
In quale contesto familiare e sociale nacque e crebbe Eva?
Nacque a Los Toldos, un villaggio a qualche centinaio di chilometri dalla capitale, nel pieno della Pampa. Era l’ultima di cinque fratelli concepiti da Juana Ibarguren con Juan Duarte, proprietario dell’azienda agricola nella quale la madre era entrata giovanissima come aiuto cuoca. Il padre, molto più maturo, era già sposato e con figli a Chivilcoy, una cittadina non lontana. Eva María (questa l’esatta sequenza del suo nome, ma lei preferì invertirla) fu l’ultima della nidiata anche a essere riconosciuta. Non era una situazione rara, al principio del secolo scorso, ma era comunque condannata dai benpensanti di ogni ceto sociale e conduceva all’emarginazione della prole “bastarda”. Il padre provvedeva finanziariamente a tutti, ma morì in un incidente stradale quando lei non aveva ancora sette anni, lasciando tutta la famigliola illegittima senza sostegno economico. La madre dovette trasferirsi e, come le figlie maggiori, cercare in fretta uno o più lavori per sopravvivere. Nella sua autobiografia Eva raccontò che fu proprio in quel periodo che si sviluppò la sua avversione per “i ricchi”, per la carità che le veniva concessa dalle madri delle sue compagne di scuola ben nate e benestanti, alle quali era comunque proibito frequentarla.
Come si sviluppò la sua carriera nel mondo dello spettacolo?
Questo è uno dei periodi più discussi e controversi della vita di Eva Duarte che, appena ne ebbe il potere come “primera dama”, cercò di cancellarne tutte le tracce imbarazzanti, i ricordi e le testimonianze. Si sa che partì per Buenos Aires a 16 anni, sognando di diventare attrice. Adolescente, si era nutrita di sogni sfogliando le riviste che parlavano delle dive di Hollywood e, purtroppo per lei, non aveva dubbi sul proprio talento. Si scontrò con una realtà molto più dura, fatta di attese inutili, dinieghi, umiliazioni, e ricatti sessuali che, a metà degli anni Trenta, erano considerati normali pedaggi da pagare a registi e produttori teatrali. La solidarietà femminile nei camerini era quasi inesistente. Eva accumulò fame, solitudine, rancori. Non si sarebbe dimenticata, poi, di chi l’aveva aiutata né di chi l’aveva irrisa, ostacolata o snobbata. Qualche star della scena argentina, come Libertad Lamarque, sarebbe stata costretta a esiliarsi in Messico per continuare a recitare dopo l’ascesa di Evita alla Casa Rosada, nel 1946. Con Perón alla presidenza, quasi tutte le pellicole dei film in cui appariva la moglie, sparirono dalla circolazione. A Buenos Aires le porte del cinema si erano aperte per Eva non appena era diventata l’amante del suo già influente colonnello, ma lei stessa avrebbe ammesso anni dopo di essere stata un’attrice mediocre. Già a pochi mesi dall’incontro con Perón aveva scoperto “la razón de mi vida”, “la ragione della mia vita”, come avrebbe intitolato anche la sua autobiografia: dedicarsi ai poveri. E al successo politico del marito.
Come nacque la relazione tra Eva e Juan Domingo Perón?
