“Evoluzione e complessità sociale. Introduzione a una teoria del cambiamento sociale” di Simone Sarti

Evoluzione e complessità sociale. Introduzione a una teoria del cambiamento sociale, Simone SartiProf. Simone Sarti, Lei è autore del libro Evoluzione e complessità sociale. Introduzione a una teoria del cambiamento sociale edito da UTET: quale approccio introduce nello studio dei fenomeni sociali la prospettiva evoluzionista?
La nascita della sociologia viene generalmente fatta risalire ad Auguste Comte nella prima metà dell’Ottocento. Egli ambiva a definire una scienza positiva capace di trovare ordine (o in termini più attuali, regolarità) nella complessità dei fenomeni umani, o più ambiziosamente individuare delle leggi la cui conoscenza permettesse di far “progredire” la società. Nello stesso periodo Charles Darwin iniziò ad elaborare la sua teoria dell’evoluzione centrata sulla selezione naturale dei caratteri ereditari intuendo i principali meccanismi alla base del moderno evoluzionismo. L’Origine delle Specie fu pubblicato nel 1859.

Il pensiero dei due autori ha condizionato gran parte della riflessione scientifica che da allora si è occupata di indagare i fenomeni sociali. Tuttavia, le contingenze storiche verificatesi dalla fine dell’Ottocento fino alla Seconda Guerra Mondiale, in particolare culturali e politiche, hanno prodotto una sorta di allontanamento dal positivismo comtiano e una cesura tra darwinismo e studi sociali.

Solo dopo la nascita della genetica moderna e dopo il secondo grande conflitto mondiale, si è gradualmente ravvivato l’interesse per l’evoluzionismo in ambito sociologico. Lontane dalle degenerazioni del darwinismo sociale e dell’eugenetica, nuove riflessioni hanno portato a partire dagli anni ’70 alla formulazione di un nuovo approccio teorico, detto anche Darwinismo universale o Teoria Generale dell’Evoluzione.

Tale approccio ritiene che i processi fondamentali del darwinismo, variazione, selezione ed ereditarietà, agiscano ad ogni livello dell’esistenza, dalla materia elementare ai corpi celesti, dal funzionamento del cervello alle società umane come le conosciamo.

Su queste basi molti autori, tra cui vale la pena citare Richard Dawkins e Luigi Luca Cavalli Sforza, hanno sviluppato l’idea di una dual inheritence, ossia di un processo evolutivo duale. L’idea principale è che la cultura, veicolante valori, atteggiamenti, abitudini e comportamenti alla base dell’azione sociale umana, rappresenti una dimensione aggiuntiva a quella biologica-genetica, una dimensione altra entro la quale i tratti culturali competono per la propria sopravvivenza e replicazione, come i geni fanno nella sfera biologica.

Tale prospettiva permette di affrontare i fenomeni sociali che ci circondano adoperando strumenti concettuali, come la differenziazione, i meccanismi di selezione, la trasmissione culturale, all’interno di una teoria sistematica e coerente delle dinamiche sociali. Una prospettiva positivamente fondata sui saperi scientifici provenienti da altre discipline, come le neuroscienze, la psicologia cognitiva e la genetica, con l’obiettivo di ricomporre la cesura avvenuta grossomodo ad inizio Novecento tra scienze della natura e scienze dello spirito (secondo la definizione dicotomica di Wilhelm Dilthey).

In che modo i processi darwiniani della variazione, della selezione e dell’ereditarietà consentono l’interpretazione di sistemi complessi come le società umane?
Le società umane e i fenomeni che le caratterizzano sono complessi. Caratterizzati da un numero praticamente infinito di variabili, forse in parte indeterminabili e certamente difficilmente osservabili, che interagiscono tra loro in modo non lineare. Quello che come studiosi della società possiamo fare, rispetto ad un certo fenomeno sociale (una competizione elettorale, un problema di salute pubblica, una moda, un processo migratorio), è isolare un ristretto numero di variabili che possiamo osservare e misurare, definirle in uno specifico contesto geografico e temporale, cercare di descriverle, spiegare come il fenomeno si è sviluppato e per quali motivi, e talvolta fare previsioni su come potrà evolvere. In questo senso una lettura evoluzionistica suggerisce di identificare le varianti culturali in gioco, le loro origini, i dispositivi selettivi che tendono a favorire alcune varianti e a sfavorirne altre, e le dinamiche di trasmissione e diffusione che le caratterizzano. Tutto ciò con la consapevolezza di indagare un particolare e contingente contesto sociale, solo provvisoriamente valido.

