“Ennio Morricone” di Italo Moscati

Prof. Italo Moscati, Lei è autore della biografia di Ennio Morricone, edita da Castelvecchi: cosa rappresenta per la storia della musica contemporanea l’opera del grande compositore recentemente scomparso?
Ennio Morricone, Italo MoscatiLa storia della musica contemporanea ha atteso il momento del distacco dal Maestro Ennio Morricone con la consapevolezza non solo del prestigio di un grande maestro ma anche con dolore, come è accaduto per tutto il pubblico e il mondo della musica. Morricone ha segnato con il suo lavoro lungo, intenso, fecondo un momento importante. Con le sue scelte e le proposte. Avevo da tempo considerato che l’attività di composizione della musica senza barriere avesse già segnato una conquista importante. La musica è importante e non ha avuto confini per un tale Maestro su cui si continuerà a studiare e a sperimentare. Ne ho avuto la sensazione da quando ho cominciato a seguirlo, per e nel mio libro “Ennio Morricone”, edizione Castelvecchi, ricostruendo un’opera complessiva che non ha avuto confini. Anzi. Morricone ha segnalato, e segnato, la necessità di considerare come lui ha fatto la musica del nostro tempo come una sola dimensione di lavoro e di immaginazione, conoscenza, una “porta aperta”. La musica è come una dimensione senza confini e un autore sa ricavarne ispirazione, considerazione, applicazione. Con soddisfazione, mi è accaduto di entrare nel cammino del grande Maestro fra documenti, parole e composizioni. Un’operazione facile per l’invito e per la curiosità che presupponeva. Ma la scoperta dell’efficacia della creatività, lo spessore delle idee, la chiarezza di una storia ci porterà tutti a capire, approfondire, andare avanti. Il mio libro è una scommessa. Andare oltre quel che ho condiviso e capito. Da quel giorno in cui presi contatto con il Maestro Morricone che incontrai per cominciare il lavoro di approfondimento di un testo classico, l’Antigone, che doveva diventare lo spartito delle parti, delle composizioni di un film di Liliana Cavani, “I Cannibali” (1969). Non sono un musicista, ma amo profondamente la musica; ero e sono un regista, uno sceneggiatore. Avevo sentito le idee e i primi criteri che il Maestro stava elaborando. Mi appassionai al suo lavoro. E nel libro “Ennio Morricone” ho tentato di spiegare come e perché mi ero appassionato molto alla prima fase di ricerca, poi seguita allo sviluppo di elaborazione di grande fascino, solidità di proposte, felicità due temi proposti. Il film va dall’Antigone di un grande passato a sonorità, motivi, canzoni, echi dei nostri tempi. Questo mi appassionò e la preparazione del film andò in una dimensione di fascino, di sensazioni, di modernità. Con Liliana e Ennio mi trovai coinvolto in un’operazione travolgente che si sviluppava nel centro della città di Milano, città mai nominata, infilata nella contestazione trascinata da Antigone, abiti e atmosfere contemporanee. La musica come sonorità e passioni. E il film era la lezione di due grandi: la Cavani e Morricone. Imparavo velocemente. Ne approfittai, ne sto approfittando.

