
Nella Seconda Guerra Mondiale, l’ambito cronologico che il libro prende in esame, negli enormi eserciti di leva la disciplina doveva assolutamente essere uno dei collanti dei reparti in armi al fine di evitare diserzioni, sbandamenti e caos. Tutto ciò che derogava dai regolamenti militari, anche solo leggermente, era pertanto visto con sospetto: chi pensava con la propria testa, o aveva comportamenti sopra le righe, andava incontro a duri provvedimenti disciplinari. La guerra porta il caos, ma non lo tollera all’interno degli schieramenti degli eserciti. Eppure, ci furono uomini che fecero della propria eccentricità e del saper uscire dagli schemi consolidati le armi vincenti della propria carriera bellica. E non si trattava di giovani ufficiali che per età e inesperienza erano portati a strafare, o a sbagliare, ma di ufficiali superiori e generali, tra i migliori per capacità militari e arte del comando. Questi gallonati “eccentrici in guerra”, allergici a leggi, regolamenti, tradizioni, usi e costumi militari, mi hanno sempre colpito. Chi fa il suo dovere tra i ranghi ha il mio rispetto, ma chi riesce a fare ben più di quanto ci si aspetti da lui andando pure contro alle regole ha tutta la mia ammirazione.
In un insieme spersonalizzante e uniformante, come un esercito moderno, solo chi non ne fa pienamente parte può infatti rifulgere di luce propria. Lo psicologo britannico Norman Dixon sostiene che gli eserciti sono concepiti per livellare le capacità umane, così da incoraggiare i mediocri e porre dei limiti alle persone dotate. I generali che vincono le battaglie e le guerre, pertanto, lo fanno nonostante le evidenti mancanze dell’organizzazione a cui appartengono. Cioè riescono a dare quel qualcosa in più che non è richiesto dai regolamenti militari. I migliori comandanti di truppe di ogni epoca – sempre secondo Dixon – sono quelli “non convenzionali” e cita gli esempi di Napoleone e di Lawrence d’Arabia. Mentre i peggiori comandanti sono quelli rigidamente conformisti, come nel caso dei bolsi generali della Grande Guerra che continuavano a mandare al massacro le proprie truppe in inutili attacchi frontali da regolamento. È probabile che Dixon semplifichi troppo, generalizzando secoli di storia militare, ma è innegabile che alcuni dei più grandi leader militari abbiano denotato delle palesi eccentricità.
Tra gli “stravaganti” alti ufficiali presi in considerazione nel libro vi sono un generale tedesco che indossava un kilt scozzese, un generale inglese che al posto dell’orologio teneva una sveglia e accoglieva i suoi ospiti vestito solo del cappello e di una bibbia, un generale spagnolo che voleva sposarsi con la morte, un colonnello britannico che andava in battaglia con la spada, l’arco, le frecce e una cornamusa, un generale americano vestito da cow-boy che si consultava con il suo cane, un colonnello delle SS che non toccò mai un’arma e fece carriera grazie alle cene eleganti e alla buone frequentazioni, un maggiore inglese che affrontava le autoblindo tedesche armato di un ombrello, il colonnello belga che si creò un minuscolo esercito privato e aveva un uncino al posto di una mano, il generale inglese che trovava assai divertente la guerra nonostante ci avesse rimesso un occhio, un orecchio, una mano e un polmone e avesse subito undici gravi ferite di arma da fuoco, portando in corpo, inoltre, la bellezza di circa mezzo chilo di frammenti e di schegge di ferro.
Vi sono casi in cui l’eccentricità dei personaggi coinvolti ha modificato il corso della Storia?
