“Emilio Sereni, la guerra fredda e la «pace partigiana»” di Marco De Nicolò

Prof. Marco De Nicolò, Lei è autore del libro Emilio Sereni, la guerra fredda e la “pace partigiana” edito da Carocci: quando e come nasce il movimento internazionale dei Partigiani della pace?
Emilio Sereni, la guerra fredda e la «pace partigiana», Marco De NicolòIl movimento internazionale dei Partigiani della pace nacque a Parigi nell’aprile 1949, ma ebbe un “prologo” nel congresso degli intellettuali riuniti a Wroclav, in Polonia, nell’agosto dell’anno precedente. Il congresso di Wroclav era nato su un input dei dirigenti sovietici. L’Unione Sovietica intendeva mostrare come una parte autorevole degli intellettuali sosteneva la politica di pace che la dirigenza del Partito comunista sovietico aveva incluso nella sua propaganda internazionale. Quel congresso, a cui partecipò un’area intellettuale anche non direttamente riferibile ai Partiti comunisti, fu l’inizio di una riflessione più ampia rispetto ai fini politici che si erano posti i dirigenti sovietici. Dopo la presa di posizione degli intellettuali, era necessario fondare un movimento di massa più ampio, in grado di investire l’opinione pubblica e di mobilitare un più ampio arco di forze a favore della pace internazionale.

Quali erano le finalità del movimento?
Le finalità del movimento avevano più livelli: la mobilitazione contro la proliferazione nucleare e, poi, un incontro tra i leader delle maggiori potenze mondiali affinché si trovassero accordi in grado di scongiurare uno scontro tra i blocchi internazionali contrapposti. Ma vi era anche, in via secondaria, la possibilità di una diffusione del dibattito politico internazionale a livello di massa. Ovviamente, essendo animato principalmente dalle forze della sinistra, quel dibattito aveva inizialmente dei riferimenti scontati. Tuttavia, la universalità del tema coinvolse anche componenti religiose, politiche e culturali che non erano di sinistra e che ebbero sempre la possibilità di esercitare la libertà di parola. Il movimento, insomma, nato su input sovietico, si trasformò in una forza più ampia. Vennero coinvolti anche delegati di Paesi che stavano tentando di portare le proprie nazioni sulla via della decolonizzazione. Si trattò, insomma, di un movimento che, partito dalla contrarietà all’armamento atomico, si pronunciò anche su altre questioni di grande rilievo nella politica internazionale del tempo.

Quale ruolo vi ebbe Sereni?
Sereni fu l’inesauribile motore organizzativo del movimento dei Partigiani della pace nella sua partecipazione internazionale e nella costruzione della sua dimensione italiana. Responsabile, ancora per qualche anno, della commissione culturale del Pci, Sereni era un intellettuale conosciuto non solamente in Italia e aveva una rete di contatti con altri intellettuali, artisti e mondo politico vastissima. Parlava correntemente parecchie lingue e dunque era in grado di dialogare con tanti interlocutori. La scelta del Partito comunista di farne il proprio responsabile quando venne organizzato, prima, il convegno di Wroclaw e, poi, il movimento internazionale per la pace, era scontata. La meticolosità organizzativa e la sua inesauribile energia furono parte importante per la nascita del movimento internazionale e decisiva per l’organizzazione del movimento italiano. Poteva contare su un appoggio del suo partito e sulla adesione al movimento anche da parte del Partito socialista. Ma Sereni intese dare al movimento un vero carattere di massa. Se le strutture di riferimento, inizialmente, erano necessariamente quelle dei due partiti, del sindacato e delle associazioni collaterali, egli insistette sempre perché il movimento non crescesse con un condizionamento politico, ma che si ponesse come obiettivo la crescita di comitati in ogni parte d’Italia con la partecipazione di tutti coloro che intendessero aderire alle campagne per la pace, senza porre questioni di parte. In tal senso organizzò un Comitato nazionale, che di fatto patrocinava il movimento, con personalità di spicco e che non appartenevano alla sinistra. Particolarmente intenso fu il suo impegno nel dialogo con esponenti cattolici, come Giordani, Mazzolari e tanti altri. Quel dialogo, al di là dell’adesione o meno al movimento, ebbe un’eco importante nell’avvio di un dibattito sulla pace che si era imposto all’opinione pubblica in modo del tutto proprio al contesto italiano.

