
Ma, anche ammettendo questo, rimangono numerosissime divergenze perché, pur accordandosi sul dovere di riconoscere un qualche valore agli animali, sopravvivono diverse controversie fondamentali su quanto e quale valore gli animali abbiano. Alcune teorie hanno posizioni ugualitarie, altre posizioni in vario senso non egualitarie. Il modo in cui concepiamo il valore fondamentale da attribuire agli animali determina i doveri che abbiamo e gli eventuali diritti degli animali. Va anche detto che l’inizio del movimento culturale e sociale a cui stiamo assistendo, e che comporta il passaggio a una dieta vegana o la richiesta di porre fine agli esperimenti sugli animali, è iniziato come una campagna per la liberazione degli animali e a tutt’oggi viene spesso confuso con il sostegno ai diritti degli animali. Ma non tutte le posizioni reclamano un riconoscimento di diritti in senso proprio.
Affrontare di petto il tema dell’etica animale da una prospettiva di etica applicata serve a chiarire che valore siamo pronti a riconoscere agli animali e cosa ciò implichi, oltre le posizioni spesso retoriche o incoerenti che affollano la discussione pubblica. Le posizioni che molti hanno sugli animali, infatti, sono il risultato di atteggiamenti emotivi irriflessi o idiosincrasie che sono difficilmente giustificabili, anche se condivisi da altre persone.
Quali sono le principali teorie di etica animale?
Vi sono cinque prospettive principali che raggruppano la gran parte delle teorie. Partendo dalla più radicale, vi è innanzitutto la teoria dei diritti animali. Secondo autori come Tom Regan almeno alcuni animali (in sostanza mammiferi e uccelli) posseggono delle capacità mentali che li qualificano come soggettività indipendenti e complesse. In base a tali caratteristiche tutti gli animali che sono soggetti-di-una-vita hanno un valore uguale e loro proprio (inerente) che li rende portatori di diritti (alla vita, alla libertà e a non soffrire). Ovviamente le persone umane, anche in queste teorie, hanno un insieme più ampio di diritti in base alle ulteriori capacità di cui dispongono; ma tutti i soggetti animali umani e non, dispongono di un pacchetto base di diritti uguali.
La seconda prospettiva, meno radicale, ma importante perché è stata alla base della rivoluzione animalista degli ultimi decenni è quella utilitarista. L’utilitarismo ha sostenuto la rilevanza morale degli animali sin dagli inizi. Già secondo Bentham, gli animali sono moralmente rilevanti perché la capacità di provare esperienze di piacere e dolore, non la razionalità, è per l’utilitarismo il criterio di accesso alla comunità morale. Quindi le esperienze positive o negative degli animali devono essere incluse nel calcolo utilitaristico alla pari di quelle umane. Ovviamente gli animali possono fare esperienze meno complesse e raffinate di quelle umane, ma anche le loro devono essere conteggiate. Di conseguenza, per stabilire quale azione sia quella giusta si deve effettuare un calcolo dell’utilità prodotta che includa anche le possibili utilità (o discutibilità) degli animali toccati da questa azione. Questa prospettiva è sicuramente radicale ma non così egualitaria e radicale come le teorie dei diritti.
La terza famiglia teorica è quella delle teorie relazionali e femministe. A differenza delle due precedenti, secondo queste teorie gli animali hanno valore non tanto in sé in virtù della loro soggettività autonoma (teorie dei diritti), o in quanto contenitori di piacere e dolore (utilitarismo), bensì in quanto esseri che possono entrare in relazione con le persone. Sono infatti le relazioni di compagnia, aiuto, comunanza e cooperazione che determinano la concretezza della nostra vita morale sia tra esseri umani che tra umani e animali. In questa prospettiva l’empatia conta significativamente e il tipo di doveri che abbiamo nei confronti degli animali dipende dal tipo di relazione che abbiamo con loro.
La quarta famiglia è quella ambientalista. La preoccupazione per gli animali va spesso di pari passo con la preoccupazione per la conservazione della natura. Ma il tipo di interesse che l’ambientalismo ha per gli animali è spesso diverso dalle altre prospettive qui menzionate perché si concentra soprattutto sulla natura collettiva degli animali in quanto specie oppure in quanto membri di un ecosistema. In quest’ottica non conta tanto la vita o la sofferenza del singolo animale, dato che nell’ottica naturale è normale essere preda o predatore, quanto la sopravvivenza delle specie e l’equilibrio del sistema biotico.
