“Etica per l’impresa. Risorse per la rinascita economica” di Massimiliano Marianelli, Uliano Conti, Serena Meattini e Paolo Polinori

Prof. Massimiliano Marianelli, Lei è autore con Uliano Conti, Serena Meattini e Paolo Polinori del libro Etica per l’impresa. Risorse per la rinascita economica, edito da Carocci: quale orizzonte di riflessione su produzione, occupazione, mercato e azioni sociali delinea l’incontro tra etica, filosofia, economia e ricerca sociale?
Etica per l’impresa. Risorse per la rinascita economica, Massimiliano Marianelli, Uliano Conti, Serena Meattini, Paolo PolinoriIl lavoro proposto intende proporre una lettura “critica” (in senso positivo e propositivo) degli attuali cambiamenti economici e promuovere una cultura dell’innovazione che abbia come centro la crescita e la realizzazione della Persona in tutte le sue dimensioni. Le sfide sociali e culturali lanciate dal mondo contemporaneo, data l’attuale crisi economica mondiale, spingono ad un ripensamento di modelli consolidati. Proponiamo tale ripensamento in una riflessione che intende non “imporre” novità, ma rileggere, a partire da un proficuo dialogo tra Filosofia, Economia e Scienze Umane, l’originario senso “civile” dell’economia: ri-tornare al passato per rileggere il nostro tempo, per “rifigurarlo”. La via proposta intende ripensare una via originariamente greca e che intende portare al centro un’economia capace di valorizzare la relazione le relazioni e quei beni relazionali che sono elementi capaci di dare nuova linfa all’economia e alla vita civile.

A tale fine lo scopo è tentare nuove vie di fondazione del sistema economico a partire da principi alternativi rispetto a quelli vigenti e predominanti, in modo da ricalibrare il rapporto tra necessità del profitto e felicità personale, da cui soltanto può seguire una vera motivazione al cambiamento. Il centro e l’orizzonte nel quale intendiamo inserirsi e cui intendiamo aprire è dunque l’affermazione del primato della relazione, di un dato relazionale (il nostro passato, la nostra cultura, gli altri e l’altro che incontro) che sempre mi precede. È la via, concreta, di riaffermazione della centralità della persona che, solo nella relazione, è soggetto e oggetto di ogni innovazione e cambiamento possibili: essa è, come ricorda un economista il “valore dei valori”. Le riflessioni proposte dunque prendono sul serio il compito dell’economia, tornando a pensare al significato e compito di questa “scienza” che la modernità (di cui Conti nel suo contributo mette in luce in un’immagine il “potenziale distruttivo”) ha orientato in qualche modo fuori dall’orbita naturale e originaria cui faceva riferimento il termine. L’economia non è la scienza dell’egoismo o dell’isolamento, bensì è il luogo in cui possiamo mettere in gioco relazioni umane, interessandoci specificatamente alla finalità sociale e all’uso comune delle ricchezze (materiali e non) a disposizione dell’umanità. Occorre un rovesciamento dei termini che conduce a ripensare all’economia come a uno strumento per la crescita e la realizzazione delle persone e della comunità: una crescita che tiene insieme i due termini, in un richiamo reciproco che ancora pensa insieme: crescita comune e realizzazione personale. Mettendo prima le persone delle cose l’economia si riafferma come “sostanzialmente” etica: è il tentativo di orientare scelte tecniche per raggiungere obiettivi definiti che intendono considerano soggetto e non oggetto del processo economico, l’uomo. In questo senso affermiamo che l’economia si fonda su un’intelligenza morale; non è una scienza puramente descrittiva, ma una scienza dell’azione, umana, ergo morale. La grande illusione della modernità, e dell’economia politica moderna, riposa sulla separazione (escogitata da Locke) tra economia, etica e politica, fondamento delle patologie (una su tutte, la crescita esponenziale delle disuguaglianze) del capitalismo moderno.

