“Eugenio Cefis. Una storia italiana di potere e misteri” di Paolo Morando

Dott. Paolo Morando, Lei è autore del libro Eugenio Cefis. Una storia italiana di potere e misteri edito da Laterza. Ma chi era davvero Eugenio Cefis?
Eugenio Cefis. Una storia italiana di potere e misteri, Paolo MorandoNegli anni ’60 e ’70 fu uno degli uomini più potenti della Prima Repubblica: prima da vicepresidente esecutivo dell’Eni, dopo la morte di Enrico Mattei nel 1962 e poi da presidente effettivo dal ’67 al ’71, infine alla guida di Montedison, fino al ’77 quando si dimise. Prima ancora, di Mattei fu per anni il braccio destro. In breve lo si potrebbe definire un dirigente d’azienda, ma è una categoria che ne limita il profilo. Fu anche un nome importante della Resistenza, da capo partigiano, con un ruolo decisivo nella costituzione dell’effimera Repubblica della Val d’Ossola liberata nel settembre del 1944: anche a lui, infatti, le truppe nazifasciste consegnarono le armi quando, in un primo tempo sconfitte, dovettero abbandonare il campo di battaglia. Cefis era partigiano nelle formazioni “bianche”, o meglio “badogliane” e filo monarchiche, che facevano capo ad Alfredo Di Dio, i cui vertici erano in gran parte composti da militari di carriera. Lo era anche Cefis, che frequentò l’Accademia militare di Modena, da cui uscì nel 1941 come sottotenente, grado con il quale combatté in Slovenia nei mesi dell’invasione italiana. Nonostante la sua immensa rilevanza nella storia economica e politica d’Italia dal Dopoguerra in poi, la sua figura è stata sempre pochissimo studiata: prima del mio, non esistevano libri biografici a lui dedicati. E la ragione sta anche nella sua ossessione per la riservatezza: detestava la stampa, rilasciava pochissime interviste, quando era alla guida dell’Eni impose al “Giorno”, testata appunto di proprietà dell’ente, di non nominarlo mai per nome e cognome, al massimo con l’appellativo “il presidente dell’Eni”.

Cefis attraversò, nel corso della sua lunga carriera, una miriade di polemiche, scandali e inchieste, che lo volevano addirittura fondatore della P2, da cui tuttavia uscì sempre indenne: che cosa c’è di vero?
Forse anche per riempire questo “vuoto” informativo su di lui, negli anni Cefis è sempre stato al centro di supposizioni, illazioni, vere e proprie leggende nere. A lui, negli anni, è stato addebitato un po’ di tutto, da propensioni golpiste fino addirittura al ruolo di mandante di delitti tra i più misteriosi della storia d’Italia: appunto Mattei, ma anche il giornalista Mauro De Mauro, che stava indagando proprio sulla morte di Mattei, fino addirittura a Pier Paolo Pasolini, che nella sua opera incompiuta Petrolio, in cui si parla proprio di Cefis e Mattei, avrebbe voluto inserire integralmente tre discorsi pubblici dello stesso Cefis. La connessione con la morte di Pasolini è relativamente recente e si è sviluppata in seguito all’inchiesta del magistrato pavese Vincenzo Calia degli anni ’90, poi conclusasi nel 2003: fu Calia a scoprire, un po’ casualmente, che brani interi di Petrolio erano mutuati da un misterioso libro del 1972 intitolato Questo è Cefis. Un libro firmato Giorgio Steimetz, ma si trattava di uno pseudonimo, e durissimo nei confronti dell’allora presidente di Montedison: un libro scomparso quasi subito al momento dell’uscita, presumibilmente fatto rastrellare proprio da Cefis, al punto che non ne esistono neppure gli esemplari d’obbligo nelle Biblioteche nazionali di Roma e Firenze. Cefis non venne mai sentito nel corso dell’inchiesta di Calia e morì poco dopo la sua conclusione, nel 2004: non ha dunque fatto in tempo a leggere ciò che da allora, in molti libri, è stato scritto su di lui in rapporto a Pasolini. Ma anche sul presunto ruolo di fondatore della P2, che avrebbe poi lasciato in mano a Licio Gelli, come recita un documento del Sismi rinvenuto proprio da Calia. D’altra parte c’è da scommettere che non si sarebbe neppure preso la briga di rispondere, per smentire o precisare: non lo fece mai neppure nei decenni precedenti, in cui pure si trovò al centro di tante polemiche e di pesanti accuse. Il risultato di tutto questo è che su Cefis da anni si scrivono sempre le stesse cose, perpetuate in decine di libri. Nel mio ho cercato di andare alle radici di questa leggenda nera, smontandone gli elementi e dimostrando in più casi la loro inconsistenza. Al tempo stesso, però, offro per la prima volta al lettore elementi inediti o pochissimo noti della vita di Cefis che ne restituiscono, per la prima volta, un profilo autentico. Senza naturalmente fargli sconti: come racconto, era infatti un uomo che si muoveva spesso sul sottile crinale della legalità e in maniera estremamente spregiudicata.

