Ettore e Andromaca: parafrasi e riassunto

Ettore e Andromaca (Iliade 6, 405-489): riassunto

«Dopo avere incontrato la madre Ecuba, il fratello Paride ed Elena, Ettore si dirige a casa dalla moglie Andromaca; viene a sapere che è andata in cerca di lui nei pressi delle porte Scee, la principale via d’accesso alla città. Senza riuscirci, la donna prova a convincerlo a desistere e a ritirarsi. Alla fine dell’episodio Andromaca tornerà a casa, voltandosi continuamente indietro (v. 496: è l’ultima volta che vede Ettore vivo, e intonerà con le serve un lamento che anticipa la morte dell’eroe, v. 499).

«Io… tu…»: la struttura del dialogo
Andromaca ha solo Ettore. È lei a informarci che Achille le ha sterminato la famiglia. Se pensiamo a questo passaggio in una prospettiva esterna (propria cioè all’ascoltatore o al lettore), la sezione serve semplicemente per informare. Ma se ci poniamo in una prospettiva interna le parole di Andromaca assumono una funzione differente: servono a ricordare a Ettore qual è la situazione effettiva della donna. Questa ‘insistenza comunicativa’ è dettata dalla necessità e dalle circostanze drammatiche. Ripercorrendo il testo, è evidente come le scelte linguistiche e la struttura dei versi incidano sull’intonazione generale, e con quanta forza e quale frequenza il poeta ritorni sulla reciprocità attraverso pronomi personali di prima e di seconda persona: cfr. per es., nel discorso di Ettore, μοι (vv. 441 e 450), ἐγὼ (v. 447), σεῦ (v. 454), σοὶ (v. 462), με (v. 464). Andromaca soprattutto ai vv. 429 e 430 ha bisogno di ribadire due volte la natura insostituibile di questo rapporto (σύ μοι… σὺ δέ μοι…) in un distico che esalta la dimensione affettiva della relazione e che la isola tragicamente: «Ettore, tu per me sei mio padre, e mia madre onorata, e sei mio fratello, e sei anche il mio sposo fiorente».

La dimensione chiusa degli affetti e la proiezione narrativa
La donna sa qual è il destino che la attende se il marito decide di continuare a combattere: se lei e il figlio rimarranno soli saranno condotti in Grecia; di questo anche Ettore ha consapevolezza, quando con un senso di infinita pena la immagina lavorare al telaio come una schiava, o portare acqua (vv. 456-459). La sintassi del discorso di Ettore (vv. 440-465), con l’uso frequente del costrutto κεν (= ἄν) + ottativo potenziale o congiuntivo eventuale, tradisce il timore che tutto questo possa avverarsi e sia ormai prossimo, segnato com’è dalla necessità (ἀνάγκη, v. 458): e cioè che i famigliari muoiano (οἵ κεν… πέσοιεν, v. 452), che un Acheo la porti via (ὅτε κέν τις… ἄγηται, v. 454) verso una condizione di schiavitù (καί κεν… ἱστὸν ὑφαίνοις, v. 456; καί κεν ὕδωρ φορέοις, v. 457). Su un dettaglio Ettore non si sofferma: la relazione anche fisica alla quale per forza Andromaca sarà sottoposta una volta condotta via da Troia (il mito prevede che se la prenda Neottolemo, il figlio di Achille). Pesa sulla scena un senso di chiusura, una proiezione mentale di entrambi i protagonisti verso un futuro ineluttabile, che non viene dissolta né dalla presenza rasserenante di Astianatte né dalle ultime parole dell’eroe che invita la moglie a non affliggersi.