Guardare le cose da un’altra prospettiva e proporre l’apertura a nuove vie è necessario, sia per la Filosofia, che come tale è costante tensione e desiderio mai appagato di unità come mediazione (immagine del prometeo incatenato, mediatore che si annulla), sia per una comprensione profonda del nostro tempo, dispiegato e disconnesso… alla ricerca di un’unità che sembra sfuggire costantemente ad ogni pretesa di unità. Quale unità possibile? Ritrovare l’uomo, è il tema che emerge, il valore di fondo implicitamente ed esplicitamente presente nel libro. Certo il dato è il dato, è qualcosa da cui non possiamo prescindere: ma quel dato (leggi di mercato e tutti i movimenti finanziari così come le economie dei paesi), sono comunque da pensare in un contesto relazionale o meglio ancora come un dato relazionale che sta “tra” quello che c’era e quello che ci sarà e che oggi, chiede di esser ripensato, ri-orientato… se qualcosa ci pare non vada per il verso giusto. Con riferimento all’economia, il compito della filosofia appare quello di ri-orientare, di ridare senso rispettando ciò che ci precede e l’ambiente in cui siamo. Così, nel dialogo tra filosofia ed economia, sembra opportuno ri-aprire a una prospettiva capace di leggere da uno sguardo altro e alto, quello che sta accadendo, per non chiudersi in una prospettiva auto-limitante.

Quali nuovi significati assume la crescita, in relazione alle sfide della lotta alle disuguaglianze e per la promozione di un autentico sviluppo umano?
All’inizio del suo contributo, il collega e amico Polinori, ricorda “le parole dell’economista Alessandro Roncaglia (2016, p. 12): ‘… non esistono solo diversi interessi nella società, esistono anche punti di vista diversi – concezioni e teorie diverse – nell’interpretazione della società e dell’economia. Anche in questo caso, il mancato riconoscimento dell’esistenza di queste differenze può avere effetti gravissimi’. Conseguenza logica è che un economista deve evidenziare il suo particolare punto di vista, dire come la pensa, come si colloca in ambito teorico per rifuggire il ruolo, dai tratti mitologici, dell’economista super-partes, imparziale, portatore di analisi positive scevre di giudizi di valore riconducibili a qualche principio morale” (Uliano Conti, Massimiliano Marianelli, Serena Meattini e Paolo Polinori, Etica per l’impresa. Risorse per la rinascita economica, Carocci, Roma 2021, p. 42). Dopo la modernità, più che qualificare un orientamento, una direzione e proporre anche soltanto un modello di lettura dei cambiamenti, l’economia ha seguito un processo di rovesciamento per cui l’uomo, da centro del processo, è diventato mezzo del processo stesso: il mezzo diventa il fine in un percorso che, come giustamente sottolineava Simone Weil, porta a termine il più ampio esito deleterio proprio della modernità: concepire il progresso come un avanzamento in orizzontale che esclude (anzi esaurisce e comprende, arrestandola) ogni possibile aspirazione verticale: «Si è convinti che, camminando orizzontalmente, si avanzi. No. Si gira in tondo. Si può avanzare solo verticalmente» (S. Weil, (1988), Quaderni, vol. III Adelphi, Milano). Lo stesso Bene, come realtà trascendente, è abbassato e “immanentemente” esaurito in un processo in linea retta che dimentica quella che per Weil, con Platone, è la radicale distanza tra gli ordini del necessario e del Bene stesso appunto e infine la vocazione dei greci (e dell’umanità): lanciare ponti, attraverso il lavoro che è mediazione, tra i due mondi (bella l’espressione greca Μεταξύ -traducibile come “tra”, “entre” o ponte, e che indica un legame e un passaggio cfr. M. Martino, Μεταξύ. Note sul concetto di anima. Platone, Aristotele, Hegel, Rivista di Filosofia Neo-scolastica, CXIII, 3/2021, pp. 673-686).