Quali erano i rapporti del movimento col PCI?
I rapporti tra il movimento e il Pci erano stretti, ma non esclusivi. Specialmente nelle sue fasi iniziali, come accennato, il movimento nacque soprattutto per una mobilitazione dei partiti della sinistra, e in particolare del Pci, che impegnò militanti per sostenerne l’avvio e mantenere nel tempo una partecipazione attiva a livello organizzativo. Tuttavia l’impegno che il partito conferì non sarebbe stato sufficiente a fare del movimento dei Partigiani della pace un riferimento per tanti militanti senza tessera che si impegnarono nelle campagne portate avanti. All’interno degli organi dirigenti del partito si discusse spesso del movimento e delle prospettive della pace internazionale, il partito finanziò in parte le iniziative del movimento. Ma esso divenne progressivamente un soggetto politico distinto dal Partito comunista e su questo Sereni ebbe particolare attenzione a diffondere presso i militanti comunisti un totale rispetto delle posizioni diverse da quelle espresse dal partito.

Di quali iniziative si fece promotore il movimento in Italia?
Le iniziative più importanti furono senz’altro le sottoscrizioni di petizioni per la pace successive agli incontri di Stoccolma e di Berlino, nel 1950 e nel 1951. Ai tavoli delle firme si fermarono milioni di italiani e la prima petizione, contro l’arma atomica, raccolse oltre 16 milioni di firme; quella successiva, che proponeva un incontro tra i leader delle potenze mondiali, raggiunse quasi 12 milioni. Si trattò dunque di campagne che coinvolsero una grande parte della popolazione. Il movimento organizzò incontri in tutto il territorio nazionale, feste, dimostrazioni di piazza e petizioni popolari che portò in Parlamento attraverso i rappresentanti dei partiti che più lo sostenevano.

Come si articolarono le campagne per la pace promosse dal movimento?
Le campagne per la pace furono organizzate soprattutto dai Comitati sorti in Italia. Erano sorti, nel momento più alto del movimento, oltre 12.000 comitati. Questi organismi furono la base per la raccolta delle firme, spesso ostacolata dalla forza pubblica e osteggiata dal governo. La forza dei comitati risiedeva nella capillarità e nella mobilitazione di giovani e di donne che organizzarono in più luoghi dei comitati più ristretti, sul luogo di lavoro e nei quartieri in cui abitavano. Ma non bisogna dimenticare che in alcune città vi furono anche adesioni importanti di associazioni e di personalità che davano un’ulteriore credibilità al movimento come parte genuinamente interessata alla pace internazionale e alla convivenza tra blocchi contrapposti. Le campagne trovarono poi forme nuove di mobilitazione: non solo la “chiamata” ai tavoli per le firme per le petizioni citate, ma anche forme festose di partecipazione, gadget, rappresentazioni teatrali. Si trattò di un movimento che visse certamente anche di incontri, di convegni e di comizi, ma che dalla mobilitazione di piazza, alla piccola discussione di quartiere, passando per i livelli istituzionali locali e nazionali, non lasciò nulla di intentato per discutere degli argomenti di cui era portatore.

Quale eco suscitò il movimento nella società italiana del tempo?
Tra la fine degli anni Quaranta e la metà degli anni Cinquanta il Paese era immerso nel contesto politico della guerra fredda. Le campagne per la pace misero in evidenza la disponibilità di soggetti nuovi, come i giovani e le donne al movimento, sottolinearono come un tema universale com’era quello della pace, riusciva a destare l’attenzione in un Paese che si era appena messo alle spalle le inquietudini della guerra precedente. Sono fermamente convinto che, al di là dell’input iniziale, dettato dagli interessi della dirigenza sovietica, il movimento ebbe un suo corso “italiano” autonomo. Via via che il movimento si formava e cresceva, il dibattito su temi di politica internazionale investì cittadini di ogni orientamento. Per molta parte degli italiani si trattò di una prima alfabetizzazione politica e, in ogni caso, fu uno dei rari momenti nella storia d’Italia, in cui i temi internazionali furono così diffusamente dibattuti. Inoltre il movimento coglieva un momento e una condizione particolare: con la guerra da poco cessata, con la distruzione e i lutti che essa aveva portato, il timore di un eventuale conflitto ancora più distruttivo era un tema sentito da parte di milioni di italiani. Il movimento per la pace sembrava sovvertire il motto “se vuoi la pace prepara la guerra” in un più comprensibile “se vuoi la pace, prepara la pace”. E molti milioni di italiani parteciparono in modo convinto alla preparazione della pace. Fecero sentire la loro voce, uscirono dalla rassegnazione e dalla passiva attesa di una guerra possibile, espressero una volontà politica che andava al di là degli schieramenti di parte.

Marco De Nicolò è professore associato di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Cassino

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