Quale rapporto lo legò a Enrico Mattei?
Cefis e Mattei si conobbero durante la Resistenza, quando però ebbero ruoli diversi: di combattente sul campo il primo, di coordinatore e organizzatore il secondo. Da lì si sviluppò un rapporto che portò Mattei a “cooptarlo” all’Agip, e quindi poi all’Eni, nell’immediato dopoguerra. Cefis fu a lungo il principale collaboratore di Mattei, con incarichi di vertice in tutte le società controllate dall’Eni, di cui però non fu mai dipendente in senso stretto: formalmente rimase sempre un consulente. Tra il 1961 e il ’62 però Cefis lasciò via via tutte le cariche, fino a uscire dal gruppo alcuni mesi prima della morte di Mattei. È una circostanza su cui si è molto ipotizzato, al punto da individuarvi ombre di sospetto in relazione all’attentato di Bascapè, ma che Cefis ha sempre spiegato – quelle rare volte in cui lo fece – parlando di visioni differenti sulla strategia dell’Eni tra lui e Mattei. Il quale, è noto, aveva avviato una politica di netta contrapposizione alle cosiddette “sette sorelle”, cioè le società petrolifere angloamericane che controllavano il mercato mondiale. Cefis, su designazione dell’allora governo Fanfani, venne scelto per il dopo Mattei, benché inizialmente con la carica di vicepresidente (ma al tempo stesso con pieni poteri esecutivi). E si è sempre scritto che fu lui ad avviare una politica diametralmente opposta a quella di Mattei, cioè “accomodante” nei confronti delle “sette sorelle”. In realtà era una posizione che già Mattei aveva iniziato ad assumere, è un punto questo ormai storicamente accertato, e che Cefis ratificò. Certo, poi senza mai più abbandonarla: di qui l’inevitabile ridda di accuse di essere al servizio degli americani.

