“Ei fu. La morte di Napoleone” di Vittorio Criscuolo

Prof. Vittorio Criscuolo, Lei è autore del libro Ei fu. La morte di Napoleone edito dal Mulino. La morte di Napoleone, il 5 maggio 1821, rappresentò un evento epocale: in che modo ha segnato l’immaginario dei suoi contemporanei e ben oltre l’Ottocento?
Ei fu. La morte di Napoleone, Vittorio CriscuoloNon sembra che la notizia abbia suscitato all’inizio grande emozione. I suoi nemici pensarono, sbagliando, che fosse la definitiva chiusura di un’epoca, mentre nella stessa Francia, dove pesava ancora negli ambienti intellettuali e nelle classi dirigenti la condanna del suo dispotismo e della sua smisurata ambizione, le reazioni furono fredde, quando non ostili. Ben diverso fu invece l’atteggiamento degli ambienti popolari che, vedendo messe in pericolo dal ritorno sul trono dei Borbone le conquiste della rivoluzione, fin dal 1815 avevano rimpianto l’età napoleonica e rivalutato la figura di colui che consideravano il padre del popolo e del soldato. Dopo la sua morte, nel giro di pochi anni, il fascino della figura di Napoleone si impose al mondo della cultura e dell’arte, e la data del 5 maggio divenne un’occasione ricorrente per rievocare la sua straordinaria esistenza. Le celebrazioni di quell’evento, nella letteratura, nell’arte e nella storiografia, hanno seguito naturalmente le diverse posizioni di fronte al modello bonapartista. In Francia quella eredità ha alimentato l’orgoglio nazionale ed anche le esaltazioni nazionalistiche, oltre che le aspirazioni ad un governo forte e centralizzato: le istituzioni della Quinta Repubblica recano un’impronta tipicamente bonapartista. Più in generale alcuni storici di orientamento conservatore hanno esaltato Napoleone come uomo d’ordine, che aveva avuto il merito di chiudere l’età rivoluzionaria, mentre altri hanno messo in luce le contraddizioni e le ambiguità della sua politica, legata da un lato all’eredità della rivoluzione, volta dall’altro a restaurare, sia pure in forme nuove, la monarchia e la nobiltà.

Sulle cause della morte di Napoleone sono state fatte molte illazioni: di cosa morì l’imperatore dei francesi?
I risultati dell’autopsia, eseguita dal suo medico, il corso Antonmarchi, alla presenza di medici inglesi, non lasciano dubbi: egli morì per un cancro allo stomaco. La pubblicazione di questo documento mise a tacere le voci su un presunto avvelenamento che già si erano levate fra i contemporanei. La tesi dell’avvelenamento è stata ripresa negli anni Sessanta del secolo scorso ed ha avuto un notevole impatto mediatico. Essa si fonda sul rinvenimento di tracce di arsenico su alcuni capelli di Napoleone, ma gli scienziati non hanno raggiunto alcuna conclusione certa circa le cause e soprattutto sul legame fra questa circostanza e la morte. Si tratta di un’ipotesi non suffragata da alcuna prova. Si è anche parlato di una sostituzione del corpo di Napoleone da parte degli inglesi: nel tombeau degli Invalides ci sarebbe il corpo di Cipriani, uno dei compagni di esilio morto a Sant’Elena nel 1818, mentre i resti di Napoleone sarebbero in un luogo segreto in Inghilterra. Questa tesi, del tutto priva di fondamento, ha ispirato anche alcune opere cinematografiche che hanno contribuito a divulgarla presso il grande pubblico. Qualcuno ha anche ipotizzato un’analisi dei resti di Napoleone con la tecnica del DNA, ma la proposta di riaprire il tombeau non è stata presa in considerazione.

