
Come si articolò la formazione politica di Eleanor Roosevelt?
Eleanor Roosevelt era esponente di una delle famiglie ‘aristocratiche’ di New York, nipote del presidente Theodore Roosevelt, prima di diventare moglie di Franklin Delano Roosevelt. La sua era una famiglia ‘politica’ per eccellenza. La sua formazione politica, per certi versi, è stata parte della sua crescita educativa. Come molte ragazze delle élite anglo-americane, Eleanor venne inviata a studiare in una scuola privata, ad Allenswood nei pressi di Londra, diretta da una donna colta, vicina ai circoli laburisti e femminista, come Marie Souvestre. La sua crescita politica fu dovuta in parte a un’esperienza giovanile compiuta nella settlement house di Rivingston Street, e collaborando alla National Consumer’s League – un’organizzazione che si occupava non solo della tutela dei consumatori, ma delle condizioni della produzione, in particolare delle condizioni delle donne lavoratrici – e poi partecipando alle iniziative delle associazioni femminili impegnate nella politica cittadina, nella League of Women Voters, nella Women Trade Union League, nei gruppi pacifisti e sempre più all’interno del partito democratico di New York, soprattutto dopo che Franklin D. Roosevelt, colpito dalla poliomielite, fu costretto ad allontanarsi momentaneamente dalla vita politica attiva. Il suo ruolo, all’interno del partito democratico, tuttavia divenne subito di grande spessore, impegnandosi nel lavoro di mobilitazione del voto femminile e di promozione della rappresentanza delle donne all’interno del partito
Quale impegno caratterizzò gli anni da First Lady?
Prima di tutto Eleanor Roosevelt innovò il ruolo di first lady. Anche se la storia di questo ruolo risale alle origini della repubblica – grazie all’azione delle prime first lady, Martha Washington, Abigail Adams e Dolley Madison – è soprattutto con Eleanor Roosevelt che il ruolo manifesta tutta la sua potenzialità dentro la crescita della struttura presidenziale e dentro la sfera pubblica e politica. Il compito che Franklin D. Roosevelt le affidò inizialmente, quello di visitare i luoghi dell’America scossa dagli effetti della crisi economica, le permise non solo di essere ‘gli occhi e le orecchie’ del presidente, ma divenne il grimaldello per costruire una propria agenda politica che riguardava temi come i diritti delle donne, con particolare riferimento al loro accesso al lavoro soprattutto per le donne sposate e ai programmi di assistenza promossi dal New Deal, l’attenzione ai giovani, e i diritti degli afro-americani, incluso il suo impegno a favore di una legge contro i linciaggi che non riuscì però ad avere esito in Congresso. Uno dei progetti su cui spese il suo capitale politico fu la creazione di Arthurdale, un vero e proprio esperimento di costruzione di comunità, destinato ai minatori poveri della West Virginia. Nel corso degli anni Trenta, tuttavia, Eleanor, oltre alle questioni di politica interna, divenne un punto di riferimento per quel crescente movimento internazionalista che guardava con preoccupazione ciò che stava succedendo in Europa (e anche in Asia). Il tema dei rifugiati ebrei e le pressioni per allentare le strettissime maglie della legge sull’immigrazione per favorire l’ingresso degli ebrei perseguitati in Europa divenne uno dei terreni più significativi del suo impegno politico, anche se spesso sottotraccia. Infine non deve essere sottovaluto l’impegno rispetto alla comunicazione politica. Eleanor Roosevelt decise di organizzare conferenze stampa a cui erano ammesse solo le donne giornaliste per evitare che queste ultime venissero licenziate dai giornali in crisi; dal 1935 tenne una rubrica quotidiana, My Day, che ebbe una circolazione amplissima e che mantenne fino alla sua morte, nel 1962, che divenne sempre più occasione per esporre le sue idee e agire come fattore di pressione sull’opinione pubblica e anche sull’amministrazione. Rubriche su riviste e trasmissioni radiofoniche costellarono la sua attività, contribuendo alla crescita della sua fama e alla sua statura pubblica e politica.
Quale visione ispirava il liberalismo di Eleanor Roosevelt?
Eleanor Roosevelt non era una teorica, le sue riflessioni risentono più che di specifiche elaborazioni teoriche, delle esperienze e dell’attivismo dei gruppi riformatori e progressisti che costituivano i suoi interlocutori privilegiati. Per certi versi, la sua visione risentiva di quello che era stato un vero e proprio laboratorio di riflessione e di sperimentazione, vale a dire quel dibattito politico e intellettuale che a partire dagli inizi del Novecento, stava reinterpretando il liberalismo, per vedere con favore un ruolo riequilibratore dell’azione statale; un liberalismo che poneva l’accento sulla possibilità di coniugare diritti individuali e giustizia sociale. Il punto culminante di questo percorso fu il discorso sulle quattro libertà di Franklin D. Roosevelt, che Eleanor aveva già delineato in My Day. Nelle posizioni di Eleanor Roosevelt vi erano gli echi della riflessione sulla democrazia portata avanti da Jane Addams, Herbert Croly e John Dewey, ma anche da quel progressismo transatlantico che univa intellettuali americani come Dewey a esponenti britannici come Harold Laski, Beatrice Potter Webb e Sidney Webb.
