
Tebe, innanzitutto, era una città notoriamente poco amata dagli Ateniesi e non è un caso che ancora oggi si dia con facilità del “beota” (tecnicamente ‘abitante della Beozia, la regione di Tebe) a una persona di grossolana ignoranza, perché il nostro immaginario è stato fortemente condizionato da quello che gli Ateniesi pensavano degli altri Greci in età classica. Il fatto poi che in un momento epocale come le guerre persiane i Tebani avessero scelto di appoggiare i Persiani non giovò certo alla loro reputazione tra gli altri Greci. Erodoto racconta di come un manipolo di Tebani, alle Termopili, avesse alzato le mani in segno di resa davanti a Serse e fosse sgattaiolato via da Leonida, che li aveva costretti a partecipare alla difesa del passo. Lo stesso Serse, quasi indispettito da cotanto servilismo, avrebbe poi tatuato, come si faceva con gli schiavi, questi uomini di lealtà quantomeno discutibile. Questa testimonianza fu naturalmente messa in discussione nell’antichità da un altro Beota di eccezione come Plutarco, nato a Cheronea, ma occorre pensare che, quando si fosse chiesto a un Ateniese medio della fine del V secolo a.C. cosa pensasse di Tebe, il comportamento durante le guerre persiane avrebbe ancora condizionato la risposta. Oltre, naturalmente, a una ferita ancora aperta e di stringente attualità: Tebe si era alleata con Sparta, nel corso della guerra del Peloponneso scoppiata nel 431 a.C.
Veniamo dunque al secondo punto, che riguarda come guardassero a Tebe e ai Beoti gli altri Greci non di Atene e cosa fosse successo davvero a Tebe, tra la metà del V secolo a l’inizio del secolo successivo. In Beozia si sviluppò con gradualità, a partire dal 447 a.C., un sistema federale molto complesso, che finì con l’includere undici distretti di popolazione grosso modo uguale e che erano tenuti a contribuire in egual modo alla vita politica e militare della federazione, detta koinon (lett. “la cosa comune”). La federazione era nata dopo un’importante vittoria militare a Coronea contro gli Ateniesi, che per circa dieci anni avevano collocato guarnigioni militari in Beozia. Può sorprendere che, nel 431, presto Tebe e i Beoti si siano alleati con Sparta contro Atene? La particolarità di questa federazione, tuttavia, consisteva nel fatto che in questa piccola regione coesistevano interessi diversi, in base alla posizione delle singole città.
Tebe, in particolare, non aveva mai digerito l’alleanza stretta dai Plateesi con gli Ateniesi alla fine del VI secolo a.C. (e infatti la guerra del Peloponneso scoppia proprio con un colpo di mano tebano a Platea); Orcomeno, all’estremità nord-occidentale della Beozia, aveva invece sempre goduto di una ampia autonomia in Grecia centrale e, se è vero che furono probabilmente gli Orcomenii a rivestire un ruolo propulsore iniziale alla nascita della federazione beotica classica, la collaborazione con Tebe non fu mai delle migliori.
Si capisce quindi perché, alla fine della guerra del Peloponneso, fosse legittimo aspettarsi almeno la coesistenza di più linee di politica estera, nella federazione beotica. Se Senofonte ci dice che Tebe avrebbe voluto radere al suolo Atene, Lisia ci dice anche che i Tebani avevano accolto dei profughi ateniesi democratici, dopo l’avvento di un regime oligarchico ad Atene. Sarebbe quindi improprio parlare di un atteggiamento costante di Tebe e dei Beoti davanti alle due rivali storiche e questo vale in particolar modo per quanto avvenne nella seconda metà degli anni Ottanta del IV secolo. Nel 386 si chiude un lungo conflitto scoppiato in Grecia, che aveva visto coinvolti i Persiani, già alleati di Sparta nell’ultima fase della guerra del Peloponneso. Stavolta è il Gran Re a dettare le condizioni di pace ai Greci, imponendo lo scioglimento, tra le altre cose, di ogni lega federale. Per Tebe, questo significa perdere la posizione di dominio all’interno del koinon che si era conquistata negli ultimi anni.
Non è tutto: quattro anni dopo, uno Spartano, Leonziade, riesce con un colpo di stato a occupare la cittadella alta di Tebe, la Cadmea. Per Tebe, è l’inizio di tre anni di occupazione alla fine dei quali la liberazione dalla presenza straniera vedrà tra i protagonisti una delle figure epocali dei prossimi anni, Pelopida. Ancora una volta, se nei primi anni il riavvicinamento ad Atene vedrà anche l’ingresso di Tebe in un nuovo organismo voluto da Atene in questi anni, la Seconda Lega Navale, per Tebe conteranno altri fattori in politica estera, come la sicurezza dei propri confini e la rinascita di quel koinon smantellato negli anni Ottanta e ora riorganizzato da Tebe con un impianto decisamente più incentrato sulla sola Tebe.
