
La famiglia Piaggio può senza dubbio annoverarsi tra le grandi dinastie italiane (i Pirelli, gli Agnelli, i Perrone, i Falck, gli Orlando, i Florio) che, a cavallo tra il XIX e il XX secolo, realizzarono quel miracoloso tessuto industriale che trasformò un’Italia essenzialmente agricola in potenza industriale d’importanza mondiale.
La storia dell’azienda Piaggio cominciò nel 1882, quando Enrico Piaggio Senior acquistò un terreno ortivo di 4.800 m2 situato a Sestri Ponente in località “Della Persa”, al prezzo di 25.000 lire. Per la destinazione commerciale e l’amministrazione di quel terreno, Enrico Piaggio e il figlio ventenne Rinaldo fondarono la Società Rinaldo Piaggio con sede a Sestri Ponente (GE), che fu trasformata, tre anni dopo, nella società in accomandita semplice Piaggio & Co., destinata ad affermarsi, nel settore dei cantieri navali, quale azienda leader nella realizzazione dell’arredamento interno per imbarcazioni e per piroscafi di grandi dimensioni.
Nel 1893 Rinaldo Piaggio, sposando la figlia di Nicolò Odero, Elena, si imparentava con un’altra delle famiglie protagoniste della nascita dell’industria italiana. Gli Odero, infatti, possedevano i cantieri navali liguri, acquisiti successivamente dal gruppo industriale della suaccennata famiglia Orlando, che era proprietaria anche di importanti acciaierie. Le fonderie rappresentano l’elemento essenziale per l’industria navale tanto quanto la carpenteria costituisce l’attività basilare per la realizzazione delle finiture interne delle imbarcazioni, settore in cui eccelleva lo stabilimento Piaggio di Sestri Ponente: in effetti, gli Odero costruivano navi, la Piaggio & Co. ne curava gli arredamenti.
Le cronache dell’epoca riferiscono che tutte le navi più importanti varate dai vari cantieri in Liguria ricorrevano all’arredamento e agli interni firmati Piaggio, frutto della collaborazione di ebanisti, intarsiatori e abilissimi maestri la cui creatività e capacità erano apprezzate a livello internazionale. La stessa Marina imperiale tedesca e numerose altre società straniere privilegiavano il design realizzato dalle maestranze della società di Sestri.
La Piaggio & Co. lavorò per tutti i grandi costruttori navali genovesi e, gradualmente, per tutti i più importanti cantieri italiani. Nel giro di pochi anni i reparti della lavorazione del legno vennero integrati con quelli per la lavorazione dei metalli, del vetro e della tappezzeria; furono allestiti uffici per la progettazione degli arredamenti. Le maestranze erano formate da ebanisti, intarsiatori, cesellatori e decoratori. L’impresa di Rinaldo Piaggio assunse rapidamente una posizione di monopolio nel settore degli arredamenti navali.
I primi anni del Novecento furono decisivi per l’economia italiana, perché avvicinarono l’Italia ai paesi industrialmente più avanzati grazie alla notevole crescita e all’eccellenza qualitativa della produzione nazionale. Molti dei maggiori gruppi industriali italiani dovevano in effetti la loro nascita ed il loro rapido sviluppo al finanziamento delle grandi banche di credito, quali la Banca Commerciale Italiana, il Credito Italiano e la Società Bancaria Italiana. Questi istituti bancari destinarono una notevole quota dei fondi depositati dai risparmiatori al finanziamento di alcuni settori economici e di vari gruppi di imprese. Questi stretti legami tra sistema bancario e tessuto industriale, però, di lì a poco avrebbero determinato una serie di conseguenze negative per lo sviluppo economico italiano.
Nel 1907 il fallimento della grande banca americana State Saving Bank of Butte, (causato da una sfavorevole speculazione sui titoli di un’importante azienda nel settore del rame) e il fallimento della banca tedesca Haller, Soehler & Co. portarono al cosiddetto “panico del 1907”, che provocò un crollo del mercato azionario. Ciò ebbe ripercussioni anche in Italia: gli azionisti videro ridursi rapidamente i loro utili per le difficoltà emergenti nella vendita di prodotti sul mercato interno e internazionale, a cui seguì un aumento del costo del denaro che mise in difficoltà anche coloro che non praticavano il gioco in borsa; in primis, paradossalmente, proprio le imprese non quotate.
