“Ermocrate. Siceliota, stratego, esule” di Maria Intrieri

Prof.ssa Maria Intrieri, Lei è autrice del libro Ermocrate. Siceliota, stratego, esule edito da ETS: quale importanza riveste, per la storia siceliota, il figlio di Ermone?
Ermocrate. Siceliota, stratego, esule, Maria IntrieriQuella di Ermocrate è, senza dubbio, una figura centrale nella Siracusa della seconda metà del V sec. a.C. Colto e influente, Ermocrate ci appare infatti non solo come uno dei protagonisti più importanti della storia siceliota ma anche, per l’ampiezza e la novità di alcune sue visioni, come un personaggio cardine in un’epoca di passaggio.

Egli si caratterizza, infatti, nella sua azione, per la costante tensione all’affermazione di un ruolo politico più ampio per Siracusa per la quale parrebbe aver sognato non solo una posizione egemonica in Sicilia, forse non dissimile da quella rivestita nella Grecia metropolitana da città come Atene o Sparta, ma anche una presenza maggiormente significativa nello scenario politico ellenico.

È in questa tensione, ravvisabile tra l’altro nell’irriducibile fermezza mostrata nelle due guerre combattute contro Atene (427-424 e 415-413 a.C.), che trovano spiegazione non solo la spinta impressa alla partecipazione di Siracusa al fianco di Sparta alla fase finale della Guerra del Peloponneso, ma anche le operazioni condotte nella cuspide occidentale della Sicilia, drammaticamente segnata dalla violenza cartaginese, al suo ritorno da esule nell’isola nel 408 a.C.

L’importanza e, in fondo, la ricchezza della sua personalità, emerge anche dalla varietà dei giudizi di cui è stato fatto segno, sia in antico che in età moderna. In Ermocrate si sono infatti ravvisati alternativamente i tratti dell’aristocratico conservatore moderato, del patriota votato alla difesa della propria patria, ma anche quelli del leader dell’oligarchia più estremista, fino alla definizione di “demagogo e tiranno mancato” che ampia fortuna ha avuto in anni recenti.

È stata proprio questa varietà, dettata dalla lente più o meno deformante, in senso positivo o negativo, con la quale si è guardato alla sua figura sin dall’antichità, che mi ha spinto a studiarne la vicenda allo scopo di contribuire a rivelarne il vero volto, difficilmente inquadrabile, a mio parere, in una definizione univoca capace di restituirne appieno la ricchezza della personalità quanto l’evoluzione del percorso umano e politico.

Qual era il contesto siracusano dell’epoca e con quali risvolti in politica estera?
La Siracusa che fa da sfondo alla vicenda di Ermocrate, come emerge dalla rappresentazione offertane dallo storico ateniese Tucidide, è una città retta da un regime democratico moderato, ma non priva al suo interno di tensioni e spinte diverse, eredità di quel lungo processo di riorganizzazione e stabilizzazione seguito all’abbattimento nel 466 a.C. della tirannide dei Dinomenidi.

Stravolta dagli esili e dalle ripetute immissioni nel suo corpo civico di mercenari e cittadini provenienti da poleis distrutte o pesantemente stravolte dalla politica egemonica dinomenide, Siracusa, al pari di altre città siceliote, aveva dovuto infatti superare una serie di conflitti interni ed esterni prima di ritrovare un proprio equilibrio non solo fra ‘antichi’ e ‘nuovi’ cittadini ma anche fra le sue classi sociali.

Si tratta di un percorso di cui è possibile riconoscere le tracce anche nelle scelte operate in politica estera segnate dall’oscillazione fra la rinuncia, nella fase immediatamente successiva alla caduta della tirannide, a una politica aggressiva nei confronti dei centri vicini (città calcidesi e comunità dei Siculi) e la successiva ripresa, invece, in grande stile di una politica di taglio egemonico dopo il definitivo fallimento del tentativo di costituzione da parte del siculo Ducezio di una sorta di stato siculo autonomo nel cuore dell’isola (440 a.C.). Significative a tale riguardo risultano anche le operazioni navali condotte dagli strateghi siracusani nel Tirreno di cui si ha notizia per gli anni 453-451 a.C., sintomo di una chiara ripresa della precedente politica commerciale dinomenide, senz’altro sollecitata dai ceti mercantili cittadini ma evidentemente condivisa, per le sue ricadute positive, anche dalle classi popolari.

È in questa Siracusa, che aveva ritrovato progressivamente e non senza difficoltà la propria unità interna e si era riaffacciata con rinnovato vigore sulla scena politica siciliana, che va inquadrato l’apprendistato militare di Ermocrate e il suo progressivo affermarsi sulla scena politica.