Ognuno di questi straordinari personaggi, più o meno conosciuti dal grande pubblico, ha a suo modo indirizzato il corso degli eventi della Seconda Guerra Mondiale con le sue non comuni doti militari. La Storia infatti non è fatta solo dalle grandi decisioni strategiche dei capi di Stato e dei generali a quattro o cinque stelle, ma è l’insieme delle azioni di tantissimi uomini e donne. La differenza sta nel grado di potere e di comando del singolo personaggio storico: più persone obbediscono ai suoi ordini più vi sono possibilità che le sue decisioni abbiano un peso determinante nel corso degli eventi. Tutti gli Eccentrici in guerra biografati nel libro hanno più o meno inciso nelle vicende belliche della Seconda guerra mondiale. Senza scomodare il caso più lampante che è quello del generale Patton, uomini come David Stirling e Simon Fraser, Jack Churchill e Digby Tatham-Warther, o donne come Lyudmila Pavlichenko o Nancy Wake con le loro temerarie azioni e con il coraggioso esempio personale hanno trasmesso ai loro sottoposti uno spirito guerresco e una ferrea determinazione capaci di quadruplicarne le forze fisiche e le energie mentali.
In qualche caso l’eccentricità ha rappresentato un fattore di superiorità strategica?
Mentre la gran parte degli Eccentrici in guerra ha per lo più inciso a livello tattico (si pensi alle azioni nello sbarco di Salerno di Jack Churchill, o alla tenace difesa di Montecassino da parte del generale Baade, o ancora a come Digby Tatham-Warther seppe galvanizzare i suoi pochi e stanchi uomini nella difesa del ponte di Arnhem), uno di loro, Charles Orde Wingate, è stato un vero proprio fattore strategico. Per ben due volte. Prima in Palestina nel corso della Grande Rivolta Araba, allorquando insegnò agli ebrei come usare metodi non convenzionali per attaccare gli arabi di notte e di sorpresa. Poi nel 1943 quando fermò l’attacco giapponese apparentemente inarrestabile che minacciava l’India con un suo “strampalato” progetto. Propose di inviare truppe nella giungla alle spalle delle divisioni giapponesi per fare più danni possibili alle loro linee di comunicazione e sussistenza. Il piano, pur tra mille difficoltà, funzionò e venne replicato con l’invio di più truppe sostenute da un ingente ponte aereo. I giapponesi furono costretti a inviare truppe indietro, sottraendole allo sforzo offensivo principale. La temuta invasione dell’India non avvenne e questo fu indubbiamente merito anche delle coraggiose truppe Chindit di Charles Orde Wingate.
Quali connazionali ricorda nel suo libro?
La maggior parte degli Eccentrici in guerra sono anglosassoni, con una curiosa preponderanza di scozzesi, ma nel libro ci sono anche tre italiani, tutti decorati di medaglia d’oro al valor militare. Si tratta di una coppia di partigiani romagnoli, Silvio Corbari e Iris Versari, e di un aristocratico ufficiale del genio alpino, Paolo Caccia Dominioni.
Corbari e la Versari si distinsero dal resto delle formazioni partigiane per indipendenza ed eccentricità. Mentre le formazioni della Resistenza politicizzate eseguivano ordini venuti dall’alto (organismi di comando, comitati di partito, missioni di collegamento alleate, ecc.), la banda di Corbari faceva quello che voleva, quando gli pareva, ponendo l’accento sulla spettacolarità delle proprie azioni e sullo sberleffo al nemico nazifascista. Le loro imprese denotavano sangue freddo e una lucida follia, forse dovute anche alla temerarietà e all’incoscienza giovanile. Un esempio su tutti: erano soliti mettere finte bombe in luoghi culto del fascismo e poi chiamare le autorità per dare l’allarme; in realtà erano tutte caricate a pasta e fagioli. Leggendarie erano poi le imprese di Silvio Corbari travestito da ufficiale della GNR. Girava per Faenza e si faceva dare soldi e armi. Una volta si travestì addirittura da colonnello tedesco per andare a fare gli auguri di Natale ai fascisti faentini.
Paolo Caccia Dominioni, invece, era un militare di antico stampo sabaudo, pur non essendo di carriera. Nella vita faceva l’architetto e l’ingegnere, ma le sue imprese al fronte, nella Prima e nella Seconda guerra mondiale, lo resero celebre. Unico ufficiale con il cappello da alpino tra le sabbie di El Alamein, Caccia Dominioni nel secondo dopoguerra si dedicò anima e corpo a ricercare i resti dei caduti che avevano combattuto in quella grande battaglia. Non solo: progettò e costruì il Sacrario militare italiano di Quota 33.