“Due democrazie, una sorveglianza comune. Italia e Repubblica Federale Tedesca nella lotta al terrorismo interno e internazionale (1967-1986)” di Laura Di Fabio

Dott.ssa Laura Di Fabio, Lei è autrice del libro Due democrazie, una sorveglianza comune. Italia e Repubblica Federale Tedesca nella lotta al terrorismo interno e internazionale (1967-1986) edito da Le Monnier: con quali tratti comuni si manifestò la violenza politica armata in Italia e nella Repubblica Federale Tedesca negli anni tra il 1967 e il 1986?
Due democrazie, una sorveglianza comune. Italia e Repubblica Federale Tedesca nella lotta al terrorismo interno e internazionale (1967-1986), Laura Di FabioIn realtà il confronto tra i due casi nazionali rivela più tratti distintivi che comuni. Nella comparazione ci accorgiamo di quanto nella Repubblica Federale Tedesca l’invito alla sollevazione delle masse dei gruppi armati tedesco-occidentali restò sostanzialmente inascoltato. Le lotte operaie, di peso assai minore rispetto al caso italiano, non si unirono al coro delle contestazioni. Questo per tre ragioni strettamente connesse tra di loro. Da una parte, riscontriamo una diversità di culture politiche sulla violenza. L’immaginario resistenziale in Italia, non così diffuso nella Repubblica Federale Tedesca, assunse un ruolo importante nell’adozione di modelli e forme di lotta che confluirono poi nell’antifascismo militante. Erano diversi gli immaginari legittimanti la lotta armata: un antifascismo militante in Italia e un antiautoritarismo e terzomondismo nella Paese d’oltralpe. Se prendiamo ad esempio le Brigate Rosse e la RAF, notiamo che le prime si autoproclamavano eredi della Resistenza mentre la seconda elaborò pratiche e rituali legati alle lotte di liberazione terzomondiste. Le BR supportavano una lotta antifascista; quella della RAF poggiava su basi antimperialiste. Infine, l’eterogeneo arcipelago extraparlamentare nei due Paesi ha racchiuso in sé differenti espressioni della violenza politica. Alcune tra le grandi o medie organizzazioni italiane della sinistra rivoluzionaria extraparlamentare sperimentarono esperienze più longeve dei vari gruppi emersi nel panorama extraparlamentare tedesco-occidentale. L’Autonomia italiana partecipò ad azioni che videro anche l’utilizzo della forza. Gli autonomi tedeschi (gli Spontis), diffusi tra il 1975 e il 1978, ebbero un seguito minore, una struttura organizzativa non compatta e tattiche meno violente. Infine, se il Sessantotto ha giocato un ruolo diverso da contesto a contesto nelle forme della radicalizzazione politica, il Movimento del Settantasette è un fenomeno prettamente italiano, di dimensioni nazionali. L’anno 1977 significò, infatti, un momento cruciale per l’Italia e la Repubblica Federale Tedesca, ma per ragioni diverse. In Italia il conflitto sociale esplose con potenza e non coinvolse soltanto azioni armate ma soprattutto rivendicazioni sociali di una soggettività eterogenea. La radicalizzazione dello scontro avvenne per gradi, esito di una concomitante perdita di rappresentanza politica di specifiche categorie della società (studenti, classe operaia, disoccupati, ecc.) e di un generalizzato senso di disillusione nei confronti delle organizzazioni di massa dei partititi. Il Settantasette tedesco-occidentale, invece, viene ricordato per l’Autunno tedesco e l’escalation delle azioni armate da parte della RAF. Non si caratterizzò, dunque, per delle mobilitazioni trasversali, fucina di opposizioni più ampie e diversificate. Mi piace sempre ricordare, tuttavia, che negli anni Settanta la violenza diffusa nelle strade o organizzata conviveva con una militanza spontanea e non violenta di migliaia di uomini e donne che facevano parte di quella galassia, i cui appartenenti non si riconobbero nelle pratiche più estreme e che partecipò democraticamente ai conflitti politico-sociali. A sua volta però anch’essa rimase soffocata dalla criminalizzazione del dissenso e della repressione statale.

