“Etimologi si nasce e io, modestamente, lo nacqui” di Alberto Nocentini

Prof. Alberto Nocentini, Lei è autore del libro Etimologi si nasce e io, modestamente, lo nacqui edito da Le Monnier Università: di quale utilità è l’etimologia?
Etimologi si nasce e io, modestamente, lo nacqui, Alberto NocentiniL’etimologia intesa nel suo significato integrale, cioè come storia della parola e ricerca della sua eziologia o causa prima, è parte costitutiva della storia di una lingua e quindi non è che un aspetto della storia e, se la lingua in questione è la nostra, della nostra storia. La sua utilità, dunque, è la stessa che si riconosce allo studio della storia con in più il piacere di soddisfare la nostra curiosità immediata, che consiste nel dare una motivazione a nomi e locuzioni che a prima vista sono privi di motivazione. Nel caso che la parola ricorra in un testo incomprensibile o addirittura in una lingua sconosciuta, allora diventa un caso particolare di quell’operazione complessa che è la decifrazione e la decifrazione è un aspetto essenziale dell’archeologia. Non si dimentichi che le grandi scoperte archeologiche avvenute dal XVIII secolo in poi hanno svelato i loro segreti fin nei minimi particolari grazie alla decifrazione dei testi ritrovati, ai quali si deve in primo luogo la conoscenza di lingue e famiglie di lingue di cui si era persa la memoria.

Quale posto occupa, tra le discipline linguistiche, l’etimologia?
La linguistica si articola in due rami principali: la linguistica generale con prevalenti interessi teorici studia la lingua come fenomeno in sé cercando di comprenderne la struttura e il funzionamento; poiché la lingua è anche la manifestazione concreta del pensiero, la linguistica generale sconfina necessariamente nella logica e, poiché la lingua è un prodotto dell’attività del cervello, il suo supporto va ricercato nelle neuroscienze. L’altro ramo principale è la linguistica storica, che studia la lingua come espressione culturale di una società e dei suoi cambiamenti e quindi come manifestazione creativa di una comunità, legata a tutti gli aspetti della sua cultura a cominciare dalla letteratura, e in questo caso s’imparenta colla filologia, per terminare coll’onomastica, cioè lo studio storico dei nomi di luogo e di persona, che spesso sono i segnali più cospicui della sopravvivenza di popoli e civiltà ormai estinte.

Quali metodologie adotta la ricerca etimologica?
Come tutte le discipline che pretendono di raggiungere risultati obbiettivi e quindi verificabili e falsificabili, la linguistica storica ha per fondamento il metodo elaborato e sperimentato dalla grammatica storico-comparativa, che fissa per ogni lingua e per ogni famiglia di lingue un insieme di regole di corrispondenza; queste permettono di stabilire quali sono i cambiamenti e quindi le corrispondenze possibili e quali non. Il metodo è uno dei frutti del positivismo ottocentesco applicato alle scienze dell’uomo e, sotto questo aspetto, la linguistica si è rivelata una disciplina pilota al punto di sviluppare principi evoluzionistici ancora prima dell’evoluzionismo biologico di matrice darwiniana. Ed è grazie all’applicazione del metodo storico-comparativo che ha potuto attuarsi la decifrazione della maggior parte delle lingue dell’antichità di cui abbiamo appena detto. Al di fuori di questo quadro c’è solo il caos, vanamente movimentato dalle pretese velleitarie dei dilettanti e dalle “scoperte” sensazionali dei ciarlatani.