Oggi non è nemmeno argomento di discussione e se arrivano momenti di arresto, si consideri la recente e presente esperienza Covid19, sono pensati non nella prospettiva di un arresto che è possibilità dio tornare a riflettere su sé, sul nostro rapporto agli altri o sul corso degli eventi: è un arresto che è visto generalmente nella prospettiva di un proseguire nella stessa direzione “orizzontale”. L’incredibile concentrazione di informazioni e la rapidità delle relazioni virtuali – la possibilità di incontrare nel quotidiano diversità culturali e religiose che avviene con una facilità inedita rispetto al passato – impongono ritmi che riempiono ogni vuoto e impediscono una seria ed attenta riflessione sull’uomo, sulle sue autentiche aspirazioni e sulla possibilità di una sua realizzazione profonda, di quella felicità di cui parlavano gli antichi. Il conveniente, termine su cui torniamo considerando l’etimologia nel presente lavoro, è inteso come l’utile e come possibilità di scegliere tra diverse alternative materiali; scegliere il conveniente così inteso come utile sembra quindi limitare ogni possibile riflessione ulteriore in grado di guardare l’altro come disponibile ad altro e di leggere l’umano nella sua integralità rispondendo e rispettando tutte le sue intime aspirazioni. Eppure, un tentativo di questo tipo potrebbe essere lo strumento per la crescita e per la realizzazione dell’uomo e, quindi, una possibile strada da percorrere per ri-orientare l’economia, facendola uscire dalla crisi e aprendo a una nuova e vera crescita. Quale crescita? Quella economica e finanziaria? E chi ragionevolmente può garantirla e come nell’attuale contesto? Forse il senso della crescita va ricercato in un orizzonte di senso che è quello da cui trae origine ogni domanda su ciò che conviene, profondamente, ad ogni uomo.

Un compito complesso, che implica la sortita da quel meccanismo della modernità che condanna l’uomo a un’ineluttabile insoddisfazione, la cui via non può essere breve, attraverso indicazioni e orientamenti definiti da norme morali e modelli economici, ma lunga e, quindi, mediante un cambio di paradigma che non si impone, ma si genera attraverso un cambiamento culturale. Così, ripensare l’uomo, significa ripensare radicalmente il contesto culturale nel quale si inserisce operando una deviazione disorientante che trova nel Silenzio quella parola sovversiva e necessaria a creare uno spazio di arresto, un momento di ascolto di sé e degli altri, all’interno dell’eccesso di parole e relazioni che viviamo.

Nella prospettiva dell’agire pratico e come implicazione economica, morale e politica, la relazione si dà originariamente come una ferita: quella «ferita dell’altro» (cfr L. Bruni, (2007), La ferita dell’altro. Economia e relazioni umane, Il Margine, Trento) di cui parla Bruni riferendosi ad un’alterità che è ancora valore relazionale fondamentale, non posizione di un altro assolutizzato e idealizzato, bensì quale dato originario. Tema centrale e idea fondante l’importante lavoro di Bruni, è che l’altro non è soltanto limite al mio avere, ma è necessario al mio essere: infine l’umano si definisce e può qualificare una prospettiva di autentico umanesimo soltanto all’interno di una dinamica di genuina reciprocità. Sullo stesso tema, con accento al tema della reciprocità, torna Silvia Pierosara indagando sul «riconoscimento del legame comunitario» a partire dalla «insuperabile correlazione tra identità e differenziazione» e affermando «la fondamentalità del riconoscimento del legame» (Pierosara S. (2011), L’orizzonte e le radici. Sul riconoscimento del legame comunitario, Aracne, Roma). In ambito politico Alici insiste sulla relazione di questo spazio dell’entre, luogo di relazione che viene prima della socievolezza. Scrive: «la naturale socievolezza non coincide con una naturale convivenza, bensì con l’accettazione di questo luogo intermediario che si è chiamati ad abitare tra ciò che si può solo subire e ciò che propriamente si vuole» (Alici (2017), Patire e potere. Politica e questione antropologica, Morlacchi, Perugia). È per altre vie lo spazio di una filosofia dell’entre, cui si fa riferimento e che appare la via per tornare ad una economia che risponda alle esigenze più profonde e che abbia come fine la possibilità di una realizzazione piena dell’uomo in tutte le sue prerogative, per dirla con un termine che oggi appare inattuale, la sua felicità.

Per filosofia dell’entre, intendiamo quel terreno comune, quel dato originario qualificabile come un milieu relational, luogo di un pensare filosofico aperto agli altri saperi, alle scienze umane, sociali e non soltanto. Si tratta del luogo di un pensare che si dà nella relazione, e che filosoficamente pè apertura ad un’ontologia della relazione che va oltre ogni dualismo, nella misura in cui facciamo l’esperienza che c’è un dato che ci precede, c’è un mondo che attende di essere accolto e non nuove sintesi compiute che lo superino, da trovare. Tale milieu non è un terzo elemento della relazione, non è il terzo, è lo spazio nel quale da sempre siamo e del quale dobbiamo forse “riaccorgerci”: siamo in un “milieu relational” in un ambiente che da sempre, da quando l’uomo c’è, ci accoglie, quella presenza è invito a riconoscersi in un senso di umanità che ci precede e che siamo chiamati a preservare, per quanto ci è possibile, rispettandolo.