Quando e come il Maestro debuttò nella musica per il cinema?
Il debutto di Ennio nella musica per il cinema risale alla sua gioventù quando studiava musica e incontrò Petrassi, grande musicista e suo maestro. C’erano le lezioni di Petrassi seguite dal giovane allievo con scrupolo. Petrassi era un maestro solidamente legato alla grande musica, non aveva né l’intenzione, né il piacere delle casualità di affrontare il cinema, la musica per il cinema; aveva scritto tra le sue poche colonne sonore un film del neorealismo, “Riso amaro” (1949) di Giuseppe De Santis, in cui erano stati scritturati due attori già famosi dell’epoca: Vittorio Gassman e Silvana Mangano. C’è un episodio che spiega bene come si svolgeva la questione delicatissima delle colonne sonore in anni in cui il cinema cercava una sua nuova strada dopo la seconda guerra mondiale. Fu quasi una eccezione. Lo dimostra lo scambio di battute intercorse da Petrassi e il suo allievo Morricone. Petrassi aveva visto il film “Per qualche dollaro in più” e aveva incontrato l’allievo Ennio che aveva scritto la musica. Non disse nulla del film, non un giudizio; elogiò velocemente l’allievo con questa battuta riferita: “Mi è piaciuto moltissimo il tema” ma aggiunse, cambiando tono: “Recupererai”. Ma non accadde. Accadde che l’allievo continuò a comporre colonne sonore e col tempo, alla fine dei suoi giorni, arrivò alla cifra di mille e passa colonne scritte. Petrassi se n’era già andato. Ennio non recuperò mai. Non solo il cinema, ma ogni tipo di musica lo affascinava e lo invitava a lavorare. Un ritmo intenso. Non c’erano pause. Impegni che fioccavano. Non un giorno perduto. Anche per “gratitudine”. La pioggia di premi e riconoscimenti per il lavoro compiuto veniva da musiche per la chiesa, il gruppo sperimentale di “nuova consonanza” di cui Ennio era uno degli autori più in vista. Ogni cosa aveva un sentiero di rigore. Lavorava e non voleva confusioni. Era rigoroso. A Venezia gli dedicarono una serata, per conferire un premio alla carriera. Accadde che dopo la premiazione qualcuno della organizzazione aveva improvvisato una proiezione: uno dei suoi film western con Sergio Leone, i primi. Quando Morricone si accorsi della cosa, si infuriò, insistette perché la proiezione venisse interrotta. E lo fu. Non voleva confusioni, non voleva mischiare, a ciascuno il suo… ma scelto da lui, il compositore appassionato, rigoroso, sperimentatore.

Ennio Morricone ha indissolubilmente legato il suo nome a quello di Sergio Leone e i suoi “western all’italiana”: come nacque e si sviluppò il loro sodalizio artistico?
Ennio e Sergio Leone erano in perfetta sintonia. Sergio aveva capito subito la necessità di puntare sul cinema come luogo di una sperimentazione che andava incontro al bisogno di non abbandonare “tutta la musica”, teneva moltissimo le esperienze di avanguardia e di integrarle. Aveva capito che il cinema era più libero, disponibile, preso dalla sperimentazione di suoni e di emozioni che condivideva con i registi giovani che comparivano negli anni sessanta, come Marco Bellocchio ad esempio. Erano rapporti non facili, con autori che avevano sentito l’aria della contestazione e delle avanguardie. Morricone non aveva nulla del musicista che si allontana, si chiude, ripete. Giocava, come aveva fatto con le canzoni. Ci lavorava volentieri, aveva le sue soddisfazioni tra il pubblico giovane. La musica si era allargata e si diffondeva. Le difficoltà e le invenzioni erano cercate. Rivoluzionò la situazione, pensando e giocando con i temi e le partiture. Leone era uno dei registi favoriti. Sergio Leone era figlio di un napoletano che lavorava come regista del muto, cambiando cognomi; la madre era un’attrice. Sergio scherzava sui silenzi nella casa sempre vuota. Il cinema era l’obiettivo e lo riempiva con i rumori sul set che frequentava. Con Ennio il lavoro sui suoni si era subito trasformato su una ricerca creativa.

In che modo la musica di Morricone ha segnato le pellicole che ha accompagnato?
Il rapporto di Morricone con Sergio Leone ha segnato fortemente una svolta. La sua musica si è trasformata prendendo le sue varie caratteristiche da una osservazione sulla necessità di cambiare le regole del western americano che è sempre stato dotato di musica di alta ispirazione, classicheggiante. Morricone si è interrogato sui suoni e sui rumori in uno scenario nuovo. Leone aveva bisogno di staccarsi dalle caratteristiche tradizionali di questo genere di film tipicamente americano e di inventare le musiche per un uso nuovo. In scenari di sangue e violenza le musiche accompagnavano con qualche brivido azioni improntate a realtà forti in scenari ampi, perduti nel vuoto. La musica cantava l’orrore o il mito western determinato da uomini forti e violenti, con poco sentimento. Ennio si è domandato perché il sentimento e perché la violenza fatalmente ripetitivi nella lunga, esclusiva tradizione americana. Ennio ha visto nei film americani la spinta a commentare, enfatizzare o addolcire, scuotere o vagare nei grandi spazi. Spazi di enfasi e di morte. Bisognava cambiare. In primo luogo rifacendo la musica radicalmente: più drammatica, più travolgente. Le ambientazioni grandi, a perdita d’occhio, dovevano essere ancora più grandi o infinitamente sottili. Il cielo dei western doveva riempirsi di rumori di treni e di carri, doveva contenere la fatalità delle avventure fuori legge e lo smarrimento nel sogno delle ricchezze e degli amori. Ennio ha cercato e trovato voci, solisti, rumoristi nelle stazioni ferroviarie, negli scontri, nei duelli, nelle rese dei conti. I solisti della voce dovevano avvolgere in una musica avida di sensazioni, suspense, una dietro l’altra. Il western diventava così la musica del vuoto o della violenza nel vuoto. I fischi e i colpi d’arma dovevano vincere sulle musiche, andando a cercare rumori o sibili dei treni. Così, in una cassa di rumori e scoppi, si sentiva potente l’assurdo delle avventure presentate. La violenza e la passione erano il risultato di una fucina di echi indimenticabili.

