“Economia e gestione dell’università” di Loredana Luzzi

Dott.ssa Loredana Luzzi, Lei è autrice del libro Economia e gestione dell’università edito da FrancoAngeli: è possibile parlare di Università-azienda?
Economia e gestione dell'università, Loredana LuzziDopo una disamina che partiva dall’analisi della normativa italiana sull’ordinamento della Pubblica Amministrazione e delle Università pubbliche la conclusione è che non possiamo parlare di Università Azienda e che del resto questo non può rappresentare un obiettivo per le Università. Possiamo certamente affermare che le Università per erogare i servizi e svolgere le missioni per cui sono nate – didattica e ricerca a cui si è aggiunta negli anni quella che viene comunemente definita “terza missione” devono per forza dotarsi di strumenti di gestione aziendale senza per questo avere la necessità di classificarsi in azienda. Le Università hanno una particolare Governance che prevede l’elezione dei componenti della stessa e del rappresentante legale – il Rettore – da parte di coloro che insegnano, fanno ricerca e lavorano nei servizi tecnici ed amministrativi. Questo da una parte è una cosa straordinaria ed unica, dall’altra richiede una grande dose di equilibrio da parte degli eletti e di utilizzo di strumenti gestionali che siano in grado di supportare tutta la comunità.

Quali norme disciplinano e regolano l’ordinamento universitario nel nostro Paese?
La legge che regole il sistema universitario è la 240 del 2010, la c.d. “legge Gelmini” dal nome dell’allora Ministro all’istruzione. Nel libro, nel primo capitolo, si ripercorre la storia di questa che è stata da qualcuno definita una “rivoluzione copernicana”. La legge si inserisce certamente sulla scia della “aziendalizzazione” delle pubbliche amministrazioni – si pensi al d. lgs. 29/93 che ha sancito la netta distinzione fra organi di indirizzo politico e la dirigenza fino ad arrivare al d. lgs. 165/01 che ha, fra l’altro, sottolineato la responsabilità della gestione delle pubbliche amministrazione in capo ai dirigenti. Certamente il mondo universitario ha saputo e dovuto coniugare la propria autonomia – sancita dalla stessa Carta Costituzionale – con le esigenze poste dall’ordinamento e dal Parlamento che ha votato la legge di riforma.

Quando nascono e come si sviluppano i modelli organizzativi dipartimentali?
Il tema viene trattato nel secondo capitolo del libro. Dipartimenti universitari nascono come articolazione organizzativa dedicata alla ricerca. La didattica era organizzata in facoltà, sezionata secondo le discipline ed i sapere e codificata in ambiti disciplinari.
Si evolvono negli anni fino alla legge 240/2010 che ne sancisce il valore organizzativo e stabilisce che sono l’articolazione organizzativa fondamentale per le Università.

Si parte da una sperimentazione e si arriva, con legge nazionale, a stabilire che l’articolazione organizzativa di base delle Università è appunto il dipartimento. Fin dai primi disegni di legge si nota il seguente intendimento:
Al fine di eliminare duplicati di organi e snellire i processi decisionali, nonché integrare maggiormente la gestione della didattica e della ricerca, si prevede una riorganizzazione dell’articolazione interna degli atenei ed in particolare:
– l’attribuzione al dipartimento sia delle funzioni relative alla ricerca scientifica sia quelle didattiche e formative, attualmente svolte dalla facoltà;
– la riorganizzazione dei dipartimenti articolata secondo le dimensioni dell’ateneo;
– la possibilità di istituire strutture di raccordo fra i dipartimenti, denominate facoltà o scuole, con un organo deliberante composto dai direttori di dipartimento con il compito di coordinare e razionalizzare le attività didattiche, gestire i servizi comuni
”. Tale intendimento si traduce nell’art 2 comma 2 della legge approvata.

Ad oggi, nel panorama italiano, le Università presentano diverse tipologie di dipartimenti variamente organizzati. Si passa dall’essere l’articolazione organizzativa elementare cui sono affidati tutti compiti programmazione gestione e controllo (anche amministrativo) a situazioni in cui hanno competenze spiccate solo sulla programmazione ed esecuzione della ricerca e della terza missione, a relata fortemente gestionali che programmano e gestiscono anche la didattica

Quale ruolo svolge la figura del direttore generale di una Università?
Il tema è trattato nel capitolo 3 e ringrazio la dr.ssa Dal Molin e la dr.ssa Ines Fabbro, una delle prime donne ad agire la nuova figura prevista dalla riforma.
Al direttore Generale è demandata la gestione complessiva e l’organizzazione dell’università, dei suoi servizi, delle risorse strumentali così come del personale tecnico amministrativo. Resta esclusa dalle competenze del direttore generale, come espressamente previsto dal d.lgs 165/2001, art. 15, co. 2, l’organizzazione della ricerca e della didattica.

