“Eugenio Scalfari e il suo tempo” di Angelo Cannatà

Eugenio Scalfari e il suo tempo, Angelo CannatàEugenio Scalfari e il suo tempo. Un viaggio nelle idee di Scalfari e negli avvenimenti più importanti della recente Storia d’Italia
di Angelo Cannatà
Mimesis Edizioni
 

«Eugenio Scalfari è un personaggio particolare, unico nel panorama della cultura italiana. Filosofo. Scrittore. Imprenditore. Giornalista. Politico: se Repubblica è – come crediamo – “un giornale-partito”. Difficile scrivere di lui senza valutare la globalità di questi interessi.

È un grande giornalista, d’accordo. Ma ogni definizione si rivela subito parziale, riduttiva. Ogni classificazione disciplinare, fuorviante. Su L’Espresso e Repubblica, in fondo, egli non si limita a scrivere: ha avuto l’idea, l’intuizione e la capacità di fondarli. Giornalista, imprenditore e filosofo dunque: se è vero – come pensiamo – che le sue tesi sul fondamento della morale dicono più di molti testi di etica che ripetono all’infinito, con piatta monotonia, il già detto.

È un uomo complesso, Scalfari. È la prima verità che emerge dalle nostre pagine. Abbiamo cercato di dare un’idea di questa complessità (e della ricchezza concettuale dei suoi testi) concentrando l’attenzione su quattro temi fondamentali: le analisi politiche, l’arte, la religione, la filosofia. Il risultato è un testo che ha l’obiettivo di esporre e discutere il pensiero di Scalfari, nella convinzione che, attraverso le sue idee, sia possibile comprendere meglio il nostro Paese e il nostro tempo.

I. La Politica. Il primo capitolo racconta – tra teorie filosofiche, letteratura, polemiche giornalistiche (e storie di corruzione, mafia, “rumori di sciabole”, terrorismo…) –, le idee politiche di Scalfari e i fatti, gli avvenimenti più importanti della “recente” Storia d’Italia: la nascita del primo centro-sinistra, il tentativo di colpo di Stato di De Lorenzo, le Brigate rosse e l’uccisione di Moro. Sono pagine significative, impresse nella memoria (“Un cadavere crivellato di proiettili, abbandonato a pochi metri dalle sedi della Democrazia cristiana e del Partito comunista. In questo modo le Br hanno restituito il corpo di Aldo Moro. L’emozione di queste ore è immensa e a rendere il dramma ancora più cupo c’è quel comunicato della famiglia che suona come una condanna disperata contro il governo e il partito. Nessun lutto nazionale – gridano nel dolore i familiari di Moro – nessun funerale di Stato, nessuna cerimonia pubblica, nessuna medaglia alla memoria, ma solo silenzio”. Cos’è accaduto? Perché la famiglia Moro rifiuta i funerali di Stato?). È un frammento del nostro libro e della Storia d’Italia raccontata attraverso il filtro interpretativo di Scalfari. Altri temi: la Loggia P2 di Licio Gelli (“Uno Stato nello Stato”); Tangentopoli e Mani pulite; la seconda Repubblica e il potere mediatico-populista di Berlusconi (“Il Parlamento dimezzato e il conflitto d’interesse”). Scalfari come guida, attraverso pagine che dicono più di tanti libri di storia. Sono testi scritti a caldo, mentre i fatti accadono. Ma proprio per questo conservano la forza dell’immediatezza, insieme alla lucida capacità d’analisi dell’autore. Scegliere i “pezzi”, analizzarli, ordinarli, è stato il nostro primo compito che ha determinato – in un certo senso – la prima interessante sorpresa. Un esempio. Molti testi illuminano su un’epoca (pensiamo a quelli sulla linea della fermezza negli anni di piombo; al confronto con le posizioni di Sciascia, Montale, Moravia, Pintor…; ma anche a molte pagine su Mani pulite, ormai consegnate alla storia): dicono di una fase di forte ideologizzazione della vita italiana: lasciar parlare i testi in questo caso significa ri-scoprire pagine fondamentali della nostra storia, guardarci dentro, misurarne la lontananza. Comprendere, alla luce della distanza storica.