Qual era il pensiero della Roosevelt sulla guerra e la sfida internazionalista?
Fin dagli anni Venti Eleanor aveva stabilito un rapporto molto forte con figure del pacifismo femminile come Jane Addams e Carrie Chapman Catt e il National Committee on the Cause and Cure of War. Nel 1924 era stata fra le organizzatrici del Bok Peace Prize Contest e una delle sostenitrici dell’ingresso degli Stati Uniti nella World Court, facendo opera di mobilitazione e di lobbying nei confronti di un Senato tutt’altro che disposto a impegnare gli Stati Uniti nell’ambito internazionale. Nel 1935 assieme a Rose E. Young e a Carrie Chapman Catt, fra le altre, aveva contribuito al volume Why War Must Cease. Nel 1938, tuttavia, Eleanor pubblicò This Troubled World in cui attenuò le sue posizioni pacifiste, si definì una pacifista realista per sostenere che di fronte alla minaccia nazista, la difesa della democrazia avrebbe potuto anche consentire l’uso delle armi in una guerra difensiva. Eleanor divenne sempre di più un punto di riferimento per i gruppi internazionalisti che ritenevano necessario non perdere la ‘seconda occasione’ per una ridefinizione democratica dell’ordine internazionale, dopo quella persa nel 1919 con la sconfitta progetto di Woodrow Wilson. Eleanor stabilì un rapporto di collaborazione con Clark Eichelberger, uno dei fondatori nel 1939 della Commission to Study the Organization of Peace. Il rapporto di collaborazione continuerà, dopo la guerra, soprattutto in relazione all’organizzazione creata da Eichelberger, la American Association for the United Nations.
Quale ruolo dovevano rivestire le Nazioni Unite nel pensiero della First Lady?
Le Nazioni Unite costituivano il fulcro di quella ridefinizione dello spazio internazionale in senso democratico, coerente con la visione rooseveltiana condivisa da Eleanor. Per certi versi anche per lei occorreva non disperdere la seconda occasione di portare avanti gli ideali wilsoniani. Le Nazioni Unite avrebbero dovuto costituire lo spazio privilegiato entro il quale costruire delle forme di dialogo e di collaborazione, la possibilità di risolvere politicamente conflitti e tensioni che altrimenti avrebbero trovato nella guerra lo strumento di risoluzione. È all’interno di questa prospettiva che deve essere interpretato anche l’importanza che assegna all’affermazione dei diritti umani. D’altronde, il tema dei diritti umani era stato un punto cardine dell’agenda dei gruppi internazionalisti e di quelli femminili in particolare. La battaglia sui diritti umani era l’esito della individuazione delle ‘quattro libertà’ – di parola, di religione, dal bisogno e dalla paura – ‘qui e nel mondo’, ad opera di Franklin Delano Roosevelt. D’altronde anche nel caso di Eleanor Roosevelt l’ambito politico interno era strettamente connesso a quello internazionale. La democrazia in un paese non poteva sopravvivere se non in un contesto internazionale altrettanto democratico. Gli Stati Uniti, di conseguenza, avrebbero dovuto diventare un modello di riferimento per quei paesi e quei movimenti che si stavano battendo contro il colonialismo. Tuttavia, la posizione di Eleanor Roosevelt era politica e non banalmente idealista. Da un lato, divenne sempre più consapevole che occorresse affermare l’egemonia americana dentro lo schema bipolare e questo significava accettare compromessi e mediazioni, dall’altro era altresì consapevole che l’egemonia americana era fortemente messa in discussione dalle contraddizioni razziali e dall’esistenza della segregazione. Da questo punto di vista, la sua posizione differiva da quella di chi, in nome dell’anticomunismo, rimuoveva il tema della ‘linea del colore’, come pure di chi considerava il mondo comunista come ‘Altro’ totalitario. Rafforzare le Nazioni Unite significava quindi tutelare e garantire l’unico spazio dove era possibile far prevalere le logiche della politica contro quelle del mero scontro militare.
Qual è l’eredità politica di Eleanor Roosevelt?
Credo che l’eredità politica di Eleanor Roosevelt sia legata a una stagione politica che sembra ormai lontana anni luce dall’attuale stato del dibattito statunitense e che continua ad essere vista come uno dei momenti di più significativa apertura della democrazia americana. Pur con le contraddizioni di un liberalismo che non seppe in realtà dare risposta alla frattura razziale, il New Deal dimostrò che forse vi potevano essere le condizioni per pensare a un allargamento degli spazi di partecipazione democratica e alla possibilità di coniugare libertà politica e redistribuzione sociale. La sua figura è anche simbolo del contributo della cultura politica delle donne, di una leadership femminile in grado di muoversi fra attivismo sociale, politica partitica e azione istituzionale.
Raffaella Baritono è professoressa ordinaria di Storia e politica degli Stati Uniti presso il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Università di Bologna. Fa parte del comitato di direzione delle riviste “Ricerche di Storia politica” (di cui è stata anche co-direttrice), “Il Mulino” e del comitato di redazione di “Scienza&Politica”. È membro del comitato direttivo dell’Associazione Il Mulino. È stata presidente della Società Italiana delle Storiche. Si occupa di storia politica degli Stati Uniti e di storia e cultura politica delle donne.