Quali forme assunse la risposta istituzionale di fronte alla violenza politica armata nei due paesi?
La risposta istituzionale di fronte alla violenza politica armata nei due Paesi è stata sia di natura normativa, con il varo delle leggi d’emergenza; sia repressiva, attraverso il potere giudiziario e poliziesco. In entrambi i Paesi la sfera del diritto penale è stata la prima a essere trasformata nel corso dell’emergenza. La modifica e l’introduzione di nuovi reati è pratica assai diffusa dei legislatori e dei governi e resignifica le strategie politiche e normative che regolarizzano pratiche di sorveglianza e/o giudiziarie già assunte. La tensione tra la salvaguardia dello Stato di diritto e la necessità di difendere lo Stato democratico costituzionale avviano delle trasformazioni reali degli assetti istituzionali, mentre la sfera del diritto penale subisce vere e proprie interferenze e ricalibrature. L’introduzione di nuovi reati ha inevitabilmente esteso i parametri di controllo sociale e ampliato i margini d’azione delle polizie e dei servizi di sicurezza nella sfera pubblica. Vennero introdotti nuovi reati quali, per citarne alcuni tra i più significativi, l’appoggio di reati contro la Costituzione, l’istruzione alla violenza, la distinzione tra associazione a delinquere e associazione terroristica, fermi preventivi di polizia e l’estensione dei tempi nelle misure cautelari (la carcerazione preventiva), la sorveglianza degli avvocati difensori, la dissociazione e la giustizia premiale. Il tema della difesa, soprattutto, ha ricevuto negli ultimi anni ampia attenzione da parte degli storici sia in Germania che in Italia. La funzione svolta dagli avvocati nella difesa di imputati accusati di terrorismo rappresenta una questione spinosa, come pure il problema da parte dello Stato, della politica e dei media di definire l’estremista come simpatizzante o terrorista.

Il potenziale numerico dei partecipanti alla lotta armata in Italia negli anni Settanta fu senz’altro maggiore rispetto al contesto tedesco-occidentale, pertanto il monitoraggio delle organizzazioni rappresentò un lavoro ben più gravoso e complesso per le polizie italiane rispetto a quello svolto dal Bundeskriminalamt nella Repubblica Federale Tedesca. Insieme alle tradizionali politiche di sorveglianza e controllo riservate agli estremismi nei due Paesi, tra il 1968 e il 1982 si affermò un nuovo discorso securitario volto al monitoraggio e al contrasto di ciò che stava trasformandosi in una inedita emergenza. E la pratica antiterroristica tese a sussumere anche il tradizionale controllo delle aree extraparlamentari. L’avvento delle nuove tecnologie ha contribuito a un’estensione dei parametri di controllo e l’evoluzione tecnocratica che ha interessato la pubblica sicurezza ha prodotto un continuo perfezionamento nella raccolta, catalogatura e analisi di dati e informazioni.

Come cooperarono i governi e gli apparati di sicurezza italo-tedeschi di fronte alla sfida del terrorismo?
Nella cooperazione bilaterale italo-tedesco occidentale possiamo distinguere due sfere in cui la lotta al terrorismo ha apportato specifiche trasformazioni. La prima riguarda il controllo degli estremismi e degli stranieri nelle pratiche nazionali e internazionali delle polizie, in cui sono maggiormente visibili il nesso nazionale-internazionale e la questione della sovranità territoriale. La seconda indaga la lotta al terrorismo come il terreno sperimentale di una professionalizzazione del personale di Pubblica Sicurezza e di una lettura transnazionale della sicurezza interna.

Uno scambio delle polizie italiane e tedesche su questioni inerenti all’ordine pubblico e alla sicurezza si evolve nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, per far fronte alle azioni clandestine del movimento altoatesino indipendentista Comitato per la Liberazione del Sudtirolo (Befreiungsausschuss Südtirol-BAS). Nel corso poi degli anni Settanta, i rappresentanti dei governi italiano e tedesco federale concordarono una serie di colloqui per dibattere di protezione degli impianti nucleari, di regolamentazione in ambito europeo del rapimento di ostaggi, del controllo transfrontaliero dei flussi migratori, di criminalità e il traffico di armi e droga. Si attivò un interesse reciproco tra i due governi concretizzatosi in uno scambio attivo di materiale legislativo e informativo. Durante gli anni delle contestazioni studentesche e dell’avvicinamento dei comunisti alla compagine di governo, la RFT rivolse un’attenzione particolare alle sorti politiche e sociali dell’Italia: nello specifico sulle dinamiche della politica interna, la crisi economica italiana, il ruolo del PCI e il suo avvicinamento alla DC. Le prime riunioni tra gli apparati di sicurezza italiani e tedeschi prevedevano uno scambio di informazioni sull’uso della polizia nelle azioni terroristiche (tecnico, psicologico, esperienza organizzativa), un confronto di conoscenze in merito all’elaborazione elettronica dei dati, alle attrezzature e agli armamenti, al trasferimento delle metodologie d’indagine e allo scambio di funzionari. Gli obiettivi di questi incontri sarebbero poi confluiti parallelamente, in un disegno più ampio che includeva i colloqui sul piano multilaterale, e nel quadro delle decisioni della Comunità Europea.

