“«Ei fu». Vita letteraria di Napoleone da Foscolo a Gadda” di Matteo Palumbo

Prof. Matteo Palumbo, Lei è autore del libro “Ei fu”. Vita letteraria di Napoleone da Foscolo a Gadda edito da Salerno: quando e come Napoleone diventa in Italia un tema letterario?
«Ei fu». Vita letteraria di Napoleone da Foscolo a Gadda, Matteo PalumboNell’immaginario letterario italiano Napoleone passa direttamente dalla cronaca alla leggenda. Indossa i panni del giovane eroe, che con le guerre e le vittorie apre un tempo nuovo nella storia del mondo. Napoleone si trasforma subito, dunque, in un giovine Eroe. Ma che cosa significa eroe? Gli eroi, dice Hegel nell’Estetica, «fanno ciò che è giusto ed etico», ma non è solo questo il carattere che li rende memorabili e immortali. Hegel aggiunge che «divengono essi stessi fondatori di stati, cosicché diritto e ordine, legge e costume provengono da loro e si realizzano come loro opera individuale, che rimane loro associata. In tal senso fu Ercole glorificato dagli antichi, per i quali fu un ideale di originaria virtù eroica». L’eroe, di cui Ercole è figura, fonda gli stati. Genera diritto e ordine. Dona legge e costume. Afferma la vittoria dell’umanità contro il mostruoso di ogni vizio, privato e collettivo. Queste gesta ideali e concrete hanno l’impronta dell’individuo che agisce. Sono il riflesso del suo coraggio e della sua determinazione. Per l’insieme di questi doni di cui è dispensatore, il singolo uomo può assurgere alla gloria di un Dio.

Napoleone appartiene a questo paradigma di guerriero e di sovrano. Il predicato che lo caratterizza è quello del salvatore: Napoleone o il mito del salvatore, come titola in maniera eloquente uno dei massimi studiosi del Generale, Jean Tulard. Quando arriva in Italia, Napoleone rappresenta anche un altro valore. Porta con sé la responsabilità ideale della grande rivoluzione del 1789. Le parole d’ordine del suo vangelo si incarnano nel cammino che egli prende e che conduce verso il trionfo della libertà, come lo chiamerà un giovanissimo Alessandro Manzoni.

Perché Napoleone diventi leggenda, occorre che sia assimilato a eroi riconosciuti. Sono loro a segnare il passaggio da un livello a un altro.

Come viene ritratto il Generale?
I due dipinti più famosi che ritraggono il generale nella sua campagna d’Italia sono una testimonianza eloquente del carattere ideale che egli incarna. Antoine-Jean Gros e poi Jacques-Louis David contribuiscono in maniera esplicita a rappresentare la fama di guerriero e di vincitore. Soprattutto nel caso del dipinto di Gros, Napoleone ha in mano un vessillo ed ha l’aspetto di un giovane etereo, perfino inadatto alle asprezze della guerra. Appare simile a un angelo, che guida i popoli verso un’esistenza migliore. Ci sono poi le rappresentazioni letterarie. In questo ambito Monti acquista un ruolo capitale. Nella tradizione della poesia italiana Monti racconta Napoleone adattandogli le figure dei civilizzatori paradigmatici: Ercole e Prometeo. La risorsa offerta dalle storie antiche serve a Monti per rendere memorabile un evento. La mitologia è la grammatica stessa della poesia. Rende poetico qualunque fatto dell’esistenza. Lo abbellisce. Lo rende dicibile nel modo più solenne. Tanto più questo processo accade con Napoleone. Con i suoi eserciti camminano le idee della Rivoluzione francese. Perciò Napoleone è la luce che disperde le tenebre. Con lui risorge la Giustizia. Non c’è più il mondo della servitù ma riappare l’aurora della libertà riconquistata. Perciò è il simbolo di una vita e di una storia che ricominciano. E per questo annuncia un altro inizio. Monti lo esalta come un eroe impavido e vittorioso, legislatore provvidenziale e necessario. Ugo Foscolo, quando ancora pensava di poter dialogare con Napoleone prima di scoprilo come un astuto tiranno, riassume i tratti che fanno del Generale un fatto nuovo e sorprendente nella storia d’Europa. Le imprese passate sono riprese come le tappe che hanno edificato la sua celebrità. Tutte insieme formano le facce che la figura di Napoleone contiene. Il poeta è il portavoce di un’estesa collettività. Napoleone è simultaneamente l’«invincibile Capitano», il «Legislatore filosofo», il «Principe cittadino». È insieme Prometeo ed Ercole. Proprio per queste responsabilità ha il dovere di salvare il governo della rivoluzione e mantenerlo in vita.