Quali vicende segnarono le spedizioni ateniesi in Sicilia e quale ruolo ebbe Ermocrate?
È difficile riassumere in poche righe gli eventi che hanno segnato le due spedizioni condotte dagli Ateniesi in Sicilia. Mi limiterò, dunque, a fornire alcuni elementi di valutazione sul contributo offerto in entrambi i conflitti da Ermocrate.

Per quanto riguarda la prima spedizione (427-424 a.C.), condotta a sostegno di una coalizione composta dalle poleis calcidesi, dalla dorica Camarina e da alcune comunità dei Siculi, poco avremmo saputo del suo ruolo se Tucidide non ne avesse esaltato la figura in riferimento al congresso dei delegati delle città siceliote che a Gela, nell’estate del 424, aveva posto fine alla guerra.

Lo storico ateniese, che non nasconde le diversità di opinioni fra i convenuti a Gela, esaurisce infatti la narrazione del congresso nel solo discorso del figlio di Ermone, talmente persuasivo, a suo parere, da convincere i Sicelioti a porre fine alla guerra sulla base dello status quo ante.

Al leader siracusano, che compare storiograficamente sulla scena per la prima volta in questo frangente, Tucidide attribuisce infatti la capacità di aver saputo cogliere e trasformare in materia per un accordo i timori e la stanchezza ormai serpeggianti all’interno dei due schieramenti, sfibrati da una guerra che sembrava ormai condursi stancamente da entrambi gli schieramenti.

Nel suo lungo discorso, che ha giustamente attirato l’attenzione degli studiosi, Ermocrate si segnala in particolare per l’invito rivolto ai convenuti, significativamente apostrofati col collettivo ‘Sicelioti’, a spostare esplicitamente la propria attenzione dagli interessi specifici delle singole città a quello dell’isola nel suo complesso presentata quale vero obiettivo delle mire egemoniche della polis attica. L’urgenza di doversi opporre a un nemico etnicamente affine a una delle parti, ma potenzialmente pericoloso per tutti, perché interessato all’acquisizione delle ricchezze dell’intera Sicilia, a parere del Siracusano, avrebbe dovuto portare al superamento degli schieramenti dettati dall’appartenenza etnica a vantaggio di una solidarietà generata dalla condivisione di una terra cui l’insularità conferiva una peculiare unità. Se le leggi della natura avrebbero potuto giustificare le ambizioni degli Ateniesi, esse richiedevano con altrettanta cogenza l’adozione di misure opportune da parte delle vittime dell’attacco. Nel caso specifico, non si trattava di proseguire con maggiore impegno la guerra, ma di superare le divergenze col raggiungimento di un’intesa di pace. Intervenuti in Sicilia su richiesta di una delle parti in lotta, gli Ateniesi sarebbero stati così costretti ad abbandonare il campo a mani vuote.

Significativamente, nelle parole dell’Ermocrate tucidideo, l’insularità, motivo tradizionale di debolezza di fronte all’imperialismo ateniese, si trasforma in un punto di forza, nella sua capacità generativa, pur solo a livello politico e propagandistico, di una ulteriore connotazione identitaria affiancabile alle altre identità costitutive dei Greci d’Occidente.

La critica si è giustamente interrogata sia sulla corrispondenza della ricostruzione tucididea ai temi effettivi toccati a suo tempo da Ermocrate, sia sulla natura e sincerità del suo appello all’unità dei Sicelioti. Nonostante non se ne possa negare nella situazione specifica la strumentalità, la visione di una Sicilia unita contro qualsiasi ingerenza esterna, pur declinata in forme diverse, rappresenta uno dei temi dominanti degli interventi e dell’intera azione politica del Siracusano. Essa ricompare infatti, pur progressivamente ancorata in forma sempre più esplicita al ruolo di città guida che Siracusa avrebbe dovuto a suo parere svolgere in Sicilia, anche nei nuovi interventi attribuiti, sempre in Tucidide, a Ermocrate nel corso della narrazione del secondo, epocale, scontro fra Siracusa e Atene conclusosi nel 413 con la cocente e drammatica sconfitta della città attica.

Fra i più decisi sostenitori, sin dalle prime avvisaglie del nuovo conflitto, di un’azione diplomatica volta a radunare attorno a Siracusa la solidarietà del maggior numero delle città siceliote, ma anche dei Siculi, fino alle comunità greche d’Italia, alla madrepatria Corinto e, non ultima a Sparta, Ermocrate si segnala, allo stesso tempo, per la sua attenzione alla riorganizzazione dell’esercito e delle strutture civiche di comando con la proposta di una riduzione del numero degli strateghi.