In quel clima di recessione, con livelli di attività inferiori a quelli che si sarebbero potuti attuare usando in maniera efficiente tutti i fattori produttivi a disposizione, Rinaldo Piaggio si convinse che era venuto il momento di andare oltre il settore dell’armamento navale, ormai in crisi, e puntò sulle costruzioni ferroviarie. Fu una scelta lungimirante: il trasporto ferroviario in Italia, anche per la conformazione del territorio, era piuttosto carente mentre lo sviluppo industriale esigeva migliori collegamenti stradali e ferroviari tra le diverse aree del Paese per garantire il necessario trasporto delle merci.
Per attuare il suo progetto, Piaggio decise di acquistare nuovi terreni per ampliare lo stabilimento in modo da affrontare adeguatamente gli sviluppi della diversificazione. Il nuovo obiettivo aziendale puntò sul previsto completamento della rete ferroviaria e sulla conseguente domanda di materiale rotabile. Il 5 giugno 1906 Rinaldo Piaggio e Nicolò Sacconi, Sindaco di Finalmarina, sottoscrissero un accordo per installare, su un terreno comunale di 25.000 mq, una grande officina specializzata nella costruzione e riparazione di vagoni ferroviari.
Fu l’atto di nascita della nuova industria.
Quattro giorni dopo, il 9 giugno 1906, fu costituita a Genova, con apposito atto notarile, la Officine di Finalmarina, Società Anonima per la costruzione di veicoli ferroviari con sede a Genova. Pochi giorni dopo venne stipulato il contratto per la costruzione del nuovo impianto industriale a Finalmarina.
La Prima guerra mondiale, con le conseguenti notevoli spese belliche a carico del bilancio statale e la coesistente penuria di manodopera, provocata dal rilevante flusso di uomini inviati al fronte, determinò una crisi delle costruzioni ferroviarie, coincidente, peraltro, con la nascita e il rapido sviluppo della nuova industria aeronautica. Anche questa volta i Piaggio furono pronti a cogliere le nuove occasioni di espansione industriale.
Nel secondo semestre del 1917 la Officine di Finalmarina finì in liquidazione, e la sua attività confluì nella Piaggio e Co. che estese così la propria produzione al settore aeronautico. Erano gli anni in cui il comparto aeronautico di un’azienda risultava parte integrante dell’industria del legno, poiché occorreva saper lavorare il legno con abilità per poter costruire aeroplani. E la Piaggio, nel settore, vantava una grande esperienza.
Durante la Grande Guerra gli stabilimenti di Sestri Ponente e di Finale Marina vennero convertiti alla produzione bellica, che richiedeva strutture produttive più moderne.
Nel 1917 Rinaldo Piaggio rilevò un’azienda aeronautica di Pisa. Iniziò così l’insediamento di Piaggio in Toscana, aggiungendo una nuova pagina nella storia industriale della sua impresa. Anche in questo caso, la scelta di Pisa non era stata casuale.
A Pisa, infatti, c’era uno dei più importanti campi di volo d’Italia: l’aeroporto San Giusto, realizzato nel 1911 dai fratelli pisani Ugo e Guido Antoni, pionieri delle costruzioni aeronautiche, che in quegli anni avevano costituito la Società di navigazione Antoni, acquisita nel 1913 dalle Officine Aeronautiche Francesco Oneto, un armatore genovese prematuramente scomparso. Rinaldo Piaggio, proseguendo nel suo progetto espansionistico, ne rilevò la proprietà nel 1918.
La Piaggio aveva ora tre sedi – due in Liguria e una in Toscana – e si collocava autorevolmente tra le grandi imprese nazionali per dimensione, numero di addetti, volume produttivo e valore del fatturato.
I motori montati sugli aerei della Piaggio originariamente venivano acquistati da altre case costruttrici e, in molti casi, venivano adattati alle esigenze aeronautiche.
L’occasione di chiudere la filiera produttiva, con la costruzione diretta di motori aeronautici, si verificò nel 1924 quando Rinaldo Piaggio acquistò a Pontedera lo stabilimento “Costruzione Meccaniche Nazionali” (CMN), una dismessa casa automobilistica italiana, fondata nel 1919 da un gruppo di finanziatori, che a sua volta aveva rilevato gli stabilimenti della casa automobilistica De Vecchi & C., in grave difficoltà economiche.
