
di Michail Bachtin
Einaudi
«Circa cinquanta anni ci separano dalla pubblicazione in Russia di Problemi di letteratura e di estetica (1975) di Bachtin, che raccoglie saggi scritti per la maggior parte tra il 1924 e il 1941, oltre quaranta dalla sua prima edizione italiana intitolata Estetica e romanzo (1979). La parola “romanzo”, che non figura nel titolo russo, è stata opportunamente inserita in quello italiano, poiché il romanzo è il vero protagonista dell’opera.
Il primo saggio del volume Il problema del contenuto, del materiale e della forma nella creazione letteraria, risale al 1924 e sviluppa la riflessione che occupava l’autore negli anni Venti sulla necessità di dare un fondamento estetico filosofico-sistematico agli studi specifici sulle varie arti. Da questo presupposto nasce la critica al metodo formale, accusato di avere un atteggiamento negativo verso l’estetica generale. Si riafferma così la priorità da accordare all’unità della cultura rispetto alle conoscenze settoriali e quindi il ruolo unificante della filosofia; proprio la partecipazione a questa unità garantisce l’autonomia dell’arte. […]
Per Bachtin la poetica «deve essere l’estetica della creazione artistica verbale». L’analisi deve indirizzarsi anzitutto all’oggetto estetico inteso come contenuto dell’attività estetica rivolta all’opera. La forma nella creazione artistica non è un concetto meccanico, ma teleologico. L’estetica materiale, quella cioè che pone in primo piano la materia usata dalle singole arti (la parola, nel caso della letteratura), sembra ignorare che l’organizzazione compositiva del materiale all’interno dell’opera d’arte è finalizzata allo scopo che l’artista si propone di raggiungere. Nella definizione dell’oggetto estetico, come della funzione di isolamento o di separazione della forma (funzione affine a quella dello straniamento dei formalisti), Bachtin si avvale di termini usati da Špet in un suo lavoro del 1923, I problemi dell’estetica contemporanea, confermando così la sua familiarità con il filosofo, visibile anche in altri saggi. Le idee di Bachtin a proposito del romanzo divergono tuttavia radicalmente da quelle di Špet, che lo considera un genere retorico non artistico, addirittura una forma di «propaganda morale».
In questo saggio i problemi di teoria del romanzo sono appena accennati. Il primo intento è di stabilire la differenza tra elemento estetico, etico e conoscitivo, cogliendo la specificità di ciascuno.
«La particolarità fondamentale dell’estetico, quella che lo differenzia nettamente dalla conoscenza e dall’atto, è il suo carattere recettivo, positivamente accogliente: la realtà preesistente all’atto estetico, conosciuta e valutata eticamente, entra nell’opera (più esattamente, nell’oggetto estetico) e qui diventa momento costitutivo necessario. […] L’arte è ricca, non è né arida né specialistica».
I quattro saggi centrali del volume, curato dall’autore stesso, e cioè La parola nel romanzo (1934-35), Le forme del tempo e del cronotopo nel romanzo (1937-38: Osservazioni conclusive, 1973), Dalla preistoria della parola romanzesca (1940), Epos e romanzo (1938, 1941), sono stati elaborati in un numero limitato di anni e risultano tematicamente molto vicini. Agli anni 1936-38 risaliva anche Il romanzo di formazione e il suo significato nella storia del realismo, del quale si è conservato soltanto, in parte, il brogliaccio. Il complesso di questi lavori disegna una teoria del romanzo intrecciata a una storia del genere, poiché «ogni problema teorico può essere risolto soltanto su un concreto materiale storico».
Come ha dimostrato a suo tempo Todorov, molte delle caratteristiche attribuite da Bachtin al romanzo – mescolanza di generi, assenza di un canone, rapporto con i dialoghi socratici – sono quelle dell’estetica romantica, così come le ha esposte Schlegel, senza modifiche significative. Bachtin precisa però che i romantici non hanno tratto conclusioni stilistiche dalle loro penetranti osservazioni sul romanzo. La sua originalità di pensatore emerge nel disegno complessivo della sua teoria, nell’elaborazione di alcuni concetti, come quello di esotopia o extralocalità, peraltro già presente nel lavoro giovanile sull’autore e l’eroe, o quello di cronotopo, nella sua visione della parola nel romanzo, nell’idea innovativa e polimorfa della carnevalizzazione in letteratura.
