“Donne e sacro. Forme e immagini nel cristianesimo occidentale” a cura di Adelaide Ricci

Prof.ssa Adelaide Ricci, Lei ha curato l’edizione del libro Donne e sacro. Forme e immagini nel cristianesimo occidentale pubblicato da Viella; dal titolo del libro i due elementi ‘forme’ e ‘immagini’ sembrano porsi come fili conduttori: cosa si può dire in proposito?
Donne e sacro. Forme e immagini nel cristianesimo occidentale, Adelaide RicciPartiamo dalle immagini, che nel cristianesimo intessono con le donne una relazione particolare. Raccogliendo l’eredità di quello che alla luce del Nuovo diventa Antico Testamento, essa si pone fin dall’origine nel rapporto figurale tra Dio e l’essere umano. Ricordiamo Eva plasmata dalle membra di Adamo: si tratta di un’immagine variamente ripresa e trattata soprattutto nei secoli medievali ma che, in altre prospettive, attraversa la modernità.

Ci sono poi le immagini – plurali – con cui le donne vengono lette dalla cultura dominante, e che a loro volta si possono riflettere in proiezioni e ombre multiformi. Insomma, parlare di donne comporta sempre un rintracciarne le immagini lungo la storia.

Ma c’è qualcosa di più profondo. Dal medioevo l’età moderna eredita ed elabora anche l’idea che attraverso le donne possa irrompere la manifestazione dello Spirito: in questo senso si può parlare di ‘impressionabilità’. Di nuovo essa appare una questione di immagine, che si proietta nel richiamo alle origini e che in modo particolare si rapporta al «sequere me» evangelico, ossia al richiamo di Cristo a seguire le sue orme. Pensiamo all’annuncio della Resurrezione affidato, appunto, alle donne giunte al sepolcro vuoto.

Ebbene, il nodo problematico si trova proprio nelle forme che, lungo i secoli, l’azione femminile del «sequere me» assume, talvolta in modo dirompente. I casi presentati in questo volume illustrano da vicino nessi e chiavi interpretative utili anche alla costruzione di un metodo storico a più voci.

Dunque il libro copre un arco cronologico molto vasto…
Poiché è impossibile scrivere uno studio definitivo su un tema così vasto e variegato, abbiamo scelto di dare voce ad approfondimenti tematici di importanti studiosi (tra l’altro, quasi tutte donne), specialisti di differenti periodi storici, dalla tarda antichità all’età contemporanea. Non si tratta di una composizione a tavolino, poiché il libro nasce da giornate di studio trascorse dialogando e condividendo prospettive di ricerca che proprio dal reciproco scambio hanno tratto un ampliamento di orizzonte e, come poco sopra ho accennato, un affinamento di metodi.

Così il lettore, che in questo libro non incontra una collana ordinata ed omogenea di indagini, si trova condotto lungo un tracciato abitato da volti, vite e vicende concrete.

Credo sia un impianto particolarmente felice, poiché non impone uno schema interpretativo ma lascia affiorare presenze femminili insieme al contesto sociale e, più ampiamente, storico a loro contemporaneo; inoltre mette in luce domande e piste messe in campo dagli studiosi, lasciando così scorgere, per così dire, il laboratorio dello storico.

Tra medioevo ed età moderna la religiosità femminile appare connotata dalla mistica: quello che si delinea è un quadro uniforme?
Il quadro, per riprendere la sua domanda, è davvero ricco di sfumature. Semplificando, ma senza tradire il fenomeno, possiamo dire che la mistica femminile si presenta in una pluralità di esperienze; nella diversità, tuttavia, si rivela uno sfondo comune.

Di fatto, nei secoli XIV e XV segnati da una crisi profonda nella Chiesa (e non solo), emergono alcune protagoniste di notevole spessore spirituale, capaci di giungere fino a Roma e soprattutto di invocare una ricomposizione della societas christiana. In seguito, altre donne agiranno entro gli ambienti riformatori del Cinquecento, conquistando spazi di libertà che non troveranno eguali nei secoli successivi.

Non tutte queste figure hanno lasciato un segno indelebile nella memoria; alcune brillarono in un contesto ristretto, magari in una clausura, ed è merito della ricerca storica aver riportato l’attenzione su di loro. Ciascuna di esse, infatti, non rappresenta solo una singola storia ma esprime in modo originale le istanze di un’epoca.

Infine, non dobbiamo dimenticarlo, le esperienze di queste donne dovettero passare attraverso filtri culturali gestiti da uomini, che si occuparono di trascriverle, presentarle alla gerarchia ecclesiastica e alla comunità, infine trasmetterle.