Δακρυόεν γελάσασα: psicologia e carattere di Andromaca
L’espressione δακρυόεν γελάσασα al v. 484 ritrae Andromaca che ride fra le lacrime mentre riceve dalle mani di Ettore il piccolo Astianatte. La coppia di opposti pianto/riso riassume l’andamento alternante dei toni e delle sfumature dell’episodio, e l’espressione viene anche metricamente isolata collocandosi prima della cesura femminile. Gli antichi commentatori consideravano questa compresenza di pianto e riso poeticamente efficace, ma impossibile da spiegare: è questo il solo caso in Omero di un personaggio che piange e ride allo stesso tempo. Eppure l’espressione rende bene lo stato d’animo della donna — che piange da subito: v. 405 —, animata dal desiderio di convincere il marito prima con ragioni intime e patetiche (la storia personale, il rischio che lei rimanga vedova e il figlio orfano) e poi adducendo motivazioni di strategia militare che Ettore non prenderà in considerazione (vv. 429-439).

Αἰδέομαι… κλέος: il lessico di Ettore
Ettore alterna un linguaggio eroico, severo e militare, con un approccio più intimo: costantemente ritorna l’attenzione per la dimensione comunitaria del suo comportamento. Non può rinunciare a combattere perché prova vergogna (αἰδέομαι, v. 442), e si batterà per la gloria (κλέος, v. 446) sua e di suo padre; ma più di tutti ha in mente Andromaca e il suo destino e ha nei confronti della moglie e del figlio atteggiamenti che nel poema appartengono solo a lui: ride con lei, la accarezza, prende in braccio e bacia Astianatte. Mettersi in salvo per la propria famiglia o scendere in campo per l’intera comunità? Ettore sceglie la responsabilità di essere sempre ἐσθλὸς, ‘coraggioso’ (v. 444), ma il testo comunica anche un paradosso di grande modernità: la morte prende tutti, ed Ettore stesso dichiara che non fa alcuna differenza rispetto ai piani del destino e alla tempistica della propria fine essere ‘vile’ (κακὸς) o essere nobile e coraggioso (v. 489).

Un canone per la tragedia: alcuni topoi letterari
Questa scena contiene alcuni motivi-guida destinati a diventare parte della tradizione dei secoli successivi e che saranno ripresi soprattutto nel dramma attico. Nel corso del V secolo a.C. ad Atene si sviluppa infatti un nuovo genere teatrale, la tragedia, che prenderà spesso spunto da figure e personaggi dell’Iliade e dell’Odissea. Il teatro, a differenza dell’epica, richiede attori che recitano e dialogano sulla scena. Così il pubblico di Atene (e non solo) ebbe modo di vedere e ascoltare ‘in carne e ossa’ personaggi dell’epos come Agamennone, Odisseo, Aiace (benché sempre rappresentati in situazioni differenti rispetto a quelle descritte nei poemi). Vediamo quindi quali momenti salienti del dialogo tra Ettore e Andromaca saranno reimpiegati anche nel dramma attico, diventando dei topoi letterari.

– L’augurio che Ettore esprime in forma di preghiera ai vv. 476-481, vale a dire che il figlio Astianatte possa essere valoroso quanto lui — o migliore — e governare su Ilio. In una tragedia omerica per ambientazione e temi quale l’Aiace di Sofocle (del 450 a.C. circa), il protagonista nutre la stessa speranza per il figlio Eurisace.

– Nel passo iliadico Andromaca esprime la volontà di non sopravvivere al proprio sposo (vv. 410-411), dando sfogo al timore tipico di donne che temono di perdere il marito. Anche questo diventerà un topos della tragedia attica.

Nel mito greco, però, Andromaca sopravviverà al marito e anche al figlio, gettato dalle mura di Troia dagli Achei vincitori (come narrato in un’altra tragedia, le Troiane di Euripide, del 415 a.C.); vivrà una vita da schiava e avrà un figlio da Neottolemo, il figlio di Achille, come di nuovo Euripide ce la descrive in un dramma del 426-421 a.C.: l’Andromaca

tratto da Con parole alate. Autori, testi e contesti della letteratura greca di Andrea Rodighiero, Sabina Mazzoldi, Dino Piovan, Zanichelli editore

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