Anche sul loro primo incontro le versioni sono tante. Quella ufficializzata da entrambi è che avvenne al principio del 1944 quando, il 15 gennaio, uno spaventoso terremoto distrusse la città di San Juan, nelle Ande, verso il confine con il Cile: fu calcolata una potenza al nono grado della Scala Mercalli e i morti furono almeno novemila. Nei mesi precedenti Eva Duarte si era fatta strada nel mondo radiofonico, interpretando piccoli drammi teatrali adattati a un mezzo in continua espansione. Era considerata una “raccomandata” dato che, molto probabilmente, aveva già una relazione importante negli ambienti militari, ma il suo nome cominciava a essere conosciuto al pubblico. Mentre il colonnello Perón, tra i protagonisti di un recente golpe, faceva parte del nuovo governo e, in qualità di Segretario del Lavoro, organizzò una raccolta di fondi per le vittime del sisma, appellandosi a imprenditori e artisti. Fu, ufficialmente, in occasione di un grande spettacolo allestito il 22 gennaio al Luna Park (un grande impianto genere Madison Square Garden) della capitale, che Eva riuscì ad avvicinare Juan Domingo e scoccò la scintilla. Non si può escludere che invece si fossero già conosciuti, ma quasi tutti i biografi concordano che, da quella sera, non si sarebbero più lasciati.
Che ruolo svolse Eva nella parabola politica del consorte?
Su un punto estimatori e detrattori di Evita sono d’accordo: l’immensa influenza che lei ebbe sulla fortuna politica di Juan Domingo Perón e sulle sue scelte di governo. Molto meno univoca è la ricostruzione del ruolo che Eva rivestì nell’ottobre 1945, quando il colonnello, caduto in disgrazia anche tra i suoi commilitoni per i suoi rapporti troppo stretti con i sindacati e anche per l’ingombrante presenza della giovane amante, fu costretto a dimettersi e poi rinchiuso per una settimana nel carcere dell’isola di Martín García, sul Rio de la Plata. La leggenda vuole che fu Eva, in quei giorni convulsi, a scatenare la reazione dei lavoratori, i “descamisados”, quei “senza camicia” che il 17 ottobre invasero Buenos Aires reclamando la liberazione di Perón. Ma pare più realistica la tesi di chi sostiene che furono i leader sindacali a organizzare la famosa marcia sulla Casa Rosada. Con la perdita del suo protettore, Eva infatti era stata automaticamente allontanata dalla radio e non aveva ancora rapporti così stretti con il mondo sindacale da poter fomentare una rivolta. Il risultato fu comunque l’ascesa trionfale al potere della coppia che, pochi giorni dopo, regolarizzò anche il suo legame davanti alla legge e, qualche mese più tardi, davanti all’altare.
Come nacque e si consolidò il mito di Evita?
In Argentina Evita fu la prima donna a partecipare attivamente alla campagna elettorale del marito. Aveva modificato il suo aspetto, il suo volto, l’acconciatura dei suoi capelli biondi. Il suo abbigliamento era sempre più studiato dal sarto personale, proprio come se lei si preparasse già a diventare un’icona. Si presentava semplicemente come la prima, “fanatica” sostenitrice di Juan Domingo Perón, ma la sua visibilità andava ben oltre il ruolo di musa del capo. Con Perón presidente, ne ereditò l’ufficio alla Segreteria del Lavoro pur non avendo diritto ad alcun ruolo governativo. Le sue giornate iniziavano all’alba e finivano a notte fonda: riceveva ogni giorno centinaia e centinaia di questuanti, quasi tutti poverissimi, ai quali elargiva lavoro, denaro, cure mediche, sostegno attingendo ai fondi pubblici e, appena poteva, anche a quelli privati. Poi girava per i quartieri più miserabili, ordinava la costruzione di scuole, ospedali, case di riposo. Rimpiazzò la secolare Società d Beneficienza, gestita da dame dall’alta società, con la propria fondazione, che finanziava con donazioni più o meno spontanee da parte di imprenditori e lavoratori. Fondò il ramo femminile del partito peronista. E le va riconosciuto che ottenne in meno di un anno il diritto di voto negato alle donne argentine fino al 1947. Giustificava il suo amore per i vestiti costosi, i gioielli e altri generi di lusso, spiegando che doveva essere bella per i suoi “descamisados” e che tutto quel bendidio era proprietà del popolo e sarebbe un giorno tornato al popolo. Era ovviamente detestata dai vertici militari e dalla buona società bonaerense.
Che periplo toccò alle spoglie di Eva Perón?