Un tema trasversale che corre lungo i secoli è la dicotomia tra ritiro dal mondo e partecipazione attiva in esso: si tratta di una vera contrapposizione?
Nella relazione col sacro le donne vivono e incarnano esperienza, non parole e pensieri pii né costruzioni concettuali a sé stanti. Ciò che di loro riscontriamo segna un contatto, spirituale oltre che fisico, col sacro e conduce al cuore di una relazione intima con Dio, capace anche di mettere a nudo in modo nuovo l’interiorità umana. Si tratta di un vissuto che si concreta in gesti: così l’incontrare il corpo di Cristo per Maddalena (si ricordi il «Noli me tangere») e quante trovarono in lei un modello; così il toccare i resti sacri per le religiose che si dedicarono e ancora si dedicano a prepararli e confezionarli in forma propria di reliquie.

Se pensiamo alla voce delle donne, forse meglio capiamo che essa, come la loro intera esperienza, è sostenuta da una dicotomia portatrice di rara forza, tra i silenzi (dei chiostri, delle visioni, dei viaggi) e la parola proclamata coraggiosamente, tra il vivere al riparo – ad esempio di una clausura – e il percorrere lunghi e pericolosi tragitti, tra la contemplazione mistica e la pubblica profezia.

Tra le pagine del libro incontriamo, ad esempio, donne che si portano sui campi di battaglia, patendone la durezza e i rischi; ma anche Orsolina, colpita nella prima infanzia da una malattia avvolta in un alone di mistero e che pare predisporla alla chiamata spirituale, cui risponderà non temendo di confrontarsi addirittura con il papa.

La tensione tra riservatezza e impegno sociale, così come quella tra ruolo testimoniale e forme espressive dello spirito giunge fino al Novecento, teatro della secolarizzazione pre e post conciliare. È interessante rilevare che nel ripensare ruoli e condotta femminili nella seconda metà degli anni Ottanta del secolo scorso lo sguardo tornava ancora a Maria, tanto donna quanto immagine. E sempre nello spaccato di fine XX secolo, anzi forse in modo più ruvido e tagliente, riaffiorava la dicotomia conflittuale tra passività e attivismo, tra marginalità e protagonismo. Questi tratti, di cui con intenti assai diversi si è spesso cercata una radice e una fonte nel vangelo, attraversano al midollo la storia del rapporto tra donne e sacro nel cristianesimo occidentale.

Torniamo alle immagini: possiamo parlare di un rapporto privilegiato tra donne e immagini?
Dal tracciato polifonico di questo volume mi pare emergano in modo chiaro nessi di lungo periodo tra corporeità, gestualità e immagine – dentro la vicenda delle donne, si intende, ma declinati in forme non solo femminili.

In particolare dal Trecento – ma l’avvio di un processo in questa direzione risale al secolo precedente – sono i corpi a palesare in modo nuovo e intenso la relazione con Dio: è la donna che in modo tangibile, come Maddalena, segue Cristo in vita e sul Calvario, fino alla morte e alla sepoltura e, più in là, alla resurrezione. In questi frangenti essa assume un ruolo attivo, cui però l’egemonia clericale impone limiti, specie nel racconto delle esperienze.

Talvolta sono proprio le immagini a permetterci di avvicinare donne di cui sapremmo altrimenti ben poco. Così, fra VIII e IX secolo alcune badesse commissionano codici che nelle loro forme, ad esempio nell’impianto decorativo di una legatura o nelle miniature, lasciano scorgere scelte e logiche figurative specifiche.

Lungo tutta la storia del cristianesimo non viene mai meno la corrispondenza ‘figurale’ tra la manifestazione divina e il ruolo dei gesti femminili: in modo eloquente e sfaccettato la Vergine e le Tre Marie si riverberano nelle azioni diverse ma non dissonanti di donne attive in contesti culturali tra loro assai differenti. Ed è in particolare la croce a chiamare le donne, da quella tracciata sulla legatura di un codice monastico altomedievale a quella delle mistiche tardomedievali, su cui è ben visibile il Cristo sofferente; ma si potrebbe leggerne la presenza fino a tempi recenti.

Nel segno della croce il corpo stesso delle donne diventa immagine, dolce o “scandalosa”; esso può essere accettato, formato, piegato, ma anche rifiutato – una prospettiva di lungo periodo, da declinare con attenzione nei diversi contesti in cui si manifesta.

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