Nel 1938, allorché alla morte del padre Rinaldo fu ereditata da Enrico e dal fratello maggiore Armando, la Piaggio & C. possedeva, dunque, quattro stabilimenti: due in Liguria, a Sestri Ponente e Finale Ligure, e due in Toscana, a Pisa e Pontedera.
Armando Piaggio si dedicò alla gestione degli stabilimenti liguri, attivi nel settore della produzione di arredi navali e di materiale rotabile, mentre Enrico assunse la direzione di quelli toscani che inizialmente, durante la grande guerra, avevano operato nell’industria aeronautica, con la costruzione di componenti per aereo (eliche, ali e carlinghe) e con l’attività di riparazione e revisione di velivoli.
Quali vicende segnarono la vita di Enrico Piaggio?
Enrico Piaggio, nato il 22 febbraio 1905 a Pegli (comune autonomo fino al 1926, anno in cui fu inglobato in quello di Genova) era, come ho detto in precedenza, il secondogenito dell’imprenditore genovese Rinaldo Piaggio.
Si dedicò regolarmente all’attività scolastica fino al completamento degli studi, conseguendo la laurea in Economia e Commercio all’Università di Genova nel 1927, senza tralasciare, peraltro, di appassionarsi all’attività paterna con l’interesse e la pervicacia del predestinato.
Quando nel 1938, alla morte del padre, ereditò le due fabbriche toscane di Pisa e Pontedera, conservò inizialmente una sostanziale continuità delle linee imprenditoriali paterne, caratterizzate da un preminente interesse per la ricerca e lo sviluppo tecnologici, essenziali per soddisfare i suoi propositi di fare della Piaggio di Pontedera un centro di eccellenza nella progettazione e costruzione di aeromobili, avvalendo dell’apporto di alcuni dei migliori ingegneri aeronautici italiani.
L’andamento del settore aeronautico di Pontedera fu soddisfacente solo in parte, vantando brillanti risultati tecnologici nella produzione dei motori (nel biennio 1937-1939 i motori Piaggio detennero ben 21 primati), mentre deludenti furono i risultati commerciali nel settore della costruzione di velivoli poiché, a causa della limitata richiesta del mercato interno, alla notevolissima attività di progettazione corrispose una modestissima realizzazione di modelli: tra il 1937 e il 1943 dei ben 33 nuovi progetti elaborati dall’equipe tecnica della Piaggio, solo tre conobbero la realtà della produzione industriale.
L’Armistizio dell’8 settembre 1943, che suggellava la catastrofica sconfitta bellica dell’Italia, ebbe come naturale conseguenza la sospensione di tutte le commesse destinate alla Regia Aeronautica italiana, il che significava praticamente la paralisi produttiva dell’azienda.
A questo punto un avvenimento esterno, fortuito e casuale rischiò di interrompere la sua vicenda umana, compromettendo il futuro del settore industriale della Piaggio da lui condotto, che non avrebbe potuto avvalersi della sua brillante intuizione destinata a dar vita alla mitologica Vespa: il 25 settembre 1943, mentre si trovava nella hall dell’Hotel Excelsior di Firenze, fu ferito gravemente da un ufficiale della neocostituita Repubblica di Salò, per non essersi alzato in piedi (gesto ritenuto un doveroso segno di rispetto ed ossequio al regime) durante il discorso alla radio del generale Rodolfo Graziani contro gli alleati. Trasportato in fin di vita all’ospedale, fu salvato grazie ad un delicato intervento chirurgico che non poté comunque evitargli l’asportazione di un rene.
Negli anni seguenti, infatti, Enrico Piaggio, con la sagacia che gli era propria, ebbe modo di predisporre il processo di radicale cambiamento della produzione Piaggio dal settore aeronautico, ormai praticamente in disarmo, a quello della motorizzazione individuale mediante la realizzazione di uno scooter, tipo di veicolo che si stava diffondendo a livello mondiale con sempre crescente successo, prodotto in numerose e diverse realizzazioni estetiche e meccaniche da una sempre crescente schiera di imprese industriali.
Già nel 1944 a Biella, dove erano stati spostati temporaneamente gli impianti di Pontedera, aveva raggruppato una selezionata schiera di tecnici e ingegneri impegnati alla progettazione ed alla costruzione di un piccolo scooter, l’MP5, storicamente noto col nome “Paperino”.