Come si sviluppa l’evoluzione sociale?
L’evoluzione sociale è un processo incessante di differenziazione culturale: varianti culturali vengono continuamente prodotte, ma solo alcune si mostrano adattive, sopravvivono e tendono a replicarsi e diffondersi secondo particolari meccanismi di trasmissione.

Alcune varianti culturali che caratterizzano alcuni individui o entità sociali (aggregati coesi di individui) hanno un maggiore successo adattivo in termini di sopravvivenza, comparativamente ad altre entità, e di maggiore possibilità di replicare i propri tratti culturali. Questi adattamenti (o apprendimenti) dipendono però anche dal contesto ambientale e materiale nel quale gli individui agiscono.

Nel libro vi sono diversi esempi di adattamenti vincenti. Uno è il capitalismo inglese che, a partire dalla seconda metà del Settecento, si mostra la variante più adattiva nel contesto storico europeo di quegli anni. Sotto la spinta imprenditoriale il reperimento e la trasformazione delle risorse produce un aumento della produttività, prima agricola, con un conseguente incremento della popolazione, poi manifatturiera, con l’avvento del capitalismo industriale. Più in generale l’industrializzazione, una variante culturale di organizzazione del sistema economico, ha prodotto ovunque si sia verificata un aumento demografico e un miglioramento dell’aspettativa di vita.

Tuttavia, secondo una prospettiva evoluzionista questo può non essere però considerato un equilibrio definitivo o una regola universale, la “fine della storia”, in quanto sia nuove varianti culturali che vanno a crearsi nei diversi sistemi industriali, sia variazioni nelle condizioni contestuali/ambientali, pensiamo ad esempio all’inquinamento, possono porne in crisi il modello di sviluppo. Solo le varianti che avranno “successo” tenderanno a sopravvivere e replicarsi.

Come misurare questo successo dipende dalle proprietà che, da un punto di vista umano, possiamo prendere in considerazione: da un punto di vista biologico certamente contano la speranza di vita o il benessere psico-fisico o le opportunità che una società offre o garantisce per raggiungere materialmente questi obiettivi.

A questo proposito occorre ricordare che gli adattamenti non possono mai ovviare la dimensione biologica dell’evoluzione, in termini di sopravvivenza e riproduzione, perché, alla fine, se non sopravviviamo come specie, qualsiasi scelta culturale costituisce un vicolo cieco.

Che nesso esiste tra evoluzionismo e darwinismo sociale?
Il darwinismo sociale costituisce probabilmente uno dei motivi per cui per lungo tempo ha faticato ad affermarsi una teoria evoluzionista della società.

Ciò, senza paradossi, è perfettamente coerente con l’evoluzionismo socio-culturale.

Le idee di Darwin sono state utilizzate strumentalmente come caricature di una visione del mondo improntata alla prevaricazione di alcuni popoli. L’idea di una competizione forsennata, basata principalmente su forza e astuzia, era funzionale ai nascenti nazionalismi novecenteschi per una definizione gerarchica delle nazioni, una sostanziale giustificazione morale della colonizzazione e degli imperialismi cha andavano maturando: la missione civilizzatrice dell’Europa. Questo clima di competizione tra nazioni è ben descritto nel romanzo “I cento Milioni della Begum”, di Jules Verne, del 1879.

Quando la “tempesta” del nazionalismo passò il darwinismo rimase associato a quella visione caricaturale della società che il darwinismo sociale aveva prodotto. In tal senso, per lungo tempo, e ancora oggi in alcuni ambiti disciplinari, ogni tentativo di adottare l’evoluzionismo nell’indagine dei fenomeni sociali viene visto quanto meno con sospetto.