Quali vicende segnarono la sua carriera politica?
La novità del mio approccio risiede nell’enfasi sul ruolo di Epaminonda come politico, piuttosto che sui ben noti meriti militari, ricordati per esempio anche da Petrarca in un passo dei Trionfi dove Epaminonda è considerato il simbolo di un’epoca, per Tebe, per avere sconfitto gli Spartani a Leuttra nel 371. Se dovessimo sintetizzare la carriera politica di Epaminonda, si potrebbe dire che fu un uomo costantemente sotto il fuoco dell’opposizione in patria, anche se nella politica interna ebbe senz’altro più acume che in quella estera.
C’è un prima e un dopo nella sua vita e l’argine è costituito naturalmente dalla battaglia di Leuttra e dal suo antefatto, un congresso tenutosi a Sparta nell’estate del 371. Il motivo di questa cesura sta nelle fonti, così abbondanti e ricche di aneddoti per l’Epaminonda degli ultimi nove anni della sua vita e così invece parche su quello che fu il ruolo di Epaminonda a Tebe prima del 371. Dallo studio della storia della città negli anni Settanta e di tutte le fonti su Epaminonda sono giunto alla conclusione che Epaminonda seppe sfruttare eccellentemente quel congresso, di cui dirò tra poco, perché in precedenza non si era distinto per alcuna azione. C’è chi parla di una sua partecipazione a una missione tebana a fianco di Sparta contro Mantinea nel 385, ma la notizia non può essere accolta. Quando Tebe è liberata dagli Spartani nel 379, Epaminonda è già in città, ma, checché ne dica Plutarco, non compie alcuna azione degna di questo nome. Alle prime elezioni dei beotarchi, ossia della massima carica dapprima cittadina e poi regionale della rinata federazione, Epaminonda non è eletto. Per tutti gli anni Settanta, resta a guardare come altri grandi protagonisti, soprattutto Pelopida e Gorgida, sostengono Tebe in questo rinascimento politico.
Nell’estate del 371, su sollecitazione di Atene, le principali potenze greche si trovano quindi a Sparta. Tebe ha ripreso quasi tutto il controllo della Beozia, Atene gestisce ormai da qualche anno una nuova Lega navale: è Sparta a essere interessata maggiormente a una pace e al rispetto dell’autonomia, che significa propriamente il rispetto delle proprie leggi, e quindi la salvaguardia da malgradite annessioni a leghe e federazioni. Le trattative procedono a rilento ed è qui che le fonti ricordano un diverbio tra uno dei due re spartani di questo momento, Agesilao, ed Epaminonda. Epaminonda avrebbe giustamente controbattuto alle preoccupazioni spartane sul tema dell’autonomia che questo stesso principio appariva adesso violato nello stesso Peloponneso di Sparta, dove l’antica lega diretta da Sparta non lasciava esattamente spazio di manovra ai propri componenti.
Di qui, la crisi che porta alla battaglia di Leuttra e il segno di un’attenzione molto forte, da parte di Epaminonda, alla causa delle popolazioni vicine alla Laconia, la sottoregione del Peloponneso controllata da Sparta. Epaminonda scenderà quattro volte nel Peloponneso e soprattutto lo smacco subito nella terza spedizione merita di essere segnalato, a proposito di quella debolezza in politica estera di cui dicevo. Intorno al 366, Epaminonda scende perché richiamato dagli Achei e sembra che la campagna abbia successo, sicché si fida quando gli viene detto sul posto di lasciare governi aristocratici. Alla ripartenza, tuttavia, questo assetto politico crolla ed Epaminonda è duramente accusato a Tebe di avere messo allo sbaraglio la reputazione della città. Di lì a poco, l’avvio di una campagna navale sposterà l’attenzione di tutti su altre acque e attori politici e ci si può chiedere se questa non sia stata un’acuta manovra per riguadagnare reputazione.
Ma dicevo di una dura opposizione interna che già in passato si era manifestata, per esempio quando, al ritorno dalla prima discesa vittoriosa nel Peloponneso, Epaminonda andò sotto processo perché era rimasto oltre il tempo previsto per il ritorno. Epaminonda subì insomma sempre critiche con effetti non da poco sulla propria carriera e mi sono chiesto se la notizia su un suo incarico come commissario delle acque reflue non fosse da considerare una sorta di degradazione temporanea.