Per gli “oligarchi”, ovvero i nemici ufficiali di Evita, ma anche per molti intellettuali perseguitati dal regime, la sua morte precoce, causata da un tumore all’utero curato in grave ritardo, fu di evidente sollievo. Perón, rieletto nel 1951, era destinato a essere rovesciato nel 1955, tre anni dopo la scomparsa della moglie, del cui corpo aveva ordinato l’imbalsamazione. L’intervento, opera di un “mago” della mummificazione, l’anatomopatologo spagnolo Pedro Ara, era durato quasi un anno e l’obiettivo era quello di mantenere vivo il ricordo di Evita, rendendo il suo corpo, racchiuso in una teca di cristallo come quello della Bella Addormentata, accessibile alla venerazione del popolo nella sede del sindacato dei lavoratori, la CGT. Quando Perón partì in esilio, dapprima ospite di altri paesi dell’America Latina e poi in Spagna, dal dittatore Francisco Franco, i suoi successori si trovarono nell’imbarazzante dilemma di cosa fare delle reliquie: incenerirle? Seppellirle, come chiedeva la famiglia? Gettarle nel Rio de la Plata? Scioglierle nell’acido? In ogni caso, dovevano sparire. Il corpo fu prelevato verso la fine del 1955 con un blitz dei servizi segreti militari e non se ne seppe più nulla per sedici anni, durante i quali furono concepite le supposizioni più fantastiche. Ancora una volta leggenda e realtà, per Evita, si sono mescolate fino a rendersi indistinguibili. Per quasi due anni, fino al maggio 1957, la cassa passò di mano in mano e di nascondiglio in nascondiglio senza allontanarsi da Buenos Aires. Il cadavere, perfettamente conservato, fu certamente oggetto di macabra passione e di oltraggi, a seconda dell’indole di chi lo deteneva. E di una caccia senza tregua da parte dei peronisti, che volevano recuperarlo. Il governo presieduto da Pedro Eugenio Aramburu decise che Eva andava infine seppellita “cristianamente”, ma il più lontano possibile dall’Argentina. Furono presi accordi con il Vaticano e la salma partì sotto falso nome per l’Italia nella stiva del transatlantico Conte Biancamano. Per quattordici anni, dal suo arrivo fino alla fine di agosto 1971, quando fu riesumata, Evita riposò al cimitero Maggiore di Milano sotto una lapide che la identificava come Maria Maggi vedova De Magistris. Ma la lotta per riavere il suo corpo non era terminata: Aramburu ne pagò il prezzo con il sequestro e con la vita. Il primo settembre 1971, il sedicente fratello di Maria Maggi, in realtà un uomo dell’intelligence argentina, partì da Milano su un carro funebre dell’Impresa San Siro, condotto dall’autista Roberto Germani, fino a quel momento ignaro di tutto, per portare Evita a Madrid, dove l’attendeva Perón. Un avventuroso viaggio di due giorni attraverso l’Italia, la Francia e la Spagna di cui s’ignoravano finora i dettagli. L’ex primera dama fu relegata in un’ala della villa madrilena del marito, forse addirittura in soffitta, senza più tanti onori. Nel 1974 Perón, tornato trionfalmente alla Casa Rosada l’anno precedente, morì di infarto e, soltanto allora, la nuova moglie, Isabelita, che ne ereditò per poco tempo la presidenza, ordinò il rientro a Buenos Aires anche della salma di Eva. Nel 1976 la “madonna dei descamisados” fu finalmente sepolta, come voleva la famiglia, al cimitero della Recoleta. Tuttora meta quotidiana di centinaia di pellegrini.
Elisabetta Rosaspina, giornalista, ha lavorato alla «Notte», al «Giornale» e al «Corriere della Sera». Nel 2019 ha pubblicato per Mondadori la biografia di Margaret Thatcher, con cui ha vinto il premio Comisso