Il capitolo descrive, proprio partendo dalla lunga esperienza delle dr.ssa Fabbro, le capacità richieste alla figura del direttore e fra quelle indicate qui sottolineo la visione gestionale ed il fatto che il direttore si pone come il soggetto che individua il come giungere ai risultati con l’organizzazione, con le tecnologie e con le scelte amministrative adeguate. Si tratta di un processo soggetto a costanti momenti di monitoraggio e di confronto e deve aver sempre presente che le strategie sono fatte dalla governance così come la programmazione. Il Direttore, con la squadra di dirigenti, deve saper declinare in azioni specifiche ed obiettivi le azioni che consentano di attuare le politiche e strategie indicate dal Rettore e dalla Governance (Senato e CDA).

Come avviene la valutazione della performance?
Il tema della misurazione della performance nel comparto universitario, è trattato nel 4 capitolo, scritto dalla dr.ssa Dal Molin. Questo tema, a partire dalla riforma Brunetta (d. lgs 150/09) è di rilevanza fondamentale per un’efficiente gestione dell’ateneo, anche alla luce dei recenti sviluppi sia normativi che valutativi. Allo stesso tempo, la misurazione e la valutazione delle prestazioni in università continua ad essere una pratica altamente controversa, alla luce delle caratteristiche peculiari del settore universitario.

La Riforma Brunetta introduce un ciclo di gestione della performance comune a tutte le pubbliche amministrazioni, articolato in cinque fasi fondamentali: i) identificazione e definizione degli obiettivi organizzativi e individuali, corredati da target attesi di risultato e specifici indicatori per il monitoraggio del grado di raggiungimento; ii) integrazione con la programmazione economico-finanziaria e, in particolare, allocazione di specifiche risorse al raggiungimento degli obiettivi identificati nella fase precedente; iii) monitoraggio intermedio del grado di raggiungimento degli obiettivi, di eventuali scostamenti e di introduzione di interventi correttivi; iv) misurazione e valutazione della performance organizzativa e individuale in relazione al grado di conseguimento degli obiettivi definiti all’inizio del ciclo; v) utilizzo di sistemi premianti ed erogazione dei premi di risultato in relazione alla performance raggiunta e, infine, rendicontazione dei risultai raggiunti agli organi di indirizzo politico.

Le modalità di attuazione e gestione del ciclo non sono tuttora omogenee fra le Università e, soprattutto, sono “agite” a profondità diversa.
Bisogna tener presente inoltre che il solo personale soggetto al ciclo della performance inteso secondo quanto indicato dalla norma è il personale tecnico amministrativo, l’unico contrattualizzato. Il personale docente partecipa al sistema attraverso le regole di misurazione della qualità della didattica – legate in modo prevalente al rispetto dei requisiti di accreditamento – ed alla rilevazione della qualità della ricerca secondo le indicazioni ciclicamente date da ANVUR.

Un altro aspetto su cui rifletter è quello della correlazione fra le risorse e gli obiettivi di performance. Le Università hanno introdotto il sistema di contabilità economico patrimoniale sono da qualche anno ed ancora, ad esempio quando vi è il cambio al vertice della governance, non è così agevole conciliare i tempi di predisposizione del bilancio di previsione (budget) con la programmazione strategica.

Quale ruolo svolge l’Anvur?
Il tema del ruolo e dei compiti dell’Agenzia Nazionale di Valutazione del sistema Universitario e della Ricerca è trattato nel capitolo 8 scritto dal dr. Cherubino Profeta dirigente universitario che da tempo si occupa del sistema qualità nelle università.

L’Anvur, ha messo a punto un sistema, a livello nazionale, con l’obiettivo di verificare e garantire il soddisfacimento di determinati standard di qualità da parte degli atenei – coerenti con gli standard definiti a livello europeo. Le tre componenti di questo modello non sono tra loro indipendenti, ma si collegano in modo stretto l’un l’altra pur avendo prospettive sostanzialmente differenti: in particolare, la valutazione esterna – a cui fa seguito la decisione di accreditamento di un’istituzione universitaria o di un Corso di Studio (CdS) – ha come punto di partenza l’attività di autovalutazione condotta da un’istituzione nell’ambito e in applicazione del proprio sistema di AQ. Ciò che contraddistingue i sistemi interni di AQ – e li pone su un piano diverso rispetto al sistema esterno – è il fatto che, quando costruiti in modo corretto e realmente funzionale alle esigenze di un’istituzione, essi codificano meccanismi, procedure e strumenti che tendono ad adattare, per quanto possibile, il modello di riferimento esterno alle specificità vocazionali, organizzative e strutturali di ogni singola università, pur nel rispetto del quadro di criteri e standard generali definiti dall’ente regolatore (l’ANVUR nel caso degli atenei italiani).