Negli scritti degli anni Venti era maturata l’idea che una vita trova senso solo se è vista come un tutto, dall’inizio alla fine. Nessuno è in grado di abbracciare la propria vita in questa visione globale, pertanto la vita stessa acquista senso se è vista dall’esterno, da un altro. Nel rapporto tra autore ed eroe che si istituisce all’interno di un’opera letteraria, l’altro è l’autore. Si afferma il principio dell’alterità e dell’esotopia, del collocarsi al di fuori, e l’autore acquista una evidente superiorità rispetto ai suoi personaggi, quella del demiurgo rispetto alle sue creature.
Il problema dell’autore, che occupa uno spazio tanto centrale nella narratologia contemporanea, ha costantemente attirato l’attenzione di Bachtin, che ha proposto soluzioni diverse o perfino contraddittorie. Nella geniale definizione del romanzo polifonico, che ha aperto una prospettiva del tutto nuova nell’analisi dell’opera dostoevskiana, la voce dell’autore è infatti presentata, con argomentazione poco convincente, come una voce tra le altre, pari a quella dei personaggi; quasi che l’autore – per quanto non più onnisciente né prevaricatore – non restasse pur sempre il creatore dei personaggi e delle situazioni in cui risuonano le loro molteplici voci.
I saggi di Estetica e romanzo si collocano, cronologicamente, tra il libro su Dostoevskij e quello su Rabelais e contengono molti riferimenti a questi due autori tanto diversi, accomunati, secondo Bachtin, dalla presenza dell’elemento carnevalesco nella loro opera.
E per Bachtin una delle radici fondamentali del romanzo è precisamente quella carnevalesca. A testimoniare la connessione che tiene in un coerente intreccio i vari lavori del decennio valgono i materiali del libro sul romanzo di formazione, che prevedeva lo studio della preistoria del romanzo europeo, indicando tra i fattori essenziali per la sua nascita la nuova immagine dell’uomo in formazione, il mutamento del quadro spazio-temporale del mondo, la peculiarità della parola nel romanzo. Tutti temi che saranno poi ripresi in Estetica e romanzo. Uno dei saggi inclusi nel volume, quello sulle forme del tempo e sul cronotopo, faceva addirittura parte dei materiali preparatori del libro sul romanzo di formazione.
Per Bachtin spazio e tempo sono forme della realtà, non forme trascendentali. Il cronotopo, che unisce in sé i rapporti temporali e spaziali, è stato artisticamente assunto dalla letteratura come categoria propria, dove «i connotati del tempo si manifestano nello spazio, al quale il tempo dà senso e misura». Nel cronotopo letterario il principio guida è il tempo; così inteso, il cronotopo ha un significato essenziale per la determinazione del genere. Come sempre in Bachtin, le definizioni, per quanto generiche, sono accompagnate da un’enorme messe di esempi concreti che dànno sostanza al concetto di cronotopo e ne suggeriscono le vaste possibilità di impiego.
La tesi della pluridiscorsività e della natura intrinsecamente dialogica della parola romanzesca trova la sua più articolata elaborazione nel saggio sulla parola nel romanzo. La lingua è sempre pluridiscorsiva, in ogni momento storico, perché incarna le contraddizioni ideologico-sociali tra il presente e il passato, tra i vari gruppi sociali. La parola è sempre «altrui» perché conserva le tracce dell’altro, di chi l’ha già usata prima, ed è sempre rivolta a un altro. E così i personaggi del romanzo parlano e gli altri parlano di loro, contribuendo a costituirne l’identità. La parola altrui è dunque una componente ineliminabile della nostra identità.
Le varie «lingue» sono solitamente presenti in diversi generi letterari, oppure si mescolano nei generi non artistici. Nel romanzo, invece, la pluridiscorsività, il plurilinguismo diventano sistema artistico, e l’arte del romanziere si rivela, tra l’altro, nella capacità di utilizzare le stratificazioni della lingua.
Una delle forme più diffuse della parola diretta altrui (artistica, filosofica, religiosa, retorica, ecc.), fin da epoche antiche, è il travestimento, la parodia, che prepara l’irriverenza del romanzo. La parodia introduce il riso, come costante correttivo dei generi alti, e il riso, insieme con il plurilinguismo, rappresenta, secondo Bachtin, un fattore molto importante nella formazione della parola romanzesca. Il riso carnevalesco, rabelaisiano, affonda le sue radici nel folclore e possiede una carica critica inesauribile nei confronti dell’ufficialità, sempre seriosa, se non tetra; il riso non si lascia coinvolgere dalla menzogna ufficiale, trascina con veemenza nel romanzo gli aspetti più bassi o più contraddittori della realtà. Nelle epoche di predominio del romanzo la forza della «romanzità» contagia anche gli altri generi letterari, facendo scricchiolare tutta l’impalcatura delle regole tradizionali.»