A cosa si devono i casi di casi di dubbia o irrisolta etimologia?
La ricerca del passato è incompleta per definizione, poiché non disponiamo di tutte le informazioni necessarie e spesso dobbiamo procedere per congetture. Le etimologie facili si hanno quando la continuità col passato è trasparente sia nella forma che nel significato e sono state già risolte da tempo anche dai dilettanti e dai primi cultori dell’etimologia grazie alla loro evidenza. A noi restano quelle difficili, caso che si presenta quando fra la forma attuale e quella originaria si è verificato un evento imprevisto o quando i cambiamenti della società e della cultura sono tali che la sua motivazione non è più comprensibile. In questi casi dobbiamo accontentarci di fare congetture più o meno plausibili e, quando la forma attuale non è riconducibile ad alcuna forma nota, dobbiamo dichiararci sconfitti, almeno fino a quando non emerga qualche nuovo documento chiarificatore. Per questo è particolarmente utile l’edizione dei testi antichi e la pubblicazione dei vocabolari dialettali, perché da questi possono risultare varianti inedite che sono più vicine alle forme originarie. È il caso di salpare (l’ancora), che siamo in grado si spiegare grazie alla variante serpare proveniente da un documento genovese del XIV secolo e al siciliano assarpari l’àncaru, usato nelle isole Eolie, che ci permettono di spiegarlo come ‘avvolgere la catena dell’ancora su se stessa come un serpente’.

Quale rilevanza assume nelle lingue il fenomeno dei prestiti?
Sul piano quantitativo i prestiti possono assumere una rilevanza enorme e sotto questo aspetto il lessico di una lingua è come un magazzino senza fondo. In una lingua come l’inglese, che attualmente domina la scena mondiale, i prestiti superano di gran lunga le voci di eredità anglosassone e la maggior parte è di provenienza neolatina. A tutti coloro che sono preoccupati per l’eccessiva quantità di prestiti inglesi nell’italiano, fenomeno che si presenta quotidianamente alla nostra osservazione, farà piacere sapere che il numero dei prestiti italiani nel lessico inglese è perlomeno equivalente e la maggior parte dei prestiti inglesi entrati in italiano è di origine neolatina, cioè una sorta di restituzione detta “prestito di ritorno”. Si tenga poi presente che nel fenomeno del prestito il fattore culturale prevale su quello politico: il greco, lingua dei vinti, invase il lessico del latino, lingua dei romani vincitori, e dal latino i grecismi sono stati trasmessi in massa all’italiano al punto che le nostre tre bandiere attuali, olio vino pasta, sono tre parole di origine greca.

Qual è l’etimologia di brutto?
Di certo non dal latino brutus e non solo per la difficoltà di spiegare la doppia -tt-, ma soprattutto per il significato che in latino è ‘stupido, privo di ragione’. Nell’italiano dei primi secoli il significato prevalente di brutto è ‘sporco’, da cui si passa agevolmente a quello di ‘ripugnante’ e quindi ‘brutto’ e il verbo bruttare significa tutt’ora ‘sporcare’; rispetto a questo brutto è un participio passato nella forma tronca, come lo sono carico guasto sconcio rispetto a caricare guastare sconciare. L’evento che altera la trasparenza delle forme consiste nel fatto che bruttare deriva da brattare (nella lingua attuale usato col prefisso imbrattare) in seguito al mutamento della a in u in posizione atona, fenomeno imprevisto ma non impossibile e accertato in casi noti come annusare rispetto a naso e fiutare rispetto a fiato, cui si può aggiungere bruciare rispetto a brace.

In quali casi la somiglianza della forma può indurre a conclusioni errate?
La sola somiglianza della forma che prescinde dalla storia della parola e del suo significato è la fonte principale di tutti gli errori più grossolani; basti pensare a ballatoio, a prima vista ‘luogo dove si balla’, ma in realtà derivato da bellatorium ‘luogo dove si combatte’. Quando poi si pretende, sulla base di semplici assonanze e vaghe somiglianze si significato, di stabilire corrispondenze e parentele fra lingue lontane nel tempo e nello spazio, si generano autentici mostri. La storia degli studi sull’etrusco, una lingua mal documentata e priva di confronti sicuri, è disseminata dei loro cadaveri e, ciò nonostante, con cadenza periodica vengono riproposte dal mitomane di turno clamorose “decifrazioni” fondate sul confronto con le lingue più disparate, dal sanscrito al sumerico, dal basco all’ittita, dal lituano all’ungherese.

