
Le radici della vicenda storica europea vanno ricercate, secondo il giurista e Presidente emerito della Corte costituzionale, «nelle strutture basilari e in tutta la trama complessa dell’esperienza giuridica medievale» dove «si realizza in maniera intensa l’armonica sinergia fra diritto e società; qui il diritto si mostra, con la sua genesi dal basso, in tutta la sua socialità; qui il diritto è chiamato a innervare di sé l’intera dimensione sociale ed è proprio qui e solo qui che si concretizza l’Europa del diritto».
Non a caso, infatti, si suole parlare, per qualificare quell’esperienza, di ius commune, diritto comune, «perché è veramente diritto comune a tutta l’Europa allora civilizzata». In quella dimensione unitaria, poteva accadere che uno dei più grandi giuristi dell’epoca, il marchigiano Bartolo da Sassoferrato, docente nell’Ateneo di Perugia, ricordasse ai suoi allievi «la lezione tenuta lì da un docente germanico nella sessione del mattino e il riferimento preciso da costui fatto a opinioni di un docente nella Università francese di Orléans. La piccola aula del piccolo Ateneo perugino, abbastanza appartato nella regione interna dell’Umbria» si collocava così «al centro dell’Europa del diritto, connessa con una raggiera di relazioni ben al di là della catena alpina grazie alla unitarietà di uno ius commune europaeum.»
Nel Medioevo – “una civiltà senza Stato”, come la definisce l’Autore – assistiamo infatti a un trionfo della scienza giuridica: lo Stato, «questo soggetto politico forte», manca; «tant’è vero che i principi si disinteressano del diritto, occupandosi unicamente di quanto poteva giovare all’esercizio dei supremi poteri e riservandosi i più alti poteri giustiziali.»
Il paesaggio politico-giuridico cambia a partire dal Trecento quando «il nuovo principe, il re di Francia in testa, comincia a capire la valenza enorme del diritto […] quale supporto del potere politico e a volerlo produrre direttamente lui stesso, a farsi legislatore». Un itinerario che culmina a fine Settecento, con le revisioni teoriche dell’illuminismo giuridico e «la serrata della Rivoluzione francese riducente tutto il diritto […] entro il ventre capace ed esclusivo dello Stato, con la conclamazione della sua indiscutibile statualità: lo Stato unico produttore del diritto e il diritto ridotto a un insieme di leggi, cioè alle sole manifestazioni di volontà del potere politico» col risultato che «il continente europeo si riduce a una mera espressione geografica; e ciò perché, sul piano politico ma anche giuridico, esso ci si mostra come un arcipelago, un arcipelago di isole sovrane, ciascuna fiera della sua assoluta indipendenza. Ogni Stato pretende un proprio diritto».
Quella di Ordo, di ordine giuridico medievale, che dà anche il titolo a un fortunato libro di Paolo Grossi, è la nozione che dunque meglio esprime l’essenza del diritto medievale: accanto al diritto comune, «il diritto sapienziale, provvisto di quella capacità espansiva che ha la riflessione scientifica […], prosperava lo Statuto locale, mentre il ceto clericale era disciplinato dal diritto canonico, la comunità dei mercanti da un nascente e progrediente diritto commerciale, i feudatari dal loro diritto feudale, il tutto articolantesi nella presenza di Tribunali speciali e autonomi. Era, insomma, un assetto giuridico complesso perché spiccatamente pluralistico.»
Al pari di quell’assetto, nel progetto politico/giuridico europeo, oggi «l’Europa ci si presenta come un autentico ordine, cioè una realtà complessa tesa a tutelare la multiforme ricchezza della propria complessità». È nell’Unione europea, nell’ordine unitario europeo, conclude Grossi, che troviamo «il più sicuro salvataggio per i nostri popoli.»