Occorre cogliere in profondità ciò che già c’è, comprendere che ogni “lettura” di quel testo rappresentato dal mondo è, in ogni caso, provvisoria e parziale perché disposta alle modificazioni che l’incontro con l’altro rende possibili: “rinunciare” all’immaginazione di sintesi operate da noi stessi, per porsi in ascolto di altro, per disporsi ad accogliere altro. La presa di posizione più urgente per l’oggi è un silenzio accogliente di ciò che siamo, di ciò che siamo stati e degli altri che incontro: silenzio capace di orientare ad una azione consapevole. Silenzio che, come ricorda una grande voce del nostro tempo, Claudio Parmiggiani, è «presenza oggi necessaria e, anche se può sembrare un paradosso, un modo di assumere una posizione», per acquisire un nuovo senso di responsabilità per gli altri, per l’ambiente in cui viviamo, sempre in un modo al tempo stesso antico e nuovo: inedite sono infatti le sfide di questo tempo, e di ogni tempo, ma lo stesso è il senso di umanità (e la prospettiva di umanesimo) che in ogni epoca è traducibile nel riconoscimento in dolori e gioie che sono dell’uomo di ogni epoca e luogo.

Questo itinerario, che apre ad una filosofia e ad un Umanesimo dell’entre, appare anche quale orizzonte di relazioni vive che trova significativa via di ripensamento della modernità economica, precisamente nella prospettiva della ripresa dell’Economia civile che in tempi recenti si sta facendo strada. Ripresa italiana di un percorso ancora sorto in terra italica. In particolare Bruni e Zamagni, qualificano l’Economia Civile come teoria economica che affonda le sue origini in una tradizione di pensiero economico e filosofico che ha la sua radice prossima nell’Umanesimo Civile, e quella più remota nel pensiero di Aristotele, Cicerone, Tommaso d’Aquino. È una tradizione che avrebbe origine al tempo dei lumi e precisamente come lo sviluppo specifico di quell’Illuminismo italiano, per lungo tempo risultato inattuale e che proprio a Napoli con Antonio Genovesi, Gaetano Filangieri, Giacinto Dragonetti ed altri, segna l’inizio di una via alternativa, antica e nuova, alla Political Economy. Si tratta di una via che oggi si pone come estremamente attuale e sentiero già aperto per leggere criticamente gli attuali cambiamenti economici e promuovere una cultura dell’innovazione che abbia come centro la crescita e la realizzazione degli attori dei processi. Ancora per tale via e seguendo altra declinazione, è proprio mettendo al centro il primato delle relazioni, che l’economia può essere ancora e nuovamente luogo di realizzazione e felicità. È quanto rileva Giuseppe Argiolas riferendosi al valore dei valori: la relazione. Argiolas (cfr. G. Argiolas, (2014), Il valore dei valori. La governance nell’impresa socialmente orientata, Città Nuova, Roma) non si concentra sugli attori dell’economia, invitando, piuttosto, a porre attenzione al legame, al valore, sotteso a ogni incontro. In tal modo, egli afferma il primato della relazione in economia e lo pone quale condizione per la reale creazione di nuove forme di economia civile e di impresa sociale.