Come affrontarono Italia e RFT il tema dell’equilibrio tra bisogno di sicurezza dello Stato e salvaguardia dei diritti e delle libertà dei cittadini?
Nel 1968, nel pieno delle contestazioni studentesche, la normativa emanata con il diciassettesimo emendamento della Costituzione tedesca del 24 giugno, la cd. Deutsche Notstandgesetze, ha significato un serio impegno futuro per il sistema complessivo delle libertà civili nella RFT. In seguito, con i grandi processi del biennio 1975-1976 contro i membri della prima generazione della RAF, si avviò un processo di assestamento giuridico emergenziale che ha stimolato lunghi dibattiti in Parlamento tra socialdemocratici, liberali e democristiani, e naturalmente tra giuristi. Nelle discussioni parlamentari si mise in luce l’origine di lacerazioni profonde nel tessuto democratico delle istituzioni e della società. Il clima di sospetto intorno a determinate tipologie di dissenso politico fu alimentato dal governo e dai mezzi d’informazione, che parteciparono al processo di sedimentazione di un’immagine dell’estrema sinistra connivente con i terroristi. Il governo socialdemocratico-liberale insieme all’opposizione ampliarono la sfera di competenza delle polizie, soprattutto in seguito agli attentati terroristici più drammatici. Una delle conseguenze della continua produzione legislativa fu la riduzione delle frizioni tra il legislatore e il potere esecutivo e giudiziario. La burocrazia ministeriale iniziò ad avere un ruolo fondamentale nella gestione dell’ordine pubblico e della sicurezza interna e, per il caso tedesco, la legislazione antiterrorismo concorse a un rafforzamento dell’esecutivo.

Se passiamo al caso italiano, per alcuni studiosi negli anni Settanta non si è fatto ricorso a vere e proprie misure di rottura costituzionale. Questo è senz’altro vero: hanno prevalso l’assenza di una giurisdizione speciale, dell’interdizione dai pubblici uffici (diversamente che nella RFT), d’un trasferimento dei poteri ordinari di polizia all’autorità militare, dell’emanazione di uno stato di guerra. Questa condizione, però, non ha evitato una restrizione delle libertà civili, che è avvenuta in numerosi casi. Non si trattò di una vera e propria sospensione dei diritti: l’emergenza terroristica ha prodotto, piuttosto, una maggiore delega dei parametri repressivi agli organi di P.S. e alla magistratura. La legislazione d’emergenza italiana ampliò i poteri discrezionali del magistrato, reintrodusse l’interrogatorio di polizia con la presenza del difensore, estese il fermo giudiziario, ampliò l’uso delle armi da parte della polizia, introdusse il giudizio direttissimo obbligatorio per alcuni casi (delitti, possesso di armi e in caso di violenza a pubblico ufficiale), vietò la partecipazione a manifestazioni con il casco o il viso totalmente coperto tale da rendere difficile l’identificazione. Tutto questo è stato introdotto negli anni Settanta ed è rimasto, di massima, nel nostro ordinamento.

Quanto è attuale la lezione dei due paesi nell’odierna lotta al terrorismo internazionale?
Sono partita dalle questioni del presente per indagare una storia poco conosciuta. Ripercorrere l’evoluzione della cooperazione europea nella lotta al terrorismo offre senz’altro degli spunti di riflessione sulla situazione che viviamo quotidianamente. L’analisi di come si è evoluta una cooperazione tra gli apparati di sicurezza e giudiziari dei diversi paesi europei permette di comprendere il modus operandi delle istituzioni in momenti di crisi; al tempo stesso offre degli strumenti utili per riconoscere i perimetri del monopolio della violenza legittima nella società. In democrazia la salvaguardia dei diritti è un tema chiave nell’analisi della repressione e prevenzione della violenza politica armata ancora oggi. Solo per fare un esempio recente: subito dopo la serie di attentati in Francia del 2015-2016 è stato decretato lo stato d’emergenza dal governo di François Hollande (prolungato ulteriormente dopo la strage di Nizza). In questa fase, in base a un rapporto di Amnesty International (per saperne di più: https://www.amnesty.fr/liberte-d-expression/actualites/droit-de-manifester-en-france), sono state adottate 639 misure individuali d’interdizione alle manifestazioni di cui 21 nel contesto delle dimostrazioni relative alla COP21 e 574 per proteste contro la legge sul lavoro. Ma penso sia chiaro a tutti e tutte che tali misure sono estranee alla lotta contro il terrorismo e hanno un impatto sproporzionato sul diritto dei singoli di esercitare la loro libertà di espressione e di manifestazione.

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