
Fu in particolare lo scoppio della bomba atomica – uno strumento di morte i cui effetti si potevano protrarre per generazioni, senza che fosse possibile bloccarli – a sollecitare le prime riflessioni di questo tipo. A un evento di tale portata, però, si aggiunsero ben presto gli effetti di ulteriori progressi in ambito sia scientifico che, di nuovo, tecnologico. In seguito a essi le stesse nozioni di “vita” e di “morte” vennero ridefinite. Si pensi ai protocolli di Harvard, finalizzati all’accertamento della morte come morte cerebrale, in modo da poter procedere al trapianto di organi. Tutto questo e altro ancora contribuì alla nascita della prima disciplina che, in maniera articolata, cercò di rispondere alle sfide etiche provocate dalla nuova situazione. Mi riferisco alla bioetica.
A tale disciplina ben presto se ne aggiunsero altre. S’impose la necessità di riflettere sulle trasformazioni operate nel nostro quotidiano da un’economia sempre più globalizzata, da una comunicazione sempre più invadente e pervasiva, da una serie di emergenze ambientali che rischiano di sfuggire al controllo umano. Si tratta insomma, in tutti questi casi, di governare problemi concreti. E i problemi concreti richiedono soluzioni concrete.
Tali soluzioni devono però essere guidate e indirizzate da principî generali, sui quali vi possa essere un consenso il più possibile ampio. Questi principî, a loro volta, debbono applicarsi alle varie situazioni e proprio in tali situazioni debbono essere messi alla prova. Si tratta di una ricerca che, per quanto riguarda il metodo che la contraddistingue, ha un andamento circolare: dal generale al particolare, e viceversa. Questo è in generale l’andamento delle etiche applicate.
Quali sfide etiche pone l’evoluzione della ricerca scientifica sui temi della vita e della salute?
Pone sfide decisive. Le tecnologie applicate alla nostra vita sono in grado d’incidere sui processi della riproduzione e della nascita, sulle varie fasi dell’esistenza, sulla possibilità del suo prolungamento, sui modi del morire. Rispetto a ciò si scontrano, da un lato, la tendenza a sfruttare questo potenziale per trasformare le condizioni stesse della vita umana, ritenendo addirittura, in alcuni casi, che tutto ciò che la tecnologia rende possibile debba anche essere sperimentato, con piena legittimità. Dall’altro lato, però, emerge con sempre più forza il timore che, seguendo la logica insita in questi processi, si giunga prima o poi a esiti pericolosi. È indubbio infatti che i progressi tecnologici sono in grado di migliorare sensibilmente la qualità della nostra vita. Non sempre però siamo capaci di prevedere in modo compiuto tutti gli effetti di certe sperimentazioni.
D’altronde, porre semplicemente una serie di divieti non sempre rappresenta la strategia più adeguata. I divieti, infatti, vengono ben presto aggirati. Interessi economici – pensiamo a certi settori della medicina e della produzione farmaceutica – spingono la sperimentazione ad andare sempre oltre.
Ecco, allora: un’etica della vita dev’essere in grado di giustificare le condizioni per cui e i modi in cui certe scelte vengono compiute. E deve farlo non già procedendo in maniera unilaterale, o seguendo l’interesse solo di una parte, ma tenendo conto di tutti gli aspetti e, per quanto possibile, di tutte le conseguenze di un agire che è in grado sempre più d’incidere sulla nostra vita. Ad esempio: in certe situazioni estreme deve salvaguardare, certo, il benessere individuale del paziente, rispettandone l’autonomia, ma deve anche tener conto del contesto più ampio delle relazioni con cui il paziente si trova a interagire.
Che nesso esiste tra etica e comunicazione?
C’è un nesso fondamentale. Senza la fiducia che l’altro mi comprenda non si può iniziare a comunicare. Senza l’intenzione di cooperare in uno spazio comune non si ha davvero un’attività comunicativa. Senza una responsabilità nei confronti di ciò che uno dice e di colui o colei a cui ci si rivolge la comunicazione non può andare avanti. E, a ben vedere, quelle relative alla fiducia, all’apertura agli altri, a un comportamento responsabile sono appunto istanze etiche.