II-IV. Arte, religione, filosofia: il bisogno di raccontare, smascherare, comprendere. Sono le pagine che ci hanno coinvolto di più. Conoscevamo bene Scalfari giornalista, e avevamo letto i suoi libri. Ma la ri-lettura finalizzata all’esposizione dei temi, al commento e al confronto con la critica ci ha come introdotto in una dimensione più profonda, con lo sguardo e la ragione attenti agli aspetti polisemantici dei testi letterari (Il labirinto, La ruga sulla fronte) e alle argomentazioni logiche dei testi filosofici (pensiamo alle pagine su Giobbe e il male, il tempo, il fondamento della morale, l’Io, il corpo, la mente…). Da queste letture emerge uno Scalfari-scrittore con un profondo bisogno di raccontare storie, come se solo attraverso la narrazione fosse ancora possibile “amare il caos e dominarlo con lo stile” (l’arte); uno Scalfari-laico che smaschera le “verità” assolute di Santa Romana Chiesa (la religione); uno Scalfari-filosofo che vuole comprendere, e quindi ri-pensare i temi di fondo elaborati dal pensiero occidentale (la filosofia).

Ma non si tratta solo di questo. Nel capitolo sull’arte si analizzano i testi letterari e si discute di forma-romanzo, musica, “arte e impegno politico” (e di Calvino, Kundera, Vattimo, Eco…); e si ragiona di cinema, minimalismo, stili di scrittura, e del senso, dell’ufficio della letteratura (“Credo che l’educazione al Fato e alla Morte sia una delle funzioni principali della letteratura”, scrive Eco. E Scalfari: “Eco non è un sognatore a caccia di farfalle sotto l’Arco di Tito; se c’è un letterato pragmatico, smaliziato, esperto di tutte le pieghe e i risvolti dell’industria culturale, questo è lui. Perché questa scelta? Perché affronta oggi questo tema? Qual è il bisogno che vuole soddisfare? O l’allarme che vuole lanciare?”). Nel capitolo sulla religione si discute della duplice volontà di Cristo; dell’inconciliabilità di “fides et ratio” (partendo da Wojtyla); della questione cattolica; di ricerca scientifica e fede; e, attraverso un confronto con Habermas, di religioni e laicismi. L’adolescente Scalfari che, con i compagni del liceo, cercava Dio (“Sarà un viaggio lungo, invernale, ma non scopriremo niente”, diceva Calvino), è ormai definitivamente approdato a una visione laica e atea dell’esistenza. È per tutti L’uomo che non credeva in Dio. Materialismo, biologismo etico, ateismo: sono le chiavi d’ingresso nella filosofia scalfariana. È l’ultimo capitolo del libro. La filosofia è il proprio tempo appreso col pensiero (Hegel docet). Che significa? È la stessa operazione, in fondo, che un buon opinionista “tenta” tutti i giorni sul giornale. Ma non basta. È necessario scendere più in profondità. Scavare alla radice dei problemi. Scalfari compie per intero il percorso che dal giornalismo conduce alla filosofia: la corruzione morale è, da tempo, sulle pagine dei giornali (su Repubblica, anzitutto), ma che cos’è la morale, qual è il suo fondamento? Ecco una prima via di questo percorso verso la filosofia, che, attraverso Alla ricerca della morale perduta, arriva all’individuazione delle radici biologiche dell’ etica.

La Chiesa predica valori assoluti e impone – da decenni – le sue Verità alla politica (Repubblica denuncia le ingerenze del Vaticano), ma che cos’è la verità? si chiede Scalfari con Nietzsche. Il risultato è l’approdo a una visione relativistica dell’esistenza, che trova gli argomenti logici per contrastare il più logico dei teologi: Vito Mancuso. Ecco un altro percorso verso la filosofia.

E ancora: Repubblica è stata una postazione particolare, dalla quale Scalfari ha osservato il mondo. Ma anche un luogo di potere. Fondare e dirigere “questo” giornale gli ha dato un prestigio che alcuni ministri nemmeno sospettano. Ed ecco la necessità di riflettere filosoficamente sul potere. In Incontro con Io ci sono pagine interessanti sul tema. Infine: le riflessioni su etica e politica in L’uomo che non credeva in Dio; e quelle sul progetto, l’azione, la memoria. Eccetera. Il passaggio è, sempre, da uno sguardo giornalistico sul mondo a una più profonda, necessaria (per Scalfari, ineludibile) riflessione filosofica.»

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