
a cura di Raniero Cantalamessa
Vita e Pensiero
«Per il mondo biblico e del primitivo cristianesimo sessualità e matrimonio sono realtà che si ricoprono (o dovrebbero ricoprirsi) perfettamente, in quanto non si ammette altra sessualità — intesa in senso attivo e moralmente qualificato — se non nel matrimonio. Ogni altra forma di esercizio sessuale (omosessualità, adulterio, onanismo, prostituzione, ecc.), anche se non ignota, né assente nell’ambiente biblico, è condannata senza riserve, come sono condannate le espressioni sacrali della sessualità (prostituzione sacra, ierogamia, ecc.), in uso in molti culti antichi.
Nella sfera religiosa vera e propria, il sesso, o meglio l’eros sessuale, entra solo come simbolo, serve cioè per esprimere i rapporti esistenti con la divinità (Osea, Geremia, Ezechiele, Cantico dei cantici, simbologia nuziale nel Nuovo Testamento), non per stabilirli magicamente. Al contrario, l’esercizio sessuale può impedire e offuscare tali rapporti con la divinità ed è sentito perciò, in questo preciso ambito, con una carica religiosa negativa. […]
Manca parimenti nel mondo biblico qualsiasi speculazione sulla sessualità umana in se stessa, di tipo mitologico-cosmico, come c’è in Platone e nelle religioni orientali, o di tipo scientifico-psicologico, come avviene nella moderna antropologia filosofica dopo Freud. Ci si limita a prendere atto che Dio ha creato l’uomo maschio e femmina (Gen. 1,27); che questo spiega l’invincibile attrattiva che lega tra loro nell’esistenza l’uomo e la donna (Gen. 2,18-24); che tutto questo è buono (Gen. 1,31) e infine che le cose, dopo ciò che è descritto in Gen. 3, non sono più come prima (Gen. 3, 7).
Dopo queste premesse, vengo subito ai punti sui quali voglio concentrare la riflessione. Essi intendono rispondere ad alcune domande precise:
1) Il cristianesimo primitivo, Nuovo Testamento compreso, ha ammesso sì o no il valore positivo della sessualità umana e, quindi, del matrimonio?
2) Quali fini sono assegnati al matrimonio; ovvero come si configura il suo contenuto oggettivo e soggettivo?
3) Che rilevanza ebbe e come si espresse la dimensione religiosa e sacra del matrimonio?
4) Quali forze e quali processi determinarono la formazione di una tradizione e di un’etica ‘cattolica’ del sesso e del matrimonio? Quale lezione metodologica se ne può ricavare oggi?
Può apparire sorprendente e deludente per la mentalità contemporanea il fatto che si debba prendere le mosse così da lontano e così alla radice: addirittura dall’accettazione o meno della sessualità e del matrimonio. Se lo si fa è perché, al termine della nostra ricerca, siamo stati costretti a costatare, ancora una volta, una sorta di disagio teoretico e pratico del cristianesimo antico di fronte al matrimonio. Il primo dei nostri saggi ha inteso ricostruire una forma, la più antica, che il rifiuto del matrimonio ha assunto in seno al cristianesimo: l’encratismo. Non sarebbe difficile, tuttavia, proseguire l’indagine e cogliere l’esistenza, su questo punto, di una posizione radicale pressoché ad ogni epoca della storia della chiesa antica: marcionismo, montanismo, messalianesimo, priscillianesimo, ecc., e, accanto a questi movimenti noti, innumerevoli altri, ora dimenticati, ma che punteggiano i cataloghi degli eresiologi antichi.
Il loro credo è abbastanza monotono. Del messalianesimo, per esempio, dalla condanna che se ne fece al concilio di Gangra (metà IV secolo), sappiamo che rigettava il matrimonio, considerava i coniugati come appestati ed esclusi dalla salvezza, al punto da fuggire le loro case e disertare le liturgie celebrate da preti regolarmente sposati secondo la prassi del tempo. Il fenomeno, del resto, non è ristretto solo ai gruppi marginali. In forme diverse, esso sembra toccare anche la Grande chiesa. L’ipertrofia dell’ideale ascetico della verginità e del monachesimo si accompagna spesso, specie a partire da una certa epoca, a un tale deprezzamento del matrimonio, da farci chiedere francamente se se ne ammette ancora la fondamentale bontà. Anche il processo di formazione di una canonistica ecclesiastica in materia di sesso appare venato, qua e là, da questa tendenza, nonostante la moderazione e lo spirito di accomodamento di cui dà prova sul piano pratico.
Le sortite più pericolose, in questo senso, sono certamente quelle di alcuni padri che tendono a ridurre la sessualità umana a un fatto secondario e infralapsario, legato cioè all’evento storico del peccato e insignificante rispetto alla qualità di immagine di Dio. Con ciò, infatti, si intaccava il fondamento stesso su cui riposa la bontà del matrimonio nell’ambito biblico — la sua appartenenza all’ordine originario della creazione di Dio — e si finiva per vagheggiare una strana quanto ingenua forma di angelismo (senza il peccato, il genere umano si sarebbe propagato, ma non per via sessuale!). Questa «storia dolorosa» del matrimonio è stata più volte descritta, perché ci sia bisogno di insistervi più a lungo qui. Un tale fenomeno fa sorgere spontaneamente il bisogno di interrogare il Nuovo Testamento. Tra questi inquietanti sviluppi posteriori e il Vangelo di Gesù c’è una continuità ed omogeneità di fondo, o invece è intervenuto, nel passaggio dai giorni di Gesù al «tempo della chiesa», qualcosa che ha determinato un corso nuovo? […]
Non ogni ascetismo e non ogni rifiuto del matrimonio è in linea con l’insegnamento di Gesù. Lo è però certamente, nel suo insieme, l’ascetismo della prima ora che ha come motivazioni dominanti l’urgenza escatologica e la sequela Christi. Tale ascetismo — che trova la sua realizzazione sociologica nel profetismo itinerante siro-palestinese dell’età apostolica e che si prolunga, in certo senso, nell’encratismo — ha diritto di richiamarsi all’esempio di Gesù, non solo per quanto riguarda la pratica della continenza assoluta e della povertà, ma anche — sebbene questo sia meno chiaro — per quanto riguarda il rifiuto più o meno esplicitato del matrimonio in sé, o del suo uso per chi è già sposato: questo, beninteso, una volta che ci si è messi alla sequela di Cristo e del Regno. Tale ideale si è plasmato in un quadro di pensiero nettamente giudeo-cristiano; l’ellenismo e la gnosi non ebbero alcun influsso su di esso, come invece l’ebbero, e assai forte, nella formazione della corrente antagonista: quella ortodossa, o della Grande chiesa.»