Perché questo sistema di idee e di linguaggio entri in crisi ci vuole lo scontro con la ferocia della storia. L’illusione della rinascita cadrà a pezzi e comincerà il doloroso viaggio attraverso la disarmonia del mondo. A questo punto la temperatura delle passioni si abbassa o cambia di segno. Davanti a delusioni e tradimenti il punto di vista si modifica drammaticamente. Le Ultime lettere di Jacopo Ortis nasceranno da questa consapevolezza.

Cosa rappresenta Bonaparte per Manzoni?
Manzoni fa dell’Imperatore esiliato un racconto esemplare, che riguarda non la gloria militare, ma appunto il senso della morte e il modo di affrontarla.

L’idea del Cinque maggio nasce da questi principi. Il corso della storia può essere un fenomeno appariscente, che cela la verità segreta della vita. Partendo dall’epilogo, si può invece intendere il nucleo autentico dell’esperienza degli uomini. L’obiettivo, come avrebbe potuto volere un grande predicatore e moralista del XVII secolo della forza di Bossuet, consiste nel condurre i signori della terra dinanzi al tribunale del cielo e solo a quel punto emettere la sentenza sul comportamento che hanno mantenuto.

La morte di Napoleone marca in modo prepotente l’avvio Cinque maggio. Il personaggio, per quanto sia stato grande, ora è diventato unicamente materia: rigida, inanimata, senza nessun ricordo di ciò che era prima. Quel residuo che permane, come si dice poco dopo, è solo una spoglia.

Per Manzoni la morte è diventata il tema poetico: il punto di vista da cui osservare l’avventura militare e politica di Napoleone. In vita Napoleone si è arrogato l’autorità di decidere tra due concezioni ideali antagoniste, in lotta l’una contro l’altra. Nella contesa tra due secoli si è attribuito la funzione di giudice. Dell’esistenza di Napoleone, tuttavia, conta soprattutto l’atto finale. Il cambio di rotta arriva improvviso. L’autorità, il potere, i domini crollano. Sono annientati. Il più grande Signore dell’universo è spinto nella solitudine e nell’ozio.

Lo spazio privatissimo della coscienza, faccia a faccia con sé stessa, diventa a questo punto il centro esclusivo dell’ode. Lo sguardo del poeta scruta la dinamica drammatica del soggetto in balia dei suoi ricordi e ne fa rappresentazione. La similitudine del naufrago, che l’onda del mare rischia di travolgere, esplora la regione più remota della psicologia individuale e si fa rivelazione dello sconforto il cui l’antico eroe sta precipitando.

Per Napoleone le memorie della grandeur di una volta sono solo la via alla disperazione. Nessuna consolazione viene dalle glorie vissute in mezzo alle battaglie. Il passato di condottiero è diventato cenere e a nulla vale provare a mantenerlo in vita con le parole. Lo strazio del ricordo è più acuto di ogni rimedio. La vita tramonta e non lascia nessuna illusione. La disperazione sembra inevitabile. Conclude la discesa agli inferi del Signore più potente, che tutto ha provato.

Recluso a Sant’Elena, conosce l’altro volto di Prometeo e affronta il dolore, la solitudine, la pena. Nell’Ode a Napoleone Bonaparte, d’altra parte, Byron aveva annunciato: «tu [novello Prometeo] sei condannato a divorare il tuo cuore».

