testo, oltre a presentare una panoramica del faculty development, ammetto di sposare un particolare orientamento, ovvero quello olistico, ed elaboro uno specifico un modello operativo che si ispira a tale visione. La premessa essenziale di tale scelta risiede proprio nella complessità appena tracciata: le possibili iniziative sono tante, così come diversificate sono le esigenze di un Ateneo, tuttavia esse spesso non sono “parcellizzate” e hanno aree di sovrapposizione e reciproche influenze di cui è necessario tener conto. È quindi necessario essere consapevoli e riconoscere questa multiformità, rifiutando una visione settorializzata e parziale poiché rischierebbe di sottostimare le potenzialità di crescita dell’istituzione accademica. Al contrario, a mio parere, la complessità della Higher Education contemporanea può essere valorizzata da un approccio sistemico che colleghi tra loro i diversi lati di questo prisma, ed in particolare dall’approccio olistico al faculty development, che suggerisce di sfruttare le interconnessioni tra le diverse anime delle istituzioni per agire, in modo coordinato ma multifocale sulle questioni che l’istituzione identifica come prioritarie per il proprio sviluppo e il raggiungimento della propria mission formativa ed euristica. Questa visione risponde alle esigenze di un contesto in continua trasformazione come quello attuale, e al contempo propone un engagement globale dell’istituzione che supera una visione settaria. Tuttavia, per quanto stimolante, raramente sono riscontrabili in letteratura modelli attuativi che delineino le modalità con cui è possibile trasformare questa visione in un sistema organizzativo funzionante. Ed è quello che mi propongo di fare nella parte finale di questo testo: l’esperienza nel Centro di Teaching and Learning Center dell’Università di Verona, diretto da Luigina Mortari, è stata preziosa perché mi ha permesso di partire dalla pratica per ideare un modello operativo che viene in queste pagine presentato. Esso parte dalla visione olistica per intrecciare le linee d’azione prima delineate e attestate in letteratura, con le diverse dimensioni organizzative (micro, meso e macro), ponendo l’azione euristica come punto di equilibrio, a servizio di una valutazione d’efficacia degli interventi di faculty development realizzati in senso trasformativo. A mio parere, questo modello consente di pensare interventi dall’architettura complessa in cui le singole azioni si integrano in un unicum multifocale ma sistemico, consentendo quindi di ideare azioni flessibili ma strutturate, capaci di rispondere alle esigenze di un’istituzione accademica che sempre più si sta confrontando con una complessità non sempre prevedibile a priori, come gli ultimi anni ci hanno mostrato.

Roberta Silva è professore associato all’Università degli Studi di Verona, dove insegna Teorie e metodi della didattica e Metodologie didattiche attive e tecnologie per la didattica. È membro del Teaching and Learning Center dell’Università di Verona dal 2019, anno della sua istituzione, ed è stata per il triennio 2019-2021 membro del Presidio di Qualità per lo stesso Ateneo. I suoi ambiti di ricerca comprendono il faculty development, la teacher education, gli strumenti della ricerca qualitativa e la media education.

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