Il seguito merita una narrazione a parte, perché riguarda la storia di un mito.
Quali erano i tratti distintivi della sua personalità e come conduceva la sua vita privata?
Le vicende sentimentali che caratterizzarono la sua vita ben delineano la sua complessa personalità e si compendiano nell’esperienza di due matrimoni e di diverse malcelate relazioni extraconiugali.
Col suo primo matrimonio, tutt’altro che riuscito, aveva sposato Nerina, Ines, Maria Bedogni il 20 aprile del 1931, con il rito cattolico, presso la chiesa di Santa Maria della Salute in Milano.
Il loro rapporto coniugale naufragò dopo pochi anni. Già nel 1938 due procedimenti giudiziari (uno civile di separazione e l’altro penale) pendenti tra i due coniugi presso il Tribunale di Pisa, furono “ricomposti con una separazione consensuale”.
La causa di separazione fu ripresentata due anni dopo dalla Bedogni a seguito di un altro episodio increscioso. Nerina Bedogni aggredì, nel 1940 a Viareggio, “una signora che si trovava in automobile in compagnia del dott. Piaggio. Questi intervenne ed ebbe luogo una colluttazione tra coniugi. Nerina Bedogni chiese la dichiarazione di colpa del marito e denunziò penalmente il coniuge per lesioni gravissime, asserendo di avere riportato una deviazione della spina dorsale, constatata radiograficamente.” Per onore di cronaca, è opportuno precisare che i problemi fisici di Nerina in seguito risultarono preesistenti allo scontro fisico fra i coniugi.
La denuncia penale fu ritirata ed Enrico Piaggio consegnò alla moglie la somma risarcitoria di sei milioni di lire. Dopo questo secondo episodio si convenne che “le parti avrebbero esperito una procedura di annullamento del loro matrimonio”.
In quel periodo la separazione tra i due coniugi era già nei fatti: lui, infatti, frequentava l’attrice Mariella Lotti. Questo particolare, appaiato all’episodio di Viareggio inducono a supporre che, in ogni caso, Enrico non tralasciava certo di correre la cavallina.
Nel 1942, mentre l’Europa era in guerra, i coniugi Piaggio si recarono in Ungheria per chiedere al Tribunale di Balassagyarmat di annullare il loro matrimonio in base al Concordato del 1929 tra la Santa Sede e l’Italia. Il Tribunale ungherese accolse la richiesta di annullamento con sentenza del 7 marzo 1942. Pronunciamento che venne reso esecutivo in Italia con sentenza della Corte di Appello di Perugia in data 31 luglio 1942.
Nell’ottobre del 1946, Enrico Piaggio sposò la contessa Paola Antonelli, personaggio che sarebbe risultato di notevole importanza nel suo futuro, determinando una frattura tra il suo passato di giovane esuberante, inquieto quanto incauto e leggero nelle sue decisioni (lo testimoniano le sue prime nozze) e la maturità raggiunta in seguito al secondo matrimonio (comprovata dal gesto significativo dell’adozione di Antonella, figlia di prime nozze di Paola).
Paola Antonelli, infatti, nata il 14 agosto del 1919, si era sposata appena diciannovenne con il colonnello Alberto Bechi Lusena, ucciso in Sardegna all’indomani dell’armistizio di Cassibile da un reparto dei suoi soldati che, disubbidendo ai suoi ordini, volevano unirsi ai tedeschi. Da queste prime nozze era nata Antonella Bechi che, dopo l’adozione da parte di Enrico Piaggio, a dimostrazione della stima che gli portava, al suo cognome aveva aggiunto quello del padre adottivo.
Quando e come nasce la Vespa?
L’armistizio dell’8 settembre 1943, che determinava in effetti l’interruzione della fabbricazione di manufatti militari, indusse il previdente Enrico Piaggio a predisporre un processo di radicale cambiamento della produzione Piaggio dal settore aeronautico a quello della motorizzazione individuale mediante la realizzazione dello scooter, un veicolo pratico e a basso costo che, in un’Italia in ginocchio per le disastrose vicende belliche, rispondesse alle limitate disponibilità economiche della gente comune, che aveva comunque la necessità di muoversi e, soprattutto, il desiderio di farlo anche per la voglia di rivalersi delle privazioni patite.