In realtà già l’evoluzionismo in ambito biologico, così come definito dal neo-darwinismo, e aggiornato dalla genetica delle popolazioni, è lontanissimo dalle idee razzistiche e nazionalistiche dei primi del Novecento.

Altrettanto, l’evoluzionismo socio-culturale non ha nulla che vedere con queste concezioni politiche del mondo, anzi può offrire validi strumenti di ricerca per comprendere come contenuti pseudo-scientifici possano diffondersi in certi contesti.

Quali sono i principali orientamenti e filoni di ricerca nel dibattito contemporaneo sul cambiamento sociale?
Nelle scienze sociali le teorizzazioni sul cambiamento sociale sono piuttosto conservative. Tendenzialmente si rimanda alle scuole classiche: lo strutturalismo, il funzionalismo, lo storicismo, l’individualismo metodologico. Quindi vi è un’accentuazione differente delle diverse componenti della società. Da un lato si enfatizzano le strutture materiali (il ruolo del sistema educativo o del mercato del lavoro nella riproduzione sociale), dall’altro ci si interroga su quali siano i bisogni ai quali risponde una certa istituzione sociale secondo una logica di equilibrio sociale, di mantenimento dello status quo, oppure si ricercano le buone ragioni che portano gli individui ad interagire in un certo modo e che producono conseguentemente fenomeni collettivi, oppure, infine, si descrive più approfonditamente ciò che accede nella società, in modo narrativo, senza ricercare regolarità.

Tuttavia, è mio modesto parere, questi approcci offrono visioni robuste e convincenti del mondo sociale ma solo da punti di vista particolari, tutte soffrono di una frammentazione intrinseca dovuta alla grande cesura a cui accennavo in precedenza. La mancanza di un’unica cornice teorica generale di riferimento.

A mio personale avviso tale immaturità scientifica delle scienze sociali può essere superata con un approccio evoluzionista. Ciò non significa abbandonare o negare gli attuali studi sulla società, anzi significa dar loro forza ricomponendoli sotto un mantello teorico più ampio e scientificamente robusto.

Quello che però mi preme sottolineare è che l’evoluzionismo sociale non è una teoria dell’equilibrio e della conservazione, o tantomeno una teoria del progresso. Anzi, se una cosa insegna la complessità biologica dell’evoluzionismo è la capacità della vita di percorrere vie alternative a quelle stabilite in passato (a questo proposito consiglio la lettura di “La Vita meravigliosa” e “L’Arcobaleno della vita”, rispettivamente di S.J.Gould e R.Dawkins); così come il fatto che per le società umane non esiste necessariamente un lieto fine, come ben descritto da Jared Diamond in “Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere”.

Dall’altro canto l’evoluzionismo riconosce l’importanza della strutturazione, se non vi è stabilità non può prodursi differenziazione. Enrico Bellone sosteneva che l’evoluzione è un rapporto dialettico, ineluttabile, tra conservazione e cambiamento. Se le società non si danno ordine/organizzazione cessano di esistere, perdono coesione e si sfaldano, ma se l’ordine crea troppa omogeneità, al variare della marea le società saranno incapaci di produrre varianti adattive capaci di affrontare le sfide imposte da cambiamenti più o meno improvvisi del contesto.

Se ad esempio pensiamo all’unificazione europea, un processo di omogeneizzazione culturale di tale portata è certamente un vantaggio dal punto di vista della strutturazione di un sistema di stati interdipendenti, che lo rende più coeso rispetto ad entità simili concorrenti, con un’organizzazione più efficiente e razionalizzata rispetto a problematiche condivise (come quelle ambientali, per esempio). Ma costituisce anche una perdita di diversità, di varianti possibili, che rende l’entità più debole in caso di perturbazioni contestuali importanti, da qualunque parte esse arrivino.

In parole semplici, per fare un esempio, fare tutti le cose allo stesso modo comporta certamente un vantaggio economico, per un abbattimento dei costi, ma anche un grave impoverimento della diversità. Se il sistema deve affrontare difficoltà impreviste le soluzioni alternative nel breve termine semplicemente non ci sono. Da un punto di vista evolutivo il vantaggio potrebbe essere solo provvisorio.

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