Quale ruolo possono svolgere lo Stato e l’impresa in relazione al rapporto tra giovani e crisi economica?
Come rileva ancora Polinoti, “Le politiche attuate fin dagli anni ’90, finalizzate a ridurre l’intervento dello Stato, hanno di fatto portato a questo non sorprendente risultato in un clima culturale in cui si rincorreva (rincorre?) l’idea per la quale ci si doveva (deve?) liberare da uno Stato che soffocava i privati cittadini impedendo loro di liberare le energie individuali a cominciare da quelle imprenditoriali”. La crisi entropica che caratterizza la nostra società ha delle conseguenze molto evidenti che vanno dai cambiamenti climatici con i susseguenti disastri ecologici all’acuirsi delle diseguaglianze fino a giungere alla crisi della democrazia ed alla percezione del futuro caratterizzata da insicurezza e paura. Sicuramente un rinnovato ruolo della pubblica amministrazione e dello Stato sono elementi necessari per provare a cambiare questo scenario ma non sono sicuramente sufficienti. Rileva pertanto ancora Polinori: “Sul piano microeconomico l’economia civile rappresenta una prospettiva reale in termini di relazioni tra persone, la regolazione ed i meccanismi di incentivazione e sanzionatori: resistenza e creazione. Rappresenta a tutti gli effetti un approccio microeconomico che si pone al di fuori del contesto ideologico culturale dell’austerity basato sulla semplificazione di modelli economici che sappiamo essere sbagliati, in quanto frutto dell’ideologia e che portano a conclusioni decisamente errate. Usando le parole di Zamagni (2013b): “L’economia civile non contrappone Stato e Mercato o Mercato e Società Civile, cioè non prevede codici differenti di azione ma punta a unirli. Teorizza che anche nella normale attività di impresa vi debba essere spazio per concetti come reciprocità, rispetto della persona, simpatia.” Inoltre, l’impresa non può operare nel mercato come meglio crede, senza rispettare in pieno la dignità dei lavoratori e non basta certamente fare della filantropia oppure concedere in cambio il nido per i figli dei dipendenti. L’esempio è dato dalle imprese che operano nell’ambito della Società Civile Organizzata – cooperative sociali, associazioni di promozione sociale, fondazioni, tutti soggetti economici veri e propri che non sono incaricati di ridistribuire il sovrappiù ma come abbiamo visto sono forme organizzate che possono contribuire a raggiungere la piena occupazione operando su scala locale. Proprio partendo dalle criticità che la crisi ha esacerbato ed amplificato la soluzione a livello microeconomico può essere ricercata nel mettere in campo quegli strumenti atti a ridare un ruolo centrale alle nuove generazioni in un quadro istituzionale e relazionale mutato, in cui l’individualismo è sostituito dalla comunità e dalla prospettiva d’insieme in cui è centrale l’uomo, in cui l’ambiente e le risorse collettive non siano più viste come esternalità ma come beni comuni, in cui il concetto di prodotto si evolva verso quello di benessere.

Crescita e sviluppo devono essere inclusivi e riguardare tutti per garantire una piena e buona occupazione. Questo ovviamente vuol dire cambiare i sentieri da battere”; e per cambiarli occorre, non un semplice cambiamento interno al modello, e nemmeno un sovvertimento radicale dello stesso. Occorre vederlo, ripensando i termini in gioco.

Le sfide sociali e culturali lanciate dal mondo contemporaneo, data l’attuale crisi economica mondiale, spingono ad un ripensamento di modelli consolidati, in un dialogo proficuo tra Filosofia, Economia e Scienze Umane, per giungere ad una verità che è infine fin troppo evidente: il dato con cui fare realmente i conti è questo qui, è un orizzonte già dato e non un artificio speculativo. Così l’Economia è Civile e il mercato è vita in comune; l’economia reale diventa economia civile, ogni qualvolta un’impresa, un’organizzazione, un individuo riescono a vedere oltre l’utilità immediata e con una visione più ampia, facendo il salto delle gratuità ed attribuendo valore generativo ai rapporti fondati sulla reciprocità. Ancora per tale via e seguendo altra declinazione, è proprio mettendo al centro il primato delle relazioni, che l’economia può essere ancora e nuovamente luogo di realizzazione e felicità. Questo è anche il solo messaggio di speranza, vera, che possiamo dare ai giovani: non le illusioni della via moderna di un’economia che perde quello per cui era fatta, in qualche modo attribuire valore alle Relazioni, dare ordine e regolare le stesse, per la realizzazione dei soggetti della relazione stessa.