Nel complesso, però, prevalsero i successi in patria. Nessun successore di Epaminonda seppe ereditare questo costante sguardo alle vicende regionali e a quelle internazionali. Epaminonda ottenne meno beotarchie del famoso collega Pelopida, ma si può dire che seppe sfruttarle meglio. Per ricordare un aspetto che è profondamente legato alla politica interna, col bottino di Leuttra i Tebani provvidero a concludere un thesauros, cioè un edificio di rappresentanza, a Delfi. Questo imponente edificio era la conferma di un’attenzione alla sfera religiosa che l’Epaminonda politico ebbe sempre: prima di Leuttra, orchestrò prodigi appositamente per spaventare i soldati e convincerli all’azione. Tutto nel nome di Zeus, ma ancora di più nel nome di un’accorta sagacia.
Quali importanti innovazioni tattiche introdusse Epaminonda?
Anche se i Greci amavano davvero tanto interrogarsi sul concetto del primo inventore di un’arte o di un oggetto, la verità è che, allora come oggi, conta più sapere sfruttare le idee geniali che maturarle per la prima volta. Gli anni di Epaminonda sono anni dei successi di due importanti innovazioni tattiche: da un lato è il cosiddetto Battaglione sacro, un corpo di élite di 300 uomini; dall’altro, con la falange obliqua, le due ali principali dello schieramento prendevano una direzione micidiale per l’esercito avversario. Almeno il secondo aspetto è sempre associato a Epaminonda ancora oggi, mentre sono rare le fonti che negano l’associazione del Battaglione a una figura precedente, Gorgida. La soluzione è in realtà ancora più semplice e consiste nel fatto che Epaminonda non fu un innovatore nel senso stretto della parola, ma seppe sfruttare queste formidabili novità a vantaggio dei propri obiettivi.
Si può del resto osservare che il problema principale, per Tebe, era gestire un esercito federale che però non doveva rappresentare in modo equilibrato tutte le componenti della regione. Che significa questo? È utile un confronto: nelle Elleniche di Ossirinco, una fonte che parla della situazione in Beozia all’inizio del IV secolo (prima cioè dello smantellamento della lega), si dice che ogni sottodistretto contribuiva in maniera proporzionale anche alla composizione dell’esercito. La situazione che Epaminonda si trovò a gestire era profondamente mutata: non solo non è detto che già fossero stati ripristinati questi distretti, ma si trattava ormai anche di città che erano state riavvicinate alla federazione strappandole a un’autonomia che nel frattempo doveva essere divenuta loro cara.
Ecco quindi che, dei 6000 Beoti che le fonti ci riportano a Leuttra, la maggior parte deve essere stata composta da Tebani. Un po’ sarà stato casuale, un po’ Epaminonda aveva un’oggettiva preponderanza di Tebani da gestire. Li collocò quindi a sinistra, l’ala che tradizionalmente era considerata meno importante, e fu invece proprio il loro slancio, in questa manovra da falange obliqua già attuata in passato ma ora particolarmente necessaria, ad assicurare la vittoria a Tebe.
A dare manforte a questa falange obliqua fu in questa occasione anche il Battaglione sacro, di cui parlo anche nel libro. A Leuttra esso era guidato da Pelopida. Si trattava di un battaglione speciale, di formazione recente: è possibile che a costituirlo fossero coppie omosessuali, anche se su questo punto non c’è certezza e bisognerà attendere ancora studi futuri su un’imponente sepoltura pubblica, a Cheronea in Beozia, che alcuni considerano legata a questo battaglione. Esso sarà infatti sconfitto da Alessandro Magno proprio a Cheronea nel 338 a.C. e non rinascerà più nell’antichità, mentre formazioni omonime sono risorte in Grecia nei due secoli scorsi.
Per concludere, mi sembra importante rendere merito anche a un aspetto dell’Epaminonda generale che non è una vera innovazione tattica, ma contò davvero tanto nella sua carriera. Epaminonda sapeva ascoltare le truppe e influire sul loro umore, come dicevo a proposito dei presagi orchestrati prima di Leuttra. La morte di Epaminonda a Mantinea, nel 362 a.C., comportò l’improvvisa interruzione di una battaglia che si stava rivelando nei fatti una vittoria sul campo per Tebe. Per i soldati, prima ancora che per i cittadini, la morte di Epaminonda fu un colpo difficile da superare.
Quale politica condusse, Epaminonda, nei confronti delle altri póleis greche?