Infine, bisogna menzionare quelle prospettive teoriche di varia natura che possiamo chiamare umaniste. A differenza delle altre famiglie teoriche si tratta di prospettive solitamente molto più conservatrici che non richiedono grandi cambiamenti nelle nostre pratiche quotidiane. Non sono però prospettive che trascurano la rilevanza morale degli animali, semplicemente ritengono che solo le persone umane abbiano una piena rilevanza morale, mentre gli animali ne hanno una di grado inferiore. In quest’ottica il tipo di doveri che abbiamo nei confronti degli animali riguardano prevalentemente il loro benessere (welfare), non la loro vita o libertà.
È lecito consumare carne?
La liceità del consumo di carne è il grande tema che investe gran parte del movimento animalista e che tocca le vite di tutte le persone. Per sostenere un assoluto e incondizionato bando al consumo di carne si deve abbracciare una prospettiva che riconosce diritti agli animali in senso proprio, ovvero che sostiene che gli animali abbiano un diritto alla vita più o meno come lo riconosciamo agli esseri umani. Come abbiamo accennato nella domanda precedente, questa risposta è portata avanti solo dai teorici dei diritti animali in senso proprio, anche se sta riscuotendo un certo successo di pubblico con la crescita dell’opzione vegana. Secondo altre prospettive, invece, la risposta a questa domanda dovrebbe essere più sfumata. Persino la prospettiva utilitarista, che ha dato origine alla rivoluzione animalista con il libro di Peter Singer Liberazione animale nel 1975, non fornisce una risposta netta e incondizionata. Singer ha sostenuto e continua a sostenere che l’attuale sistema di allevamento per lo più industriale e la possibilità per noi persone di società benestanti di nutrirci in maniera soddisfacente senza ricorrere alla carne depongono a sfavore del consumo di carne poiché non sono giustificabili le sofferenze inflitte agli animali al fine di soddisfare il mero gusto culinario delle persone. Ma cambiando le condizioni (ad esempio con allevamenti di tipo diverso) o usando animali aventi un basso livello di sviluppo mentale, anche la posizione utilitarista non chiuderebbe assolutamente la porta a qualche forma di consumo di carne. Le etiche relazionali mostrano una spaccatura al proprio interno. Una maggioranza di queste tende al vegetarianismo, ma altre sono aperte al riconoscimento dell’onnivorismo coscienzioso, ovvero all’idea che ci possano essere forme di allevamento e consumo che costruiscono delle relazioni genuine tra umani e animali. L’onnivorismo coscienzioso, in generale, sostiene un consumo responsabile e consapevole di carne, nella misura in cui si può trovare carne proveniente da allevamenti rispettosi della natura animale. Anche etiche ambientaliste e umaniste prendono una posizione aperta e condannano soprattutto l’eccesso di consumo di carne e il modo in cui gli animali vengono tipicamente allevati (allevamenti industriali). In quest’ottica di permanenza del disaccordo è forse il caso di perseguire una politica di miglioramento delle condizioni degli animali, tema su cui molte teorie etiche, anche se non tutte, possono convergere.
È moralmente giustificabile la ricerca sugli animali?
È curioso e significativo che la gran parte delle iniziative di boicottaggio, disobbedienza civile o proteste anche illegali da parte degli attivisti radicali si sia maggiormente indirizzata verso l’uso degli animali nella ricerca biomedica piuttosto che verso il consumo alimentare. È noto, infatti, che i numeri degli animali coinvolti nella prima sono, sebbene considerevoli, molto inferiori di quelli coinvolti nel secondo. Ed è ancora apparentemente più incomprensibile questa scelta se si pensa che, secondo l’opinione della gran parte degli scienziati coinvolti, la ricerca sugli animali abbia portato benefici a tutta l’umanità (inclusa quella che al momento si batte per la fine dello sfruttamento animale) in un ambito (la salute) che è sicuramente molto meno controverso di quello dell’alimentazione. In altre parole, mentre ci sono autorevoli posizioni che sostengono la non-necessità del consumo di carne per una vita sana (sebbene sia necessario integrare questa mancanza), il contributo degli esperimenti sugli animali alla medicina è difficilmente controverso. Ci sono, a dire il vero, alcuni che contestano la necessità scientifica degli esperimenti sugli animali sostenendo che al momento sarebbero sostituibili con altri metodi alternativi, ma la gran parte degli scienziati replica che i cosiddetti metodi alternativi (in vitro) sono già utilizzati e non possono sostituire un modello, per quanto imperfetto, in vivo. Sebbene il modello animale sia per certi aspetti ovviamente imperfetto è al momento insostituibile.
