
Heidegger sviluppa la sua “analisi fondamentale” in contrasto alla millenaria tradizione della filosofia la cui ontologia, sempre orientata verso ciò che esiste materialmente, tralasciava l’essere dell’Esserci, oppure, quando se ne occupò – in termini di soggetto, spirito, persona – non colse l’obiettivo e soprattutto ne intese la temporalità come sua presenzialità.
L’Esserci esiste essenzialmente nelle due possibilità di autenticità e inautenticità. Heidegger lo dimostra dapprima nelle forme inautentiche della quotidianità e della medietà. La sua struttura fondamentale è “l’essere-nel-mondo” non però nel senso che l’Esserci figuri nel mondo, che anzi “la mondanità” è piuttosto un modo dell’Esserci. Questo infatti esiste “già da sempre” nelle cose (e negli uomini), il modo principale d’essere di queste cose non è quindi la semplice presenza, bensì l’utilizzabilità, ovvero il loro “carattere cosale”. L’in-essere dell’Esserci ha inoltre il carattere dell'”esser-gettato”, esso è “da sempre lasciato” alla pura effettività del suo Esserci e perciò a se stesso. Il fatto che esso si trovi nel mondo ha quindi un significato che supera una presenza meramente spaziale: la sua situazione emotiva risente del relativo umore nel quale si rivela l’effettività del suo essere-nel-mondo. In questo modo gli stati d’animo diventano filosoficamente rilevanti. Cooriginariamente però l’Esserci è un poter-essere che progetta e comprende se stesso rispetto alle sue future possibilità. Questa totalità di significato si articola nel discorso, che diventa così il presente.
I tre modi – l’esser-gettato (passato), il progetto (futuro), e il discorso (presente) – si trovano uniti nella struttura della cura, “l’essere dell’Esserci è la cura”. Innanzitutto, e per lo più, l’Esserci esiste sotto la forma dell’inautenticità. Decomponendosi, esso comprende se stesso e l’essere in generale a partire dall’ente presente, si rivolge, distogliendosi dal “Dass” del suo Esserci, verso le cose presenti nel mondo, si trattiene nell’ambiguità della pura chiacchiera, non pone la questione delle sue possibilità reali e obbedisce in tutto
ciò alla dittatura dell’anonimo “si”.
Con la distinzione tra autenticità e inautenticità, Heidegger non intende sviluppare una critica della cultura anche se il testo lascia supporre tale interpretazione. Il problema di fondo sull’essere dell’Esserci trova tuttavia risposta solo se si riesce a cogliere l’Esserci nella sua totalità. L’Esserci afferra la sua possibilità futura e con questo anticipa sempre se stesso. La possibilità, estrema e insuperabile, è però la morte. L’Esserci nel mondo del presente esiste solo incompletamente: la sua “mancanza” non è però il resto di una somma e non è paragonabile né alla luna crescente né a un frutto che stia maturando.
L’Esserci è piuttosto “essere-per-la-fine”: esistendo, può precorrere questa fine nel “cammino verso la morte”. L’esperienza della morte altrui insegna che la morte può essere anticipata in tal modo solo come personale possibilità. L’esser-gettato dell’Esserci si rivela nello stato d’angoscia corrispondente a questa possibilità che gli uomini cercano di eludere pensando alla morte come a un avvenimento che càpita a ciascuno, ma non immediatamente. Voler assumere liberamente questa possibilità sarebbe tuttavia “esistenzialmente una pretesa fantastica”, se l’Esserci fuori del proprio poter essere non desse qui testimonianza di una “possibile autenticità della propria esistenza” che esso pretende da se stesso, cioè nel richiamo della coscienza con cui l’Esserci ritorna dalla decomposizione nel “si”.
Chi grida è l’Esserci stesso nella sua natura inquietante, “il nudo “Dass” nel nulla del mondo…”, il suo grido “si esprime nel modo poco rassicurante del tacere”, chiama colui che è chiamato “nella segretezza del poter essere esistente”. È in questi rapporti che si fa sentire il nulla, la nullità che è nell’Esserci, “nella struttura dell’esser-gettato come in quella del progetto”. L’Esserci è colpevole originariamente poiché essenzialmente è “l’essere fondamentale” di una nullità di qualcosa, ma nell’assunzione di questo proprio essere-colpevole, nel “voler-avere-coscienza” sta sia la possibilità di diventare effettivamente colpevole, sia quella esistenziale di essere “buono”.
Solo nella decisione anticipatrice dell’autenticità e della totalità, la temporalità dell’Esserci diviene fenomenicamente comprensibile dall’origine: richiamato a se stesso l’esserci si fa presente la situazione in cui agendo afferra il futuro. La temporalità originaria è quindi futuro “presente-passato” e in quanto tale costitutiva di tutti gli elementi raffigurati dell’Esserci autentico come inautentico. Solo perché originariamente temporale, l’Esserci esiste storicamente ed esiste perciò storicamente anche senza una coscienza storica espressa. Anche il concetto di tempo volgare, come quello delle moderne scienze naturali, possono essere correttamente compresi solo come degenerazione di quella temporalità originaria.
Nella parte finale dell’opera, Heidegger pone la questione della via che da quel tempo originario porta al senso dell’essere, la questione del tempo come orizzonte dell’essere. Nonostante la difficoltà del linguaggio l’opera ha provocato effetti profondi sulla vita spirituale europea ed è quindi stata al centro di ampie polemiche politico-ideologiche.»