“L’etimologia” di Daniele Baglioni

Prof. Daniele Baglioni, Lei è autore del libro L’etimologia edito da Carocci: attraverso quale processo si arriva a stabilire l’origine di un termine?
Daniele Baglioni, L'etimologiaGeneralmente si parte da un’idea, che vale da ipotesi di lavoro, e la si sottopone a vari test. Il primo test riguarda la forma: si confronta la forma attuale della parola con quella del suo presunto etimo e si accerta che l’evoluzione dei suoni e anche il modo con cui s’immagina che la parola sia stata costruita (tramite suffissi, prefissi ecc.) siano conformi agli sviluppi degli altri vocaboli. Un test importante è anche quello semantico, perché se si sospetta che una parola abbia cambiato di significato, come succede molto spesso, bisogna che il vecchio significato e quello nuovo abbiano una qualche relazione in comune, per esempio siano legati fra loro da una metafora: nel libro faccio l’esempio di guglia, che inizialmente, nella variante più antica aguglia, indicava un ago e che poi è passata a designare un pinnacolo, perché il pinnacolo ha una forma affusolata e a punta, proprio come l’ago. Occorre poi verificare che la ricostruzione che si propone non sia in contraddizione con i dati storici, dunque con le forme e i significati con cui una parola è documentata nei testi antichi, e anche con la sua area di diffusione (se una parola è in uso solo nei dialetti alpini, difficilmente deriverà da una lingua del Mediterraneo come l’arabo e il greco!). Infine va controllato che la denominazione originaria si adatti bene all’oggetto indicato. Sembra una banalità, ma può capitare a chi fa etimologia, in genere un linguista che passa le ore nel suo studio o in biblioteca, di non avere per niente chiaro come sia fatto l’uccello, la pianta o l’attrezzo agricolo del cui nome si sta occupando…

L’etimologia è una scienza?
L’etimologia è diventata una scienza agli inizi dell’Ottocento, con la nascita della moderna linguistica storica, e può dirsi oggi, dopo più di due secoli d’esperienza, uno studio rigoroso al pari di qualsiasi altra ricerca scientifica. Esiste però anche anche un’altra etimologia, più creativa e se vogliamo anche più divertente, che tuttavia non ha niente a che vedere con la scienza. Gli esempi abbondano in rete, dove si legge per esempio che corrotto, anziché essere il participio sostantivato di corrompere, deriverebbe da cor ruptum, perché il corrotto ha il cuore rotto dal rimorso, oppure che amore, invece di avere a che fare con il verbo amare, sarebbe il latino mors, mortis preceduto dall’alfa privativo greco, perché l’amore vince la morte (!). A volte alcune di queste etimologie fantasiose si diffondono a tal punto che quasi ci si dimentica della vera origine della parola. Per esempio, in molti credono che snob sia l’abbreviazione dell’espressione latina sine nobilitate “senza nobiltà”. Si tratta invece di una parola inglese che vuol dire “ciabattino”, che gli studenti di Cambridge utilizzavano per indicare chi veniva da fuori (dunque il parvenu che si dà le arie, e quindi lo snob). Il latino, per una volta, non c’entra nulla.

Quando nasce l’etimologia?
L’etimologia è antichissima, quasi quanto le parole. Già gli antichi Egizi, gli Ebrei e poi i Greci si domandavano quale fosse l’origine dei nomi e riflettevano sul rapporto tra i nomi e le cose, immaginando una relazione diretta, quasi di dipendenza degli uni dalle altre (è il principio, poi passato al Medioevo, del nomina sunt consequentia rerum). Nella Genesi, ad esempio, è scritto che Adamo fu chiamato così perché plasmato con la terra (in ebraico adamà): l’etimologia è falsa, perché Adamo non è un nome ebraico ma assiro, eppure ha una sua funzione ben precisa nel racconto biblico, visto che Adamo, il primo uomo, porta il ricordo della creazione fin nel proprio nome. L’esempio mostra anche quanto l’etimologia antica fosse diversa da quella che si fa oggi, non solo nei fondamenti e nel metodo, che mancavano ancora rispettivamente di scientificità e sistematicità, ma anche nelle funzioni che le venivano attribuite. Per i Greci, a cui si deve la parola stessa etimologia (da etymología, cioè “discorso intorno al vero”), trovare l’origine delle parole equivaleva a cogliere la vera essenza delle cose da esse indicate: l’etimologia era dunque strumento di conoscenza non solo linguistica, ma anche e soprattutto filosofica, un’ambizione che noi oggi non siamo più disposti a riconoscerle.

Come cambiano le parole?
La domanda è impegnativa: se raccogliessimo i libri che sono stati scritti sull’argomento, anche solo i più importanti, riempiremmo facilmente un’intera biblioteca! Ad ogni modo, possiamo dire che le parole, poiché si compongono di una parte materiale (i suoni) e di una parte astratta (il concetto associato a una data sequenza fonica), cambiano tanto nella forma quanto nel significato. In alcune parole il cambiamento formale è più evidente (come nel latino aurum, che è diventato oro continuando a designare lo stesso metallo); in altre invece è la componente semantica ad aver subito gli sviluppi più significativi (come nel latino fortuna, che indicava genericamente la sorte, buona o cattiva che fosse: la forma della parola è rimasta sostanzialmente immutata, mentre il significato si è ristretto ed equivale oggi soltanto a “buona sorte”). Molto interessanti sono poi i casi in cui i due cambiamenti, quello della forma e quello del significato, interagiscono e s’influenzano tra di loro. Per esempio la parola miniatura designava in origine una pittura fatta col minio, il minerale di colore rosso con cui si decoravano i manoscritti, e ciò a prescindere dalle sue dimensioni. Però tra il Medioevo e la prima Età moderna la parola è entrata nell’orbita d’influenza di minimo, con cui condivideva le prime due sillabe, e per via di questa somiglianza formale ha cambiato di significato, passando a indicare qualsiasi immagine (non solo dipinta, ma anche scolpita) purché di dimensioni, per l’appunto, mini

Ci dia qualche esempio di come conoscere l’origine di un termine può stupirci e affascinarci.
Beh, qualche esempio ve l’ho già dato. Ne aggiungo un altro che mi è sempre molto piaciuto, fin da quando l’ho sentito per la prima volta da studente a lezione: l’etimologia di stravizio. Tutti quanti pensiamo, legittimamente, che si tratti di un derivato di vizio: se infatti stravecchio vuol dire “molto vecchio” e straparlare vuol dire “parlare tanto”, anche stravizio, se è uno stra-vizio, vorrà dire “vizio grande”. L’origine invece è tutt’altra, vale a dire la parola croata zdravica (si legge sdràvizza), che significa “brindisi” e “sfida a chi beve di più”. Per noi italiani la parola era difficile da ricordare, motivo per cui l’abbiamo pian piano “addomesticata”, trasformando la prima sillaba in stra- e le altre due in vizio e rendendone irriconoscibile l’origine straniera. Così facendo ne abbiamo cambiato anche il significato (un po’ come è successo con miniatura), perché se lo stravizio è un “vizio grande”, allora non può essere solo il vizio del bere, ma anche quello del mangiare, del fumare e di qualsiasi altra forma di eccesso. Insomma, senza neanche accorgercene, abbiamo trasformato un innocente brindisi in un peccato capitale!

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