Quindi, al momento, sembrano esserci ancora ragioni non controverse (progresso scientifico e difesa della salute) che propendono a favore della liceità della ricerca sugli animali, in misura maggiore delle ragioni per il consumo di carne. La decisione degli animalisti di concentrarsi sull’opposizione alla ricerca biomedica, quindi, pare dipendere più da ragioni strategiche che da ragioni morali tout court. La necessità dell’uso degli animali nei laboratori non è infatti immediatamente comprensibile alla maggioranza della popolazione, a differenza del loro uso alimentare. I doveri di trattamento che abbiamo nei confronti degli animali da laboratorio sono incardinati in regolamenti e pratiche che richiedono la riduzione del loro numero, il rimpiazzamento di animali complessi (come per esempio i mammiferi) con animali meno complessi, e il raffinamento degli esperimenti (ad esempio con l’uso di anestetici se necessario). Queste tre regole hanno garantito un notevole miglioramento delle condizioni degli animali da laboratorio e bisogna incoraggiare un loro più ampio e approfondito utilizzo.
Quale politica per gli animali?
La prima fase dei movimenti animalisti cercava di realizzare l’ideale attraverso il proselitismo e le campagne pubbliche di sensibilizzazione (o boicottaggio). In questo modo l’animalismo ha conseguito risultati significativi e ha convertito molte persone alla causa di una dieta vegetariana/vegana. Ma non tutte le questioni possono essere risolte con un’opera di convincimento o con le scelte alimentari delle persone. Ciò è particolarmente vero nel contesto attuale, in cui la maggioranza delle persone ha interiorizzato l’idea secondo cui gli animali hanno un qualche valore morale, ma permane un profondo disaccordo su tanti aspetti rilevanti. Ad esempio, se tutti siamo d’accordo sul principio che la sofferenza ingiustificata degli animali è moralmente sbagliata, siamo però in disaccordo sul peso della sofferenza animale, ovvero su quanto sia sbagliata rispetto ad altre questioni moralmente rilevanti.
Di fronte a questo disaccordo fondamentale, ci sono due questioni eminentemente politiche. In primo luogo, bisogna chiedersi come il movimento animalista debba perseguire i propri fini in società liberali e democratiche in cui vige il pluralismo del valori (anche il pluralismo dei valori rispetto alla questione animale!). In quest’ottica, sono ammissibili le attività di disobbedienza civile o protesta illegale – quali ad esempio tutte le azioni di “liberazione” di animali da laboratorio? Sono, queste azioni, forme di protesta che contribuiscono al dibattito pubblico o violazioni della legge che causano danni alla collettività?
In secondo luogo, cosa debbono fare le collettività liberali e democratiche che, pur entro una cornice di disaccordo, hanno sviluppato una certa sensibilità verso gli animali al fine di tutelarli in maniera accettabile da tutti? È necessario creare delle istituzioni specifiche o lasciare la tutela esclusivamente ai movimenti animalisti? Potrebbe essere un interesse di tutti scegliere la prima opzione, anche se al momento le campagne sono portate avanti solo dai secondi.
In definitiva, l’etica animale pone anche questioni politiche perché il modo in cui è legittimo trattare gli animali deve essere stabilito con norme condivise da tutti. Non è soltanto una questione di scelta di vita individuale. Ma trovare principi accettabili da tutti è particolarmente difficile stante il profondo disaccordo che caratterizza le nostre società. E tuttavia questa non è una peculiarità soltanto di questo ambito poiché in tante altre aree della nostra vita collettiva – si veda ad esempio la questione religiosa – le società liberali sono riuscite a trovare principi accettabili da tutti che rendano possibile la vita collettiva in condizioni di profondo pluralismo. Trovare questi principi nell’ambito del trattamento animale sarà probabilmente una delle prossime grandi sfide delle nostre società.