Certo: non possiamo non accorgerci che nella vita di tutti i giorni le cose spesso vanno in un altro modo. Ma senza il riferimento a questi criteri – e ad altri ancora, che ci spingono comunque, tutti, verso la cooperazione piuttosto che verso il conflitto – non potremmo mai intenderci. Non potremmo riuscire neppure a offendere un’altra persona, se non fossimo fiduciosi nel fatto che, rivolgendoci a lui o a lei, questi è in grado di capirmi e, appunto, di prendersela per le mie parole.
Quali specificità presenta l’etica della comunicazione in rete?
La sua specificità è legata al fatto che, comunicando in rete e attraverso la rete, riusciamo a vivere contemporaneamente in un modo reale e in uno virtuale. Solo che, spesso, non siamo capaci di distinguere questi due livelli e talvolta li confondiamo. Tutto ciò è reso possibile dall’uso di specifici strumenti, capaci di aprirci queste altre possibilità, questi altri mondi. Pensiamo allo smartphone e a ciò che esso ci permette di fare. D’altronde – e questa è un’altra specificità insita nel nostro uso delle tecnologie comunicative – a tali strumenti siamo ormai talmente abituati che risultano ormai quasi invisibili. Sono mezzi di comunicazione (media) che ci danno l’illusione di una comunicazione immediata.
Quali sono le principali questioni etiche nell’economia globale?
Sono questioni legate a una giustizia spesso negata. L’autonomizzazione dell’economia – dovuta anch’essa all’uso di tecnologie ben specifiche: pensiamo ai meccanismi della borsa, che hanno una logica loro propria e che sono ormai governati da specifici algoritmi – conduce molto spesso a un aumento delle diseguaglianze sociali. È la logica del capitale.
Ma non è possibile considerare un essere umano solo a partire da un approccio di tipo quantitativo, facendo cioè riferimento solo a criteri misurabili, calcolabili. Né il suo posto del mondo, le sue opportunità, le sue possibilità di realizzazione, possono essere determinate unicamente in questo modo. Bisogna invece far riferimento ad altri criteri, di carattere qualitativo, a partire dai quali sia consentito a ciascuno di rapportarsi agli altri secondo giustizia, ovunque egli viva.
Quale etica per l’ambiente?
Un’etica del rispetto. La nozione di “rispetto”, qui, diventa infatti centrale. Si tratta di rispetto nei confronti di ciò che ci circonda; nei confronti di tutti gli esseri viventi; nei confronti di noi stessi, che siamo in relazione con tutto ciò che è. E se il rispetto viene meno – ormai ce ne siamo accorti – vengono meno anche le condizioni della vita sulla terra.
Quali questioni di etica pubblica si sono imposte nel dibattito contemporaneo in materia?
Sono le questioni oggi maggiormente al centro del dibattito. Riguardano non solo i diritti, ma anche i doveri delle varie categorie di persone che rivendicano le loro specificità. Nasce così la necessità di articolare ulteriormente i temi dell’etica generale: sviluppando per esempio un’etica al femminile, un’etica di genere, un’etica che affronti le questioni della disabilità e dell’immigrazione.
Insomma: accanto all’etica degli individui va sviluppata anche un’etica sociale, aperta alle nuove forme di relazione. Tutto questo comporta conseguenze importanti anche per le generazioni future. In questo senso si parla di etica intergenerazionale.
Su quali temi etici, a Suo avviso, è destinato a concentrarsi maggiormente il dibattito nel futuro?
Credo che l’attenzione futura, in etica, si concentrerà sul fatto che, se nelle nostre riflessioni non faremo posto a questioni di comportamento concrete, se cioè non svilupperemo con attenzione e rispetto le nostre varie relazioni, a venir meno per noi sarà proprio il futuro: il futuro di tutti. Vi è futuro, infatti, solo se vi sono persone che se ne prendono la responsabilità. E queste persone possono prendersi la responsabilità del futuro solo se hanno cura del presente.