Come trascorse Napoleone i sei anni di vita sull’isoletta sperduta?
Napoleone già durante il viaggio verso Sant’Elena organizzò la sua giornata in modo da dedicare la maggior parte del suo tempo a dettare ai suoi compagni i resoconti delle sue campagne militari ed altre opere, fra le quali una ricostruzione delle guerre di Cesare. I limiti imposti dalle autorità inglesi ai suoi spostamenti nell’isola e la costante sorveglianza alla quale fu sottoposto gli impedirono di dedicarsi, come avrebbe voluto, alle lunghe cavalcate alle quali era abituato, e accrebbero la noia e la tristezza delle giornate, rese ancor più penose dal clima umido e nebbioso dell’altopiano sul quale era situata la sua residenza. Una risorsa importante fu la lettura, sua passione fin dagli anni giovanili: la biblioteca messa insieme nell’isola superò i 3500 volumi. Nonostante i momenti di malumore o di abbattimento, egli fu fermo fino all’ultimo nella volontà di denunciare alla opinione pubblica mondiale le ingiuste condizioni impostegli dal governo inglese, aggravate dall’ottusità del governatore Hudson Lowe; inoltre egli perseguì con lucidità il tentativo di presentare la propria esperienza politica come favorevole agli ideali liberali e nazionali conculcati dalle potenze che lo avevano sconfitto.

Cosa stabilì Napoleone nel suo testamento?
Napoleone si preoccupò innanzitutto di accreditare la legittimità e la continuità della dinastia che aveva fondato, e per questo motivo parlò in termini positivi della seconda moglie Maria Luisa, che pure lo aveva abbandonato politicamente nel 1814, raccomandandole di impegnarsi, in quanto imperatrice dei francesi, a garantire l’eredità del figlio. Egli non lasciò nulla del suo patrimonio alla sua famiglia ed al figlio, che sapeva prigioniero di fatto a Vienna. Pensò innanzitutto ai suoi compagni di esilio, fra i quali privilegiò in particolare Montholon, e poi lasciò somme di denaro a quanti gli erano stati fedeli e ai figli o agli eredi di coloro che erano morti in battaglia o erano stati perseguitati dopo il ritorno dei Borbone sul trono. Ma il testamento è anche una testimonianza della sua volontà di pagare tutti i debiti di riconoscenza che aveva contratto nel corso della sua vita, a partire dai primi anni trascorsi nella sua isola natale. Egli si preoccupò anche dei due figli naturali avuti da una dama di compagnia della sorella Carolina e dalla polacca Maria Walewska. Infine predispose un lascito collettivo ai soldati delle sue armate e alle zone della Francia che avevano sofferto per l’invasione straniera, per una somma enorme che in realtà non era più a sua disposizione. Solo dopo l’ascesa al potere del nipote Napoleone III fu possibile onorare, in minima parte, questi lasciti collettivi, ma la maggior parte dei reduci dovette accontentarsi di una “medaglia di Sant’Elena”.

Quando e come nacque la leggenda di Napoleone?
Il 1814 fu l’anno della leggenda nera, nel quale non solo l’Europa intera ma anche la Francia si scagliarono contro il tiranno e il conquistatore. Ma i Cento giorni e poi il ritorno dei Borbone nel 1815 segnarono una svolta irreversibile, dando avvio alla leggenda. Il mito di Napoleone si affermò fin da allora nelle classi popolari, e rimase sempre vivo negli anni seguenti. Lo testimonia il vero profluvio di opuscoli, dialoghi, orazioni funebri, poesie, canzoni, stampe che apparvero nei mesi immediatamente successivi all’arrivo in Europa della notizia della sua morte. Molto importante fu anche l’abilità di Napoleone nel presentarsi agli occhi dell’opinione pubblica mondiale come vittima della crudeltà del governo inglese, che aveva rifiutato la sua richiesta di ospitalità. Questo suscitò un generale moto di commiserazione per la sorte infelice che gli era stata riservata. Ma soprattutto fu decisiva la straordinaria fortuna di Napoleone nella letteratura e nell’arte dell’età del romanticismo. Vi è in questo qualcosa di paradossale: egli era un uomo di formazione settecentesca, freddo e razionale nelle sue scelte, amante dell’arte e della letteratura neoclassica, ma rappresentò agli occhi della generazione romantica la figura dell’eroe, deciso ad imporre la sua volontà contro ogni ostacolo, pronto a superare ogni limite per seguire fino in fondo lo straordinario destino che la storia gli aveva assegnato. Quando lo vide a Jena nel 1806, Hegel lo considerò l’incarnazione dello spirito del mondo. I giovani ispirati dalla nuova cultura romantica videro in lui un esempio vivente dell’individualismo e dell’eroismo che animavano i loro slanci ideali, frustrati nella cupa e meschina realtà dell’Europa della Restaurazione. Da allora, in forme diverse, la leggenda napoleonica ha attraversato e improntato di sé tutte le generazioni successive fino ai nostri giorni.