Investito con altri due colleghi della strategia autocratica, egli non era tuttavia riuscito a imprimere alla guerra la svolta desiderata ed era stato ben presto costretto a lasciare il proprio ruolo. Nonostante la critica moderna non abbia mancato di rilevare nella proposta di riduzione del numero degli strateghi e nell’assunzione della strategia autocratica un possibile primo passo verso un radicale stravolgimento in senso oligarchico della costituzione vigente, il pieno rispetto della dialettica democratica mostrato da Ermocrate, almeno sul piano formale, sia nell’accesso alla strategia sia al momento della sua deposizione, se può essere inteso come un segno della duttilità dell’uomo politico, la dice lunga sui suoi progetti quanto sulla stabile natura democratica della costituzione siracusana. Il suo comportamento risulta, infatti, ben diverso da quello che anni dopo, in circostanze analoghe, avrebbe portato il giovane Dionisio all’instaurazione della tirannide: un’evoluzione e un personaggio che, per i suoi legami concreti e ideali con Ermocrate, ha rappresentato per la critica un inevitabile oggetto di confronto nei suoi giudizi sulle azioni e sui progetti stessi del figlio di Ermone.

Privo di qualsiasi comando, Ermocrate non scompare tuttavia dalla scena. Le fonti antiche ne lasciano trasparire infatti il sostegno offerto allo spartano Gilippo, giunto a Siracusa con pochi ma decisivi aiuti quando la città stava ormai per cedere agli Ateniesi. È a quest’ultimo che Tucidide riconosce sostanzialmente il merito del capovolgimento delle sorti della guerra e, al netto degli errori commessi dagli Ateniesi, della stessa vittoria finale. Se a trasparire dalle pagine dello storico attico è, infatti, senz’altro l’attribuzione a Ermocrate della chiara comprensione del pericolo costituito dall’imperialismo ateniese per la sua patria e per l’intera Sicilia e la costante sottolineatura della determinazione con cui egli aveva perseguito la piena disfatta delle forze attiche in Sicilia, non è a lui che va l’attribuzione del merito della vittoria negli scontri campali e nella decisiva battaglia navale combattuta nelle acque del Porto Grande.

Come si articolò la missione nell’Egeo?
Nel corso della spedizione, fortemente voluta e guidata da Ermocrate, i Siracusani si distinguono all’interno della coalizione peloponnesiaca non solo per la loro maggiore perizia navale nelle operazioni di guerra ma, col proprio stratego, anche per una posizione di maggiore fermezza e autonomia nelle controverse relazioni intrattenute con l’alleato persiano.

È il solo Ermocrate, infatti, al quale può essere attribuito un ruolo non secondario all’interno del consiglio degli strateghi rappresentativi delle diverse componenti della flotta peloponnesiaca, ad opporsi a viso aperto al satrapo Tissaferne intenzionato, venendo meno agli accordi assunti con Sparta, a diminuire il sostegno economico alla flotta alleata. Così come sono ancora i Siracusani a distinguersi per il sostegno offerto ai Milesi con l’aperta approvazione dell’attacco mosso da questi contro la guarnigione persiana insediata nella loro città; sostegno confermato dalla presenza dello stesso Ermocrate nella delegazione inviata da Mileto a Sparta per denunciare la condotta del satrapo.

La missione di Ermocrate a Sparta doveva tuttavia rispondere anche all’esigenza, fortemente avvertita dallo stratego, di spingere la città guida della coalizione a un maggiore attivismo nella conduzione della guerra contro gli Ateniesi. Non è improbabile che anche alle sue pressioni possa essere collegata la decisione di Sparta di spostare l’asse della guerra dalla Ionia all’Ellesponto, dall’area sottoposta al controllo di Tissaferne a quella affidata al satrapo Farnabazo meglio disposto a sostenere le forze peloponnesiache.

Ed è proprio nel corso delle operazioni condotte nell’area degli stretti che la flotta siracusana viene raggiunta dalla notizia della condanna all’esilio, e dunque della deposizione dal comando, di Ermocrate e dei suoiccolleghi nella strategia da parte del popolo siracusano. Il protrarsi delle operazioni nell’Egeo e, in particolare, una grave sconfitta subita dalla flotta peloponnesiaca a Cizico dovevano aver fornito all’assemblea siracusana lo spunto per questa drastica scelta le cui motivazioni di fondo vanno tuttavia cercate nel precedente mutamento in senso radicale della democrazia siracusana con l’accesso al potere della fazione più avversa a Ermocrate e alle posizioni da questi rappresentate.