Come avviene il controllo di gestione negli atenei?
La legge 240 del 2010 ha introdotto l’obbligo, per le Università, di dotarsi di un sistema di Controllo di gestione. Nel libro, al capitolo 5, riporto l’esperienza fatta in Università Bicocca a partire dal 2018. Non c’era un sistema strutturato e gli applicativi gestionali esistenti non agevolano questo tipo di attività. Con un gruppo di lavoro multidisciplinare e alla presenza del delegato del Rettore al bilancio, abbiamo applicato un metodo che ci ha consentito di rileggere il bilancio in una logica di controllo di gestione e di avviare una rilevazione trimestrale dei costi sostenuti a livello dipartimentale. Le esperienze anche su questo tema sono diverse e diversificate fra gli atenei. Il CoDAU (associazione nazionale dei direttori generali) ha istituto nel 2018 un gruppo di lavoro sulla tematica; l’esito è stata la redazione di un documento metodologico teorico. Il capitolo del libro riporta una esperienza concreta.

Quali implicazioni ha il concetto di Terza Missione?
Il tema è trattato nel capitolo 9 scritto a più mani da Martina Dal Molin, Giovanni Barbato e la sottoscritta. Il concetto di Terza Missione implica innanzitutto un processo di trasferimento e valorizzazione della conoscenza (knowledge transfer) generata all’interno dell’istituzione universitaria per la soddisfazione dei bisogni e delle domande espressi da una pluralità di soggetti esterni siano quest’ultimi attori economici o soggetti espressione della società civile più in generale (Boffo e Moscati, 2015; Rossi e Rosli, 2015). In questo senso, un vasto spettro di attività può essere ricondotto al concetto di knowledge transfer e TM (Genua and Muscio, 2009), le quali possono essere principalmente suddivise in base alla loro capacità di valorizzazione economica della conoscenza. Fenomeni quali la brevettazione e la creazione di imprese spin-off presentano precisamente questa finalità, ed insieme ad altre attività rientrano nella categoria denominata Technology Transfer (TT). Dall’altro lato, possono esserci attività che per loro natura contribuiscono alla diffusione della conoscenza generata all’interno dei confini universitari verso un pubblico più ampi di soggetti della società civile: eventi e mostre organizzati dall’università, campagne di sensibilizzazione, dibattiti e conferenze aperte al pubblico. Tali attività sono denominate di Public Engagement (PE).

Anche in questo caso ho voluto riportare un’esperienza concreta quella realizzata dall’Università di Milano Bicocca, in merito alla costituzione di una società spin – off universitaria a vocazione sociale, la prima in Italia, nel settore dei servizi all’infanzia. L’Università Bicocca, come molte altre Università, ha un ventaglio ricchissimo di esperienze ed iniziative di terza missione che vanno dalla gestione della proprietà intellettuale alla promozione dell’innovazione attraverso la costituzione di una fondazione ad hoc con altri due atenei La scelta di raccontare l’esperienza fatta con il progetto “Bambini Bicocca” nasce dal diretto coinvolgimento nella progetto, e dalla peculiarità rappresentata dal servizio offerto, dove il luogo di erogazione del servizio è nel contempo luogo di ricerca e di sperimentazione.

Il progetto è stato avviato, nel settembre del 2018, con la pubblicazione di una manifestazione di interesse volta a ricercare operatori economici interessati alla realizzazione del progetto denominato Polo Sperimentale per l’infanzia.
La società è stata costituita nel maggio del 2019 e ha visto un’ampia partecipazione di partners della società civile, operatori economici esperti del settore.

Quali sfide pone agli atenei la comunicazione sul web, e sui social network in particolare?
Questo tema è trattato nel capitolo 10 a cura di Stefania Milani e Diego Di Donato, miei colleghi che si occupano di comunicazione e social media. Ho voluto trattare il tema perché mette in evidenza come istituzioni come quelle universitarie, fondate, in alcuni casi secoli fa e con una grande tradizione, (non è il caso di Bicocca che ha appena compiuto 21 anni) sono costrette a rivedere il metodo tradizionale di comunicazione sia con gli studenti che fra la stessa comunità che verso gli stakeholders. Ora è indispensabile dotarsi di competenze e strumenti che consentano un utilizzo agile, intelligente e sicuro dei social network e delle diversificate forme di comunicazione oggi esistenti. È un tema che spesso non viene trattato nella gestione della pubblica amministrazione ma che è diventato cruciale per poter “stare al passo con i tempi” e rappresentare, come Università l’innovazione e lo sviluppo della stessa anche in questo settore.

Loredana Luzzi è Direttore Generale dell’Università degli Studi di Milano Bicocca. È autrice e coautrice di oltre 40 pubblicazioni sul tema dell’organizzazione e della gestione delle aziende sanitarie. Tra le sue ultime pubblicazioni: Il ciclo della programmazione e il piano della performance con C. Filannino, in R. Arduini (a cura di) Innovazione culturale e gestionale in sanità (FrancoAngeli, 2016); con R. Arduini Economia e gestione delle aziende sanitarie (FrancoAngeli 2016)

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