È veritiero l’aforisma secondo il quale «le etimologie si trovano e non si cercano»?
L’aforisma, come il proverbio, contiene una verità parziale da verificare a posteriori e questo appena citato è nato dall’esperienza di chi, dopo aver cercato una soluzione senza risultato, l’ha trovata per caso mentre faceva altri studi, grazie a quella combinazione di fortuna e intuizione che prende il nome di serendipità. Posso citare un caso personale abbastanza curioso: l’origine di affanno e affannare mi è balzata davanti agli occhi mentre riponevo un ventilatore, sulla cui scatola appariva la scritta fan, termine inglese che proviene dal latino vannus ‘vaglio’, lo strumento usato un tempo con gran fatica per ventilare il grano. D’altra parte, però, si comprende che, se dovessimo seguire l’aforisma alla lettera, dovremmo vivere più vite per poter compilare un dizionario etimologico

In molti casi la ricerca etimologica si avvale di competenze esterne alla linguistica, come le scienze naturali, il folklore o la meteorologia: per quali parole, ad esempio, tale apporto è fondamentale?
Come ho detto prima, la ricerca etimologica deve servirsi di tutte le informazioni utili senza porre limiti a priori alla loro provenienza, proprio il contrario di quello che fanno le scienze cosiddette “forti”, che trattano solo sistemi isolati per poter stabilire con certezza i rapporti di causa ed effetto. Così, p.es., per spiegare l’origine di babà non basta dire che viene dal francese e questo dal polacco baba ‘vecchia, nonna’, ma precisare che proviene dalla corte del principe Stanislao Leszczynski, che visse a Parigi nella seconda metà del XVIII secolo e che la metafora che paragona il babà a una vecchia dai fianchi larghi passa prima attraverso il nome polacco di una qualità di grosse pere, che hanno una sagoma simile. Tutto questo può apparire poco scientifico rispetto a una dimostrazione dal rigore geometrico, ma in realtà si tratta sempre si stabilire i rapporti di causa ed effetto fra elementi in gioco e quello che conta è la fondatezza di questi rapporti e non la provenienza eterogenea degli elementi. Quando si trattano, per fare un esempio concreto e persuasivo, parole che provengono dalle cosiddette etnoscienze, bisogna sapersi muovere secondo le categorie proprie della mentalità popolare: se la farfalla viene chiamata anima, questo dipende dalla credenza che le farfalle siano la reincarnazione delle anime dei defunti.

Quali, tra le etimologie da Lei descritte, ritiene le più affascinanti?
Dal mio punto di vista, che può non coincidere con quello di chi consulta un dizionario etimologico, anzi sicuramente non coincide, il fascino di un’etimologia sta nella sua impenetrabilità, che mi obbliga a fare ricerche in documenti rari e a ipotizzare motivazioni insolite, che possono rivelarsi contrarie al senso comune. L’ultimo caso che mi è capitato di affrontare è quello di belletto, che non deriva affatto da bello, come pare ovvio e come tutti i dizionari registrano, ma da termini che significano ‘fanghiglia, sporcizia’. Parodiando il detto di uno dei primi pensatori originali dell’umanità, Eraclito di Efeso, “chi non s’aspetta l’inaspettato non scoprirà mai la verità”.

Alberto Nocentini ha insegnato per quarantacinque anni Glottologia e Linguistica generale all’Università di Firenze ed è attualmente Accademico della Crusca e condirettore dell’«Archivio Glottologico Italiano», la più antica rivista italiana di linguistica. Tra le sue pubblicazioni: L’Europa linguistica. Profilo storico e tipologico (Le Monnier, 2004), L’Etimologico. Vocabolario della lingua italiana (Le Monnier, 2010), Lingua e divenire. Saggi di tipologia evolutiva (Le Monnier, 2014), La vita segreta della lingua italiana (Ponte alle Grazie, 2015) e Saggi Aretini. Anatomia di un dialetto (Cesati, 2019). Per l’editore Le Monnier cura inoltre l’aggiornamento etimologico del dizionario Devoto-Oli.

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