Anche in questo caso, tuttavia, come era avvenuto in Siracusa dopo la deposizione da stratego autocratore, Ermocrate non reagisce con un atto di ribellione, ma dopo aver invitato la flotta a rispettare le decisioni dell’assemblea siracusana, ne aveva lasciato il comando ai nuovi strateghi inviati a sostituirlo per prepararsi successivamente, col sostegno del satrapo Farnabazo, al rientro in Sicilia.

Qual è stata l’eredità di Ermocrate e quale immagine postuma ne è stata tramandata?
Più che per altre personalità meglio conosciute, lungi dall’essere scalfita dalle accuse di aspirazioni tiranniche che affiorano fra le pieghe della tradizione, in particolare nel racconto dedicato da Diodoro Siculo al suo ritorno in Sicilia e agli ultimi mesi della sua vita, la memoria di Ermocrate è fatta oggetto di rivendicazione nella pratica politica e di riletture e rielaborazioni sul piano storiografico. Alla rivendicazione della sua eredità da parte del giovane Dionisio, affrettatosi a sposarne la figlia immediatamente dopo l’assunzione della tirannide, si affiancano, infatti, in progresso di tempo, le riletture storiografiche della sua vicenda, che ne hanno riconsegnato amplificata la figura all’immaginario collettivo aprendo così la strada al fissarsi stesso del suo nome nella leggenda.

In merito al rapporto con Dionisio, noto dalla tradizione come uno dei suoi giovani supporters ferito nel corso dell’ultimo, fatale tentativo di rientro in Siracusa, va precisato che fra le due figure vi è nella tradizione antica, una sorta di osmosi che rende in parte difficile discernere quanto della visione politica di Ermocrate fosse stato realmente fatto proprio da Dionisio nel suo percorso di ascesa alla tirannide e quanto invece possa aver inciso nelle letture “tiranniche” più tarde della vicenda del figlio di Ermone proprio l’ombra lunga dell’ingombrante personalità del tiranno siracusano.

Che Ermocrate abbia sempre aspirato a partecipare alla gestione del potere, e non certo in un ruolo di secondo piano, è un dato incontrovertibile; che tutto il suo percorso fosse stato segnato dalla ricerca dell’affermazione di un potere personale risulta, a mio parere, ancora oggetto di discussione. Non credo, infatti, che l’immediata adesione mostrata in più di una circostanza al rispetto della legalità possa essere intesa esclusivamente come un fatto strumentale o un modo per contrastare le accuse di volta in volta rivoltegli. Essa appare piuttosto come un tratto costitutivo della sua visione politica cui sembra venir meno solo, e apparentemente come estrema ratio, nell’ultimo fatale tentativo di rientro in Siracusa. E ciò appare ancor più probabile in considerazione delle grandi capacità di penetrazione psicologica mostrate in più di una circostanza che ne allontanano la figura da quella dei demagoghi di professione e dallo stesso Dionisio che appare ben più determinato al raggiungimento a ogni costo del potere.

Per quanto riguarda l’immagine postuma, quella che ha trovato più ampio spazio nella formazione della sua leggenda e anche nelle riletture dei moderni è senz’altro quella di “vincitore degli Ateniesi”: una definizione che compare in realtà per la prima volta in un romanzo di età imperiale romana e risente con buona probabilità della lettura di Ermocrate come indiscusso protagonista della vittoria sugli Ateniesi già presente nell’opera storica di Timeo di Tauromenio (III sec. a.C.). Estremamente significativo risulta, in tal senso, un frammento dell’opera dello stesso Timeo conservato nella Vita di Nicia di Plutarco in cui lo storico individuava nel legame fra i nomi dello stratego, del proprio padre e quello del dio Hermes, non solo un riferimento alla discendenza della famiglia dalla divinità ma, in connessione con la mutilazione delle Erme che aveva preceduto la partenza da Atene dell’armata attica, una chiara prefigurazione del ruolo che il Siracusano, vero e proprio esecutore di un piano divino, sarebbe stato chiamato a rivestire nella sconfitta della polis attica.

Per concludere credo si possa affermare che al di là delle tarde riletture ‘eroiche’ e delle precedenti o moderne interpretazioni ‘aristocratica’ o ‘tirannica’ del personaggio, l’importanza di Ermocrate possa a buon diritto riconosciuta nel suo chiaro posizionarsi fra i precursori sicelioti di quella politica capace di spingere il proprio sguardo oltre il microcosmo delle poleis che avrebbe rappresentato una delle cifre distintive dell’ellenismo greco.

Maria Intrieri è professore associato di Storia greca presso l’Università della Calabria

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