Ancora oggi parliamo quasi indiscriminatamente di Epaminonda e dell’egemonia tebana, a proposito degli anni che vanno dalla sua vittoria a Leuttra (371) alla morte a Mantinea (362). Sottinteso è un successo globale che avrebbe portato Tebe ad acquisire un dominio territoriale, oltre che militare, almeno se per ‘egemonia’ intendiamo quanto seppero conseguire, in forme e tempi diverse, le città di Atene, Sparta e il regno macedone degli Argeadi.
In verità, proprio grazie a Epaminonda la politica internazionale di Tebe giocò su tre livelli diversi da una vera egemonia, che mi piace distinguere per chiarezza: la Beozia, la Grecia continentale, il vero scenario internazionale. In Beozia, Epaminonda cerca di non infierire contro le altre città non troppo entusiaste di entrare nella lega, come si era fatto prima alla sua discesa in politica. Su questo la sua linea si rivela vincente e anche nell’unico episodio di ribellione che conosciamo, un tentativo di colpo di stato orchestrato da Orcomeno, la clemenza di Epaminonda è la risposta che prevale.
In Grecia continentale, Tebe si afferma attraverso un complesso sistema di alleanze militari, che è ragionevole ricondurre alla volontà di Epaminonda e del collega Pelopida. Entrambi optano per un insieme di accordi che si rivelano proficui sul fronte militare, perché assicurano a Tebe sostegno costante e sicurezza contro voltafaccia voluti da altre città. Pelopida si concentrò sul nord, salendo in Tessaglia e riuscendo anche a riottenere per qualche tempo il favore del tiranno dei Tessali, anche se mal gliene incolse, perché questi accordi portarono comunque a una battaglia, a Cinoscefale, dove Pelopida morì. Epaminonda è invece, tra i due, l’uomo del sud. Ascolta gli appelli all’autonomia dei Messeni e degli Arcadi, due popolazioni rispettivamente a ovest e a nord della Laconia di Sparta, nel Peloponneso. Grazie anche agli interventi di Epaminonda, il Peloponneso ottiene una nuova geografia politica ed Epaminonda è ricordato con riconoscenza dagli abitanti di due città fondamentale fondate in questi anni, Messene in Messenia e Megalopoli in Arcadia.
Per ‘scenario internazionale’ intendo invece il rapporto diretto di Epaminonda con tre potenze così diverse come Atene, Sparta e l’impero persiano. Il caso più difficile è quello di Atene, perché Tebe entra nella sua nuova Lega navale, da sola, ma non si può certo pensare che Epaminonda abbia giocato alcun ruolo in questa scelta. Per quanto ne sappiamo, Epaminonda cercò sempre di mediare, con Atene, mentre questa città ruppe definitivamente con Tebe dopo Leuttra, anche per il comprensibile timore che questa rinascente potenza potesse ledere gli interessi di Atene a nord (l’Attica non è altro che l’estrema prosecuzione a sud della Beozia e gli studi recenti confermano sempre più quanto i confini tra le due regioni siano stati labili e in continua evoluzione). Un fatto interessante avviene a Oropo, che torna in mano beotica nel 366, dopo essere stata con Atene per tanti anni. Il centro era sulla costa davanti all’isola dell’Eubea e il nome, Oropo, doveva essere la forma locale del nome di un fiume, l’Asopo, la cui valle disegnava un asse centrale della Beozia meridionale.
La situazione con Sparta è invece più semplice da capire, perché Epaminonda fece semplicemente sempre tutto per mettere in difficoltà non solo i suoi re, ma soprattutto il delicato meccanismo militare di questa potenza terrestre. Poiché gli effettivi spartani dovevano avere la piena cittadinanza, la sostituzione non era facilissima e una carneficina come quella di Leuttra rappresentò uno smacco non solo militare per Sparta. Epaminonda ereditò la linea duramente antispartana dei liberatori di Tebe nel 379 e questa posizione era ancora largamente condivisa negli anni Cinquanta, allorché Tebe ancora diede filo da torcere agli Spartani e ad altri loro alleati nel corso di una lunga guerra (la terza guerra sacra, scoppiata nel 356 e conclusa poi nel 346).
Quanto ai Persiani, che gli altri Greci vedevano non a torto costantemente amici dei Tebani, il fatto che Sparta e soprattutto Atene fossero tornate a espandere proprie aree di influenza nell’Egeo e in Asia Minore poteva soltanto rendere Epaminonda molto simpatico al Gran Re. Non fu lui ad andare a Susa nel corso di una delicata missione diplomatica nel 367, ma è all’insegna del plauso alla sua politica che i Persiani cercarono in fondo sempre di caldeggiare una pace che ad Atene e a Sparta non poteva andare bene, in questo frangente. Furono anzi i Persiani i probabili finanziatori della campagna navale di Epaminonda, che partì nel 365 e provocò non pochi danni ad Atene.