Tuttavia, proprio nel momento dell’angoscia più violenta, qualcosa accade. Un sentimento di altra natura si offre a questo Napoleone afferrato dal rimpianto del tempo perduto. Nella tensione estrema, un pensiero di altra specie soccorre. Non ha niente a che fare con la gloria del mondo, ma dà una ragione alla vita che resta. I principi del cristianesimo non costituiscono un catalogo di precetti, ma indicano una scelta, un principio a cui affidarsi. L’alternativa che la fede offre neutralizza il rimpianto e il risentimento. Propone un rimedio all’angoscia e all’ingiustizia. Disperde dalle stanche ceneri ogni ria parola. Che anche Napoleone, l’uomo del fato, abbia seguito la direzione che suggerisce, è per Manzoni la conferma vistosa della sua potenza.

Quale interpretazione dà Svevo del fenomeno napoleonico?
Svevo utilizza la memoria di Napoleone in alcune novelle (in particolare in una intitolata Il malocchio) e nella Coscienza di Zeno. In questo secondo caso, i riferimenti definiscono in maniera chiarissima il processo di adattamento che il personaggio attraversa. Napoleone è ormai inserito in un clima che non ha nulla di sublime, ma è contrassegnato dal primato della quotidianità. Il primo elemento da sottolineare è legato al riuso del Cinque maggio. Il rapporto con Napoleone non ha però nessuna implicazione illustre. Svevo sceglie la data per segnare il tentativo di distacco di Zeno da casa Malfenti: un tentativo che non ha nessuna serietà o irreversibilità e che è messo in discussione appena meditato. Il rapporto tra il giorno della morte di Napoleone e il mediocre risentimento amoroso di Zeno non può essere più squilibrato e ironico. Quella data simbolica e leggendaria è solo un raffronto automatico della memoria, che collega due eventi incomparabili. Napoleone non ha la sua identità epica ed eroica: recuperata come un’esperienza possibile e concretamente imitabile. Al contrario, «si può somigliare a Napoleone restando molto ma molto più in basso». Il contesto in cui la virtù individuale si manifesta è ora espresso dalla famiglia borghese. Nello spazio della sua esistenza e dei valori che la animano, l’esempio più entusiasmante è indicato dalla carriera di Napoleone. L’immaginazione di un’ascesa così vertiginosa non ha naturalmente niente a che fare con la prassi della vita quotidiana. Il paradigma di Napoleone funge come paradigma del risultato che davvero conta: il successo e il benessere borghese.

Quale rilettura offre, di Napoleone, Calvino nel Barone rampante?
Calvino, nel Barone rampante, introduce Napoleone addirittura come un personaggio, che visita Cosimo ai piedi del suo albero e imbastisce con lui una commedia squisita di galanteria e di buone maniere. I due interlocutori sono perfino paragonati a Diogene e Alessandro Magno, che si rendono omaggio. Anzi, come nel caso dell’incontro antico, anche in questo caso il potere militare si tira indietro davanti alla sapienza. Napoleone arriva ad affermare che avrebbe voluto essere il cittadino Cosimo se non fosse stato l’imperatore.

Quando la vicenda di Cosimo avvia a concludersi e Napoleone ha conosciuto la sconfitta della Russia, il quadro assume le tinte di un tramonto malinconico. Napoleone ha perduto. La storia che si incarnava in lui si è arrestata. Eppure, sopravvive il desiderio di una rinascita, nel cui calore il gioco del mondo si riattivi e le parole d’ordine dell’inizio abbiano ancora un valore. Questi almeno, senza dubbio, sono «i sogni, le speranze di Cosimo»: «ricominciamo da capo, rialziamo gli Alberi della Libertà, salviamo la patria universale». Questa attesa mantiene in piedi il sentimento di un futuro ancora possibile, all’insegna di quell’Illuminismo che non muore mai.

Matteo Palumbo è Professore ordinario di Letteratura italiana presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II

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