In che modo il «Memoriale» pubblicato da Las Cases nel 1823 ne rafforzò il mito?
Espulso da Sant’Elena alla fine del 1816, Las Cases si vide sequestrato dal governatore Lowe il manoscritto del memoriale, che gli fu restituito solo dopo la morte di Napoleone. Egli allora rielaborò quel testo pubblicando nel 1823 il Memoriale, che ebbe uno straordinario successo. Fino a qualche anno fa disponevamo del solo testo a stampa, ma il recente ritrovamento presso la British Library di Londra di una copia del manoscritto originario ci consente ora di ricostruire nelle linee generali il processo di elaborazione dell’opera a stampa. Dal confronto risulta evidente che Las Cases ampliò e rielaborò i suoi appunti, adattandoli alla situazione politica europea, che era molto cambiata nei sette anni trascorsi. Molte espressioni celebri dell’opera (ad esempio “io sono il messia della rivoluzione”) non figurano nel manoscritto e sono evidentemente opera di Las Cases, il quale realizzò con abilità una grande operazione di propaganda politica a sostegno del bonapartismo e della dinastia, rappresentata dal piccolo Napoleone II, prigioniero a Vienna. Sappiamo quindi che con ogni probabilità molte espressioni attribuite a Napoleone non sono uscite in realtà dalla sua bocca. Si pone a questo punto il problema: qual è stato il ruolo di Las Cases? In realtà il Memoriale corrisponde in larga misura alla strategia che lo stesso Napoleone aveva perseguito a Sant’Elena: presentarsi al mondo come incarnazione dei valori della rivoluzione e come difensore dei principi liberali e nazionali ignorati dal congresso di Vienna, in modo da guadagnarsi la simpatia di tutte le forze ostili al clima politico e culturale dell’età della Restaurazione. Era del resto una strategia che veniva da lontano, già delineata dopo il disastro russo e attuata con le scelte politiche compiute durante i Cento giorni.

Cosa significò per la Francia il ritorno delle sue ceneri a Parigi nel 1840?
Il ritorno delle ceneri fu determinato innanzitutto dalla volontà della monarchia orleanista di rafforzare il consenso della pubblica opinione nei suoi confronti sfruttando l’enorme popolarità di Napoleone. Fu anche l’occasione per una fiammata di spirito patriottico, alimentata in quei mesi da una crisi politica legata al problema dell’Egitto che portò ad una forte ripresa dei sentimenti antibritannici nella popolazione. I rischi dell’iniziativa furono sottovalutati perché, essendo morto il figlio di Napoleone ed essendo stato imprigionato il nipote, il futuro Napoleone III, i bonapartisti sembravano privi di una guida autorevole. In realtà molti osservatori misero in luce quanto fosse pericoloso per le sorti del regime l’avere stabilito a Parigi la tomba di Napoleone. Poiché il suffragio elettorale censitario escludeva dal voto la massa della popolazione, questa decisione non ebbe effetti immediati; ma quando la rivoluzione del 1848 aprì la strada al suffragio universale, il principe Luigi Napoleone, fuggito nel frattempo dal forte di Ham dove era detenuto, trovò nella popolarità di suo zio un importante trampolino di lancio verso la conquista della presidenza della seconda Repubblica, prodromo del colpo di stato del 2 dicembre 1851 che lo avrebbe portato a fondare il Secondo Impero napoleonico.

Vittorio Criscuolo, nato a Salerno nel 1951, è professore ordinario di Storia moderna e di Storia dell’età dell’illuminismo e delle rivoluzioni presso l’Università statale di Milano. Fra le sue pubblicazioni: Il giacobino Pietro Custodi (con un’appendice di documenti inediti), Roma, Istituto storico italiano per l’età moderna e contemporanea, 1987; Albori di democrazia nell’Italia in rivoluzione (1792-1802), Milano, Angeli, 2006; Napoleone, Bologna, Il Mulino, seconda edizione 2009; Il congresso di Vienna, Bologna Il Mulino, 2015; Storia moderna, Milano, Pearson, 2019.

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