Come si è espressa la pratica della “musica assoluta” da parte del Maestro?
La “musica assoluta” per Morricone era tutta la musica che non doveva piegarsi a una comunicazione ma evitarla, cercare nel mistero delle note svincolate da racconti che la fissavano troppo, la determinavano, chiudendola nello spazio non di una narrazione ma di una esperienza tecnica e di effetto svincolato. La “musica assoluta” come un libero spazio in cui fare tutto ciò che non serviva in un film di avventure nel quale ogni nota, ogni effetto era ricondotto a una necessità, un approdo concreto, una presenza “autorevole” (musica al comando). La “musica assoluta” è un proposito di libertà e di fuga nella creatività fuori da definizione di significati. È lo spazio delle avanguardie che cercano, che dirottano la ricerca nel bisogno di uscire dalla servitù di un messaggio e in cui gli autori possono liberare la loro ricerca. Morricone, nei suoi anni di lavoro, ha intrecciato il lavoro narrativo dal lavoro delle emozioni e dei suoi liberi nella fantasia, nei risultati… La “musica assoluta” l’ho interpretata così leggendo e ascoltando. Come uno spazio riservato e disponibile per la ricerca, trovare spunti e respiri sottratti al “dovere” dei significati. È impressionante la quantità e qualità del lavoro nel “magazzino” delle idee e delle soluzioni, anche dei piaceri di fare con la musica uno spazio sempre libero, pronto a rispondere a esigenze della musica stessa liberata e condotta alla prova libera del compositore, la musica di un “piacere assoluto”.

Qual è l’eredita artistica di Ennio Morricone?
L’eredità artistica di Ennio Morricone è carica di rigore e di passione. La sua ricerca è in gran parte un fatto privato che cerca nella storia della musica gli spazi che sente di poter raggiungere, esigere per raggiungere un risultato, effetti studiati per potenziare e chiarire il lavoro della musica e del musicista. La vita di Ennio è stata condizionata da una ricerca continua, era un uomo attento e appartato, conosceva tutto e cercava anche di conoscere anche se stesso come sperimentatore assoluto, quindi libero e felice di fare con la musica qualcosa di importante e di definitivo, qualcosa che entrasse e uscisse da una applicazione costante alla ricerca. Morricone si è divertito come un joker nel cercare, raggiungere, un livello sempre alto e perfetto: provocare le reazioni del lavoro d’insieme che un musicista del cinema, “anche” del cinema, sconfina nella consapevolezza e cultura della ricerca. Questo mi è sembrato giusto dire, ora che Ennio è uscito dalla porta del suo lavoro e il suo lavoro non se ne andrà, elemento di ricerche e applicazioni alte, colte, profonde, pronte a emozionare, arrivare al risultato affidato alla musica: andare oltre le apparenze e i significati, convincere, travolgere di emozioni chi scrive la musica e chi l’ascolta.

Italo Moscati, regista e scrittore, ha debuttato giovanissimo nel giornalismo nelle migliori testate. Ha scritto numerosi libri sullo spettacolo e i suoi protagonisti, raccontando la vita e le ricerche di autori come Federico Fellini, Roberto Rossellini, Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini, Ettore Scola; si è dedicato a scrivere sul jazz e sulla vita e la musica di Mozart. Ha lavorato per il cinema e la tv con Luigi Comencini, Liliana Cavani, Gianni Amelio. Ha realizzato film e documentari come “Via Veneto Set”, “Concerto italiano”, “Il paese mancato”, “1200 km di bellezza”. Ha vinto numerosi premi in rassegne in Italia e all’estero.

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