“Dopo Mussolini. I processi ai fascisti e ai collaborazionisti (1944-1953)” di Andrea Martini

Dopo Mussolini. I processi ai fascisti e ai collaborazionisti (1944-1953), Andrea MartiniDott. Andrea Martini, Lei è autore del libro Dopo Mussolini. I processi ai fascisti e ai collaborazionisti (1944-1953) edito da Viella: all’indomani della Liberazione, quali misure epurative furono messe in atto dai vari governi?
Le misure furono essenzialmente di due tipi: si sanzionò penalmente chi aveva collaborato con l’occupante tedesco tra il 1943 e il 1945 e chi aveva favorito l’ascesa e il consolidamento del regime di Mussolini e si punì con la sospensione o la rimozione dall’incarico coloro i quali avevano sostenuto la causa fascista e quella della Repubblica sociale italiana pur non commettendo formalmente alcun reato. Nel mio volume mi concentro principalmente sulle sanzioni di tipo penale. In linea con buona parte dell’Europa interessata nel dopoguerra a procedimenti epurativi analoghi, i governi italiani vararono delle Corti speciali altamente politicizzate: si voleva così rispondere al forte sentimento di giustizia che proveniva dal fronte antifascista e partigiano e da chi, direttamente o indirettamente, era caduto vittima della violenza e dei crimini fascisti.

Il libro contiene lo studio ravvicinato di alcune vicende processuali: quali ritiene le più significative del clima dell’epoca?
Molte e nessuna. La particolarità, infatti, è che tutte le vicende processuali hanno una loro peculiarità che ci dicono molto della transizione del Paese dal fascismo alla democrazia, ma che non ci dicono tutto: del resto, sono troppo numerose le variabili che determinarono l’assoluzione o la condanna dell’imputato. Certo, il caso di Carlo Emanuele Basile, prefetto di Genova, zelante collaboratore dei tedeschi, che riesce, nonostante tutto, ad uscire indenne dalle macchina epurativa è significativo di come – a partire dall’ottobre del 1945 – un clima assai favorevole nei confronti dei fascisti calò in Italia arrestando, o quanto meno attenuando, gli effetti dell’epurazione.

Come si articolò l’attività dei molti tribunali impegnati nei procedimenti giudiziari in tutta la penisola?
Inizialmente a giudicare fascisti e collaborazionisti dovevano essere le Corti d’Assise ordinarie e ciò non poté che destare la reazione negativa del fronte partigiano che desiderava tribunali maggiormente politicizzati non fidandosi dei magistrati dato che questi avevano fatto carriera durante il fascismo. Sotto la pressione degli Alleati, che inizialmente incoraggiarono l’epurazione, il governo Bonomi, il 22 aprile 1945, cambiò orientamento ed istituì delle Corti d’Assise straordinarie, composte da un giudice togato (vale a dire da un magistrato di professione) e da quattro giudici popolari, scelti nell’ambiente partigiano. Le Corti d’Assise straordinarie operarono dapprima solo nel nord d’Italia, poi vennero estese al resto della penisola sebbene la maggior parte dei procedimenti finì per riguardare il settentrione: nonostante infatti l’idea iniziale fosse quella di colpire anche i fascisti di lungo corso, ci si concentrò su coloro i quali operarono a fianco della Repubblica sociale la cui storia si colloca nel centro e soprattutto nel nord Italia.

In che modo l’epurazione ha segnato i destini di molti italiani e ha condizionato la storia del nostro Paese?
L’epurazione ha segnato i destini di molti italiani perché migliaia di cittadini ne sono stati coinvolti: come imputati, come “parte lesa”, come testimoni. L’epurazione ha anche impaurito molti italiani che temettero di perdere il posto di lavoro (a causa del loro passato fascista), ma, al tempo stesso, la defascistizzazione ha indignato un numero altrettanto numeroso di italiani per via della sua inefficienza e perché calò presto di intensità: ciò riportò fuori dal carcere molti aguzzini e carnefici.

Una vicenda di questo tipo non può non aver segnato la storia del nostro Paese: innanzitutto un’epurazione parziale ha favorito la riaffermazione del fascismo sulla scena pubblica (la nascita del Movimento sociale italiano risale al dicembre del 1946), in secondo luogo le vicende giudiziarie per la loro brevità, contraddittorietà e per la loro dimensione locale (mancarono infatti grandi processi come quelli messi in scena dagli Alleati a Norimberga contro i nazisti) non riuscirono, o vi riuscirono solo in parte, a “fare storia”, ovvero a mostrare i crimini fascisti e le responsabilità di coloro i quali supportarono il regime e la Repubblica sociale.

Andrea Martini è assegnista di ricerca presso l’Università di Padova dove si sta occupando della presenza e dell’impatto delle studentesse nella storia dell’ateneo patavino. Ha conseguito il dottorato di ricerca in studi internazionali all’università L’Orientale di Napoli con una tesi dedicata al fascismo e al collaborazionismo da cui è tratto questo libro. Sull’argomento, ha anche pubblicato Processi alle fasciste (Verona, 2015).

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