Quali vicende segnarono la scalata di Cefis a Montedison?
Montedison, nata dalla fusione tra Montecatini ed Edison, era il bastione del capitalismo privato italiano. Tra il 1968 e il ’69 azioni Montedison vennero però rastrellate sul mercato, sotterraneamente, dall’Eni di Cefis e dall’Iri, dunque da imprese di Stato, che a un certo punto si ritrovarono ad essere maggioranza relativa nell’azionariato: un’operazione di cui Cuccia fu il grande regista, sostenuta dal governo e da Bankitalia, ma anche da alcuni tra i soci maggiori che vedevano in Valerio, l’allora presidente, una figura inadeguata. Dopo alterne vicende, che videro anche un frenetico attivismo da parte di associazioni di piccoli azionisti contrarie all’ingresso dello Stato nel capitale, nel 1971 Cefis assunse la presidenza di Montedison. Ma a quel punto, imprevedibilmente, il suo piano di ristrutturazione della società, che secondo lui sarebbe dovuto avvenire attraverso una svalutazione del valore nominale delle azioni, dunque a spese dei privati, fu bloccato da Cuccia, secondo il quale il risanamento doveva avvenire per opera dello Stato. Da lì in poi Cefis si ritrovò per così dire “azzoppato”, perché nel frattempo il suo politico di riferimento, cioè Fanfani, aveva perso il ruolo di primattore della Dc: affossato a sorpresa nel voto presidenziale del 1971, con lo stesso Cefis che si era mosso con i propri mezzi di “persuasione”, diciamo, per favorirne l’elezione, la sua stella cadde definitivamente con il referendum sul divorzio del ’74. E nella Dc c’era chi sosteneva apertamente avversari di Cefis e della Montedison: su tutti Andreotti, al fianco della Sir di Rovelli, che non a caso nel 1975 fu protagonista di una scalata di Montedison a fianco dell’Eni. La “guerra chimica” durò anni, con i conti di Montedison che nel frattempo andavano peggiorando, e con la crescente azione della magistratura nei confronti dello stesso Cefis per via di numerosi casi di danni all’ambiente provocati dalle lavorazioni chimiche in tutta Italia: una vicenda che arriverà quasi ai giorni nostri, con il grande processo per i morti del Petrolchimico di Marghera.

Di quale colpo di scena fu protagonista Cefis nel 1977?
In aprile, all’assemblea di Montedison, annunciò le proprie dimissioni da presidente, che sarebbero divenute effettive in luglio. Ma l’uscita di scena era stata preparata per tempo: già l’anno prima infatti aveva trasferito la propria residenza da Milano a Zurigo, e alla fine di quel ’77 si apprese della sua formale domanda d’immigrazione in Canada, dove da anni il fratello Alberto curava gli affari di famiglia. Se ci pensiamo oggi, fa impressione che un uomo di 56 anni al culmine del potere abbia deciso di lasciare ogni carica per ritirarsi a vita privata. Eppure fu ciò che accadde. Data la scarsa loquacità di Cefis, subito fioccarono le ipotesi su misteriosi retroscena della sua decisione. E da allora la vulgata vuole che abbia lasciato l’Italia per scampare a un arresto: lo disse esplicitamente ancora 25 anni fa in un libro intervista Aldo Ravelli, leggendario agente di Borsa, parlando di trame eversive. Da lì poi non ci si è più mossi: nel senso che tale circostanza mai è stata ulteriormente approfondita. Nel mio libro, per la prima volta, vengono forniti al lettore elementi inequivocabili per valutarne l’infondatezza.

Il libro contiene documentazione inedita tra cui un clamoroso retroscena sulla morte di Mattei: in che modo Cefis vi fu coinvolto?
Nel retroscena che racconto, proprio in chiusura del libro, Cefis di per sé non c’entra. Ma d’altra parte nessuna inchiesta giudiziaria lo coinvolse: anche quella di Calia, che pure si conclude con un’ampia parte dedicata a Cefis, non portò ad alcun processo. Si trattò infatti di una richiesta di archiviazione, poi accolta dal gip, per l’impossibilità dopo tanti anni di stabilire responsabilità personali in quello che, qui sta l’importanza del lavoro di Calia, è stato dimostrato essere non un incidente aereo bensì un attentato. La morte di Mattei resta senza colpevoli e tutto indica che lo resterà per sempre. Ciò che però racconto nell’epilogo del libro offre una suggestione fin qui mai emersa compiutamente: sta al lettore valutare se si tratta di una incredibile serie di coincidenze oppure di una pista concreta. Comunque sia, e sono le ultime parole del libro, «sarebbe da farci un film».

Paolo Morando, giornalista, scrive per “Huffington Post”, “Internazionale” e sul blog “minima&moralia”. Per Editori Laterza è autore di Dancing Days. 1978-1979: i due anni che hanno cambiato l’Italia (2009, ripubblicato nel 2020 in edizione economica), ’80. L’inizio della barbarie (2016, tre edizioni, finalista al Premio Estense) e Prima di Piazza Fontana. La prova generale (2019, cinque edizioni, Premio Fiuggi Storia sezione Anniversari).

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