Per la realizzazione del nuovo motoveicolo, Enrico Piaggio affidò l’incarico di progettazione all’ingegner Renzo Spolti, uno dei tecnici più esperti impegnati nella produzione aeronautica dell’azienda, già progettista di alcuni motori d’aereo di successo negli anni ’30 e ’40.
L’attività di progettazione ebbe inizio nell’estate 1944 e nella primavera dell’anno successivo il prototipo del progenitore della Vespa era realizzato. Lo scooter MP (Moto Piaggio), universalmente noto come Vespa Paperino, ebbe vita breve ed incerta, ma aprì l’orizzonte e diede il suo nome all’intera dinastia dei veicoli Piaggio.
Nel 1945, a guerra finita, insoddisfatto dei risultati fino ad allora ottenuti ed impegnato nella ricerca di ulteriori soluzioni per la realizzazione dei suoi progetti, colse al volo la fortunata circostanza di incontrare e di assicurarsi la preziosa collaborazione dell’ingegnere D’Ascanio, appena reduce da precedenti contatti con Ferdinando Innocenti, interrotti per discordanze tecniche relative alla progettazione di un prototipo di scooter, il progenitore della Lambretta. In poche settimane D’Ascanio approntò il progetto di un motoveicolo con scocca portante, motore di 98 cc. a presa diretta, cambio sul manubrio per facilitare la guida, senza forcella ma con un braccio di supporto laterale, tale da consentire agevolmente il cambio della ruota in caso di foratura, costruito con materiali resistenti e leggeri, originariamente realizzati per la produzione aeronautica.
È questa la data di nascita del binomio Enrico Piaggio/Vespa. Un binomio che risulterà presente, esplicitamente o implicitamente, in ogni pagina del mio libro.
In che modo il mitico scooter si impose nell’immaginario collettivo?
Nei primi giorni del ’48 Enrico Piaggio, per promuovere la creatura di Corradino D’Ascanio, chiamò Renato Tassinari – un giornalista che aveva sostenuto l’idea della costruzione di una motocicletta leggera a basso prezzo – contando soltanto sulla sua competenza ed esperienza, per nulla influenzato dal suo passato politico.
Tassinari chiese subito di poter organizzare un grande raduno nella città di Milano, con intento pubblicitario, ma soprattutto per saggiare concretamente le reali possibilità aggregative della Vespa. La “strategia dell’appartenenza” (esperienza vincente nel ventennio fascista) venne letteralmente trasferita da Tassinari alla politica pubblicitaria e commerciale della Vespa: l’utente Vespa non era un motociclista qualunque, ma faceva parte di una grande famiglia.
Il raduno si svolse il 9 maggio 1948: vi parteciparono in mille, dando luogo a quello che passerà alla storia come lo Sciame d’argento, appellativo suggerito dalla tinta predominante degli esemplari di scooter che presero parte all’evento.
Tassinari, incoraggiato dall’esito positivo del raduno, propose a Enrico Piaggio un progetto ambizioso che mirava a coordinare tutti i “vespisti” d’Italia attraverso iniziative intese a favorire il turismo, l’aggregazione e, di conseguenza, la promozione del marchio: erano le basi del futuro Vespa Club d’Italia che fu fondato a Modena, su iniziativa di un gruppo di appassionati possessori dello scooter di Pontedera.
La rivista “La Moto” il 15 luglio del 1948 scrisse: «Pensiamo che il Vespa Club di Modena sia il primo club interamente formato da possessori di scooter, ma il merito maggiore dei suoi fondatori non sta solo in questo ma nel fatto di avere, mentre ancora si stanno preparando i quadri organizzativi, già organizzato e degnamente condotto un raduno di Vespa».
Il raduno di cui parlava “La Moto” si tenne il 4 luglio all’Abetone, in provincia di Pistoia, dove oltre ai soci modenesi parteciparono anche vespisti delle province attigue. Al raduno prese parte da Pontedera anche l’ingegner Vittorio Casini, responsabile del reparto Sperimentale della Piaggio, che riportò poi in azienda le proprie impressioni sull’iniziativa dei modenesi.