Quale bilancio storiografico si può dunque trarre dell’Epaminonda statista?
Parlando del rapporto con le altre poleis, sottolineavo come ci sia generalmente stata in Epaminonda una grande attenzione al fatto che ogni alleato doveva guadagnare vantaggi dalla vicinanza con Tebe. Messeni e Arcadi ottennero l’indipendenza e, anzi, gli Arcadi temettero presto le conseguenze di questo debito di riconoscenza. In Grecia centrale, le alleanze ottenute da Tebe non comportavano mai alcuna forma di sottomissione a Tebe e anzi i Focesi si giovarono di questa liberalità nell’impegnarsi il meno possibile con Tebe. Accennavo poi alla missione di Epaminonda sul mare Egeo: lui, certo, ne trasse qualche soddisfazione, come l’essere fatto prosseno a Cnido, ma questi alleati aspettavano soltanto la spinta giusta per defezionare, sia pure temporaneamente, da Atene. Forse solo in Acaia, nel nord del Peloponneso, la situazione fu meno facile e la fiducia troppo generosa concessa da Epaminonda agli Achei gli costò non poco al ritorno in patria.
Se quindi dovessimo giudicare uno statista dai benefici apportati alla propria patria, non potremmo che dire che Epaminonda non fu uno statista di successo. Non godette costantemente del sostegno della cittadinanza, non sempre fu accorto in politica estera, nel Peloponneso sottovalutò le ostilità tra popolazioni vicine, dal momento che c’erano tensioni, come quella tra Elei e Arcadi sulla gestione di Olimpia, che avrebbero richiesto maggiore attenzione. Ma basta questo criterio quantitativo a valutare uno statista?
Già qualche anno fa, uno dei massimi studiosi della Beozia come Albert Schachter scrisse un saggio in cui, provocatoriamente, l’egemonia tebana cominciava nel 362 a.C., alla morte di Epaminonda. E in effetti, se andiamo a vedere lo scenario internazionale, la morte di Epaminonda non crea un vero effetto domino. Uno storiografo di quegli anni, Senofonte, scrisse che dopo la battaglia di Mantinea regnarono in Grecia akrisìa, ovvero l’incertezza derivante dall’impossibilità di valutare cosa accadesse, e tarachè, totale disordine. Ma già inizialmente segnalavo che anche prima, durante la vita di Epaminonda, c’era stato un policentrismo che rende ogni ricostruzione della storia greca successiva alla guerra del Peloponneso difficilmente schematizzabile. Sarebbe facile imputare ai Macedoni di Filippo II e del figlio Alessandro Magno la colpa per avere impedito ogni processo di accordo, ma la fragilità dell’idea di una pace comune fu antica almeno quanto l’idea stessa, di una pace comune.
A Tebe gli anni successivi alla morte di Epaminonda vedono non solo importanti progetti artistici, come i lavori al tempio di Apollo Ismenio e l’erezione di una stupenda statua di Atena a opera di uno dei grandi artisti di questo secolo, Skopas. È tutta la politica cittadina a seguire ancora la volontà di Epaminonda, dalla persistenza nell’ostilità a Sparta all’intervento militare nel Peloponneso mirato e comunque per anni numericamente forte, fino alla cementificazione di una lega che vediamo sostanzialmente compatta fino ai primi anni Trenta.
Il bilancio che si può trarre su Epaminonda è quindi positivo, quando si guardi alla lunga durata della sua politica e si considerino anche gli effettivi spazi di manovra per una polis o un koinon nel IV secolo. Non si può paragonare Epaminonda con altri grandi Greci come Pericle o, prescindendo dal dibattito sulla sua grecità, Alessandro Magno: essi ebbero rispettivamente un sistema di avversari diverso e una struttura statale profondamente distanti dagli strumenti tutto sommato limitati di Epaminonda, beotarca in un collegio di sette beotarchi, in una federazione a traino tebano tutto sommato neonata.
Salvatore Tufano è cultore della materia in Storia greca presso il Dipartimento di Scienze dell’Antichità della Sapienza Università di Roma e professore di Italiano, latino e greco al Liceo Giulio Cesare di Roma. Ha svolto attività di ricerca in Italia, Svizzera e Canada ed è colaborador externo dell’Universidad de Santiago de Compostela. Il suo libro precedente, Boiotia from Within. The Beginnings of Boiotian Historiography (Münster 2019) ha per oggetto la storiografia locale beotica, mentre il prossimo libro, sotto contratto per Liverpool University Press, è una storia della città di Orcomeno, in Beozia.