Qual è la lezione di Adriano Olivetti per il lavoro?
Il contributo di Meattini nel libro recentemente uscito, mette bene in luce aspetti evidenti ma non abbastanza considerati del contributo di Olivetti, proprio nella via che abbiamo tentato di indicare. È innanzitutto centrale ricordare la forte impronta weiliana del pensiero di Olivetti e occorre aggiungere che tale impronta è infine centrata su una “rivalorizzazione” della dimensione del lavoro. In una prospettiva che in questo senso è alternativa anche a quella indicata da Hanna Arendt, Olivetti seguendo Weil considera come opportunamente rileva Meattini “Il lavoro” lo “strumento di manifestazione, di elevazione e di «riscatto» dell’uomo che tuttavia può farsi «tormento dello spirito quando non serve a un nobile scopo». Al fondo dello sguardo critico che entrambe le figure riservano alla spersonalizzazione del lavoro vi è la profonda consapevolezza del suo valore spirituale e materiale, l’impegno verso la riscoperta del suo senso e della sua dignità” (Uliano Conti, Massimiliano Marianelli, Serena Meattini e Paolo Polinori, Ivi, pp-76-77). In tal modo, la componente critica assume immediatamente un orientamento costruttivo, lontano da riduzionismi e dicotomie. Come osserva ancora Emmanuel Gabellieri il lavoro è, come sottolinea Gabellieri, l’esperienza umana fra le più accessibili in cui deve potersi realizzare questo equilibrio fra l’uomo e il mondo». In questo senso il lavoro è, per Weil e Olivetti,, strumento di manifestazione, di elevazione e di «riscatto» dell’uomo che tuttavia può farsi «tormento dello spirito quando non serve a un nobile scopo» . Rileva ancora Meattini, con Gabellieri – autore che ha accolto gli stimoli del pensiero weiliano prolungandone le istanze in direzione di una filosofia dell’entre-deux, del tra – Weil vede l’origine del lavoro in una “legge di mediazione” propria all’esistenza umana. Poiché ogni azione temporale […] comporta una dimensione di lavoro, che ne chiarisce la duplice dimensione, negativa e positiva. In quanto sforzo per superare la separazione tra il bisogno e la sua soddisfazione, il lavoro è in effetti testimone della subordinazione dell’uomo e della necessità […]. Ma, poiché questi riesce a superarlo, facendo esperienza dello spirito dominante la necessità, il lavoro è anche l’esperienza di una libertà e di un potere creatore” (Ivi, p. 77). Non vi è alcuna alternativa pertanto tra lavoro e libertà, come la modernità sembra indicare, al contrario, il lavoro, ogni forma di lavoro, è la via di ogni relazione (via dell’entre) e quindi di ogni possibile speranza di realizzazione personale. Questa in qualche modo forse la lezione più forte di Olivetti che invita infine a quello che mi piace chiamare un “umanesimo dell’entre”.

Massimiliano Marianelli è Professore Ordinario di Storia della Filosofia dell’Università degli studi di Perugia dove ad oggi è Presidente del Presidio della Qualità di Ateneo. I sui studi sono orientati a diversi ambiti d’indagine: si interessa del rapporto Etica ed economia, con particolare attenzione alla prospettiva aperta dall’Economia Civile e prospettive di Umanesimo ad essa connesse; si interessa della definizione di paradigmi di relazionalità nella storia del pensiero, occupandosi principalmente della filosofia francese del ‘900 con particolare attenzione all’opera di Simone Weil; si interessa quindi dell’arte come spazio di riconoscimento dell’umano. Nelle diverse direzioni l’attenzione è ad una ontologia della relazione (o filosofis dell’entre). Tra le sue pubblicazioni: La metafora ritrovata miti e simboli nella filosofia di Simone Weil, Città Nuova, Roma 2004, Unicité de la vérité et universalisme religieux weilien comme lieu de rencontre entre les cultures, in «Cahiers Simone Weil», XXIX, n° 4, décembre 2006, pp. 373-389; Ontologia della relazione. La convenientia in figure e momenti della storia del pensiero, Città Nuova, Roma 2008; Antigone, in Simone Weil (a cura di C. Delsol), Cerf, Paris 2009, pp. 381-397; Tra hasard e necessità: l’ontologia weiliana come ricerca di intermediari, in STUDIUM – ISSN:1722-6910 vol. 3, pp. 341-370; Beuys e Burri: 1980: 1980 – 2020. Beuys e Burri: 1980 – 2020 An era and its horizonof meaning (con Massimo, Donà), Piè di Mosca, Perugia 2021; Il luogo dell’”Entre”: una via per ripensare la modernità in “Entre”. La filosofia oltre il dualismo metafisico, A cura di M. Marianelli, Città Nuova, Roma 2020; (insieme a Uliano Conti, Serena Meattini e Paolo Polinori), Etica per l’impresa. Risorse per la rinascita economica, Carocci, Roma 2021.

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