L’iniziativa ebbe grande eco sulla stampa nazionale. Nel volgere di poche settimane la denominazione “Club” iniziò a penetrare nel tessuto vespistico nazionale, tanto che anche il gruppo anconetano cambiò la propria denominazione da “Gruppo Vespistico Anconetano” in “Club Vespisti di Ancona”.
Qualche mese dopo sorse il Vespa Club d’Italia. In un documento del 3 gennaio del 1949, che reca il timbro “Vespa Club d’Italia”, vengono riportate le linee guida per la costituzione dei Vespa Club locali: la Piaggio assunse la guida dell’iniziativa nazionale nominando presidente provvisorio dei Club lo stesso Tassinari.
Nel mese di marzo 1949, sempre da un’idea di Tassinari, fu organizzato “La Svizzera a volo di Vespa”: un percorso di 750 km in tre giorni, che avrebbe fatto tappa a Zurigo e Ginevra. L’iniziativa vide la partecipazione di ben settantatré vespisti, di cui nove donne e cinque Vespa con sidecar.
Il batterio della “vespite” era stato messo in circolo. Un sapiente ed avveduto battage pubblicitario avrebbe provveduto alla sua diffusione.
Cosa ha significato per gli italiani la Vespa?
La Vespa fu brevettata e messa effettivamente in produzione nell’aprile del 1946. Malgrado la vendita dei primi 100 esemplari fosse risultata un po’ difficoltosa, Enrico Piaggio dispose la produzione di un primo lotto di 2.500 esemplari, dei quali ben 2.181 furono venduti entro l’anno; nell’anno successivo il numero dei veicoli venduti fu di 10.535 al prezzo di 68.000 lire, cifra che, equivalente a diverse mensilità dello stipendio di un impiegato, sarebbe risultata proibitiva alla massa se non si fosse fatto ricorso alla rateizzazione, che risultò addirittura un determinante stimolo all’acquisto.
Nel 1947 fu la volta della commercializzazione dell’Ape, un furgone a tre ruote anch’esso progettato con le stesse finalità d’uso della vespa (soddisfare le esigenze per un uso individuale) ma, nel caso specifico, per il trasporto di merci.
Nel 1948 venne immessa sul mercato la Vespa 125, che segnò l’inizio di un esponenziale sviluppo della produzione: nel 1953 gli esemplari costruiti furono 171.200 e dagli stabilimenti Piaggio usciva la cinquecentomillesima Vespa; solo tre anni dopo, veniva posta in vendita la milionesima).
La diffusione della Vespa diede il primo impulso alla motorizzazione di massa in Italia, anticipando l’arrivo dell’altra grande protagonista di quel cambiamento, la Fiat 500, l’auto che segnò una vera rivoluzione industriale nell’Italia degli anni Cinquanta.
Nel 1950 le prime aziende licenziatarie iniziarono la produzione della Vespa all’estero, inizialmente in Inghilterra, in Germania, in Spagna e in Francia; già nel 1953 la rete commerciale della Piaggio si estese a livello mondiale in ben 114 paesi, contando su tutti i continenti oltre 10.000 punti vendita.
Come si concluse la vita di Enrico Piaggio?
A metà degli anni Sessanta, a causa di un primo calo delle vendite, peraltro temporaneo, che aveva avuto riflessi negativi sulla produzione e, conseguentemente, sull’occupazione, si ebbe un periodo di notevole tensione sociale tra la dirigenza dell’azienda e i lavoratori.
Quando Enrico Piaggio si sentì male in ufficio, a Pontedera era proprio in corso uno sciopero molto duro degli operai Piaggio. La folla degli scioperanti, assiepati lungo il viale che portava alla direzione dell’azienda, era talmente fitta che l’ambulanza faticò non poco a raggiungere la palazzina dove si trovava l’infermo, per portarlo d’urgenza all’ospedale di Pisa.
Morì dieci giorni dopo, il 16 ottobre del 1965 a Montopoli in Val d’Arno, nella sua villa di Varramista.
Alla notizia della sua scomparsa cessarono di colpo tutte le agitazioni.
Al suo funerale partecipò tutta Pontedera, una composta folla di migliaia di persone: nessuno, nel momento della scomparsa, dimenticò quello che Enrico aveva rappresentato per la città.
A lui è dedicato uno dei più prestigiosi centri di ricerca multidisciplinari d’Europa, il “Centro di ricerca Enrico Piaggio” dell’Università di Pisa, fondato nel 1965.