
Come viene dichiarato nell’introduzione, l’obiettivo è risvegliare nelle lettrici la Donna Selvaggia, un archetipo spirituale e poetico che nel mondo contemporaneo viene troppo spesso dimenticato. L’antico processo di assopimento di questa natura ancestrale e sovrana segue di pari passo l’alterazione di leggende e storie, falsate nel tempo dagli aspetti di culture e religioni che si sono sviluppate, mosse dalla parte distruttiva della psiche. Difatti, un elemento fondamentale della sua tesi è che tutto quel che di male e bene percepiamo nel mondo intorno a noi, risiede anche dentro di noi. L’intera esistenza, nelle sue contraddizioni, è riportata all’armonia sotto la guida che proviene dalla consapevolezza della Donna Selvaggia, detta anche Madre Vita-Morte-Vita. Per ogni capitolo, il metodo di argomentazione è suddiviso in tre passaggi: all’analisi di racconti mitici e popolari, riportati alla loro forma antica e pura, segue l’individuazione delle diverse nature della mente umana, che arriva a fornire consigli pratici per vivere seguendo l’ordine candido degli esseri e della Terra. A dimostrazione di questo, i riferimenti agli animali, in particolare ai lupi, e alla vita del nostro pianeta, sono continui, in un romanzo dove si intrecciano i punti di vista psicanalitici, narrativi e spirituali, implicandosi a vicenda sotto l’influsso della stessa Divinità.
Clarissa Pinkola Estés si proclama una cantadora, colei che custodisce le antiche storie. Il primo punto di forza della struttura dell’opera sono proprio gli straordinari racconti, che, sparsi nel testo, acquistano a mano a mano un senso più primordiale. Lo stile mitico della loro esposizione svolge la duplice funzione di intrattenere il lettore e, senza che se ne accorga, accompagnarlo verso la comprensione delle forze dell’anima, evitando il rischio che risulti complessa e macchinosa. Lo scopo non è nascosto, ma svelato come cruciale nelle prime pagine, dove l’autrice avverte di ascoltare le storie con l’anima, di immergersi dentro di loro, perché solo in tal modo potremo arrivare alla conoscenza della nostra psiche. Difatti, le parti dell’Io trovano rappresentanza all’interno delle storie nei personaggi, mentre i simboli sono il collegamento con la razionalità. La prima storia presentata, La Loba, fornisce la figura della Madre Vita-Morte-Vita, Colei che sa, figura archetipa per eccellenza, l’obiettivo fondamentale della nostra ricerca. Lei raccoglie le ossa, canta, e fa rinascere le anime. Le ossa, simbolo della forza vitale indistruttibile che è dentro di noi, sono ciò che abbiamo tutti, e da lì dobbiamo partire per far rinascere la nostra anima e le anime che ci circondano. Nel secondo racconto, I quattro rabbini, le diverse figure indicano i quattro modi per rapportarsi a questa nuova conoscenza. L’autrice mostra la strada giusta, che lei ha intrapreso e l’iniziata deve intraprendere: dobbiamo esperire l’inconscio profondo apprendendo il ritmo della vita e della morte, “consentire a ciò che deve morire di morire, a ciò che deve vivere di vivere”. Per avvalorare la sua tesi, mostra che questi archetipi sono gli stessi per ogni cultura e religione: “La Loba sta in parallelo ai miti in cui i morti sono riportati in vita. Nel mito egizio, Iside compie questo servizio per il fratello morto Osiride, che ogni notte viene smembrato dal cattivo fratello Seth. Iside lavora tutte le notti, dall’imbrunire all’alba, per rimettere insieme i pezzi del fratello prima del mattino, altrimenti il sole non sorgerà. Cristo resuscitò Lazzaro, morto da tanto tempo da puzzare. Demetra richiama la pallida figlia Persefone dalla Terra dei Morti una volta l’anno. E La Loba canta sulle ossa”. Esplicitate le prime figure narrative e spirituali, passa sul piano della concretezza psicanalitica, ponendo le esplicite domande che l’iniziato deve farsi sulla propria vita: “Che cos’è accaduto alla mia voce-anima? Quali sono le ossa sepolte della mia vita? In che condizioni si trova la mia relazione con il Sé istintuale? Quand’è stata l’ultima volta che ho corso libera? Come posso far sì che la vita torni a essere viva? Dov’è andata La Loba? ” La verità di cui abbiamo bisogno per ricostruire l’anima a partire dalle ossa è un processo continuo che l’opera si propone di mostrare in ogni sua parte.
Come secondo punto di forza strutturale, appunto, la scelta delle sezioni, che in una suddivisione puntuale vanno a toccare ogni ambito dell’universo umano. A cominciare dal capitolo sulla prima iniziazione, dove, a partire dalla storia Barbablù, si risponde al problema del male, che ognuno di noi si pone. L’autrice divide le forze naturali della psiche sopracitate in bene, tutto ciò che contribuisce all’operato della Donna Selvaggia, e male, il predatore naturale. La definisce forza “contro natura”, chiamando per nome quella negatività che vediamo nel mondo, ma ancora prima nasce in noi. Tutti abbiamo incontrato un carattere predatorio, che desidera potere e distruzione, e, guardandoci allo specchio, abbiamo visto che in parte lo abbiamo dentro. Un fatto che “tutte le donne devono riconoscere: sia all’interno sia all’esterno c’è una forza maligna che agirà in opposizione agli istinti del sè naturale e quella forza maligna è quel che è.” Dopo aver parlato di risveglio e soprusi, passa nella terza sezione a descrivere nel dettaglio il viaggio, a partire dal modello della storia Vassillissa, che mostra come l’intuito sia la nostra guida. Il racconto Manawee, da un punto di vista archetipo, tratta del mistero della natura duale delle donne. “Chiunque si accosti a una donna, si trova in effetti in presenza di due donne: un essere esterno e una creatura interiore, una che vive nel mondo di sopra e una che vive in un mondo non facilmente visibile”. In questo modo tratta altri due piani dell’anima, che nella vita pratica sono rispettivamente le risposte alle domande “Che cosa vuoi?” e “Che cosa desidera il tuo Sé più profondo?”. A quanto punto, l’argomentazione può dedicarsi a discutere d’amore, rappresentato da La Donna Scheletro: elenca le fasi dell’unione con l’altro che, come ogni elemento del mondo della Madre Vita/Morte/Vita, è un lungo processo che richiede forza, impegno e sacrifici. Nella sesta sezione, si affronta il tema del branco, la famiglia d’appartenenza, a partire dalla rinomata fiaba Il Brutto Anatroccolo. Dopo una lunga digressione sul mondo della Donna Selvaggia, si ritorna ora sul suo cammino, con un’analisi sul corpo che provoca conflitti, e sulle nuove trappole da cui tenersi lontane, con la macabra storia Scarpette Rosse. Il nono capitolo è dedicato alla casa, quella dimensione di protezione che è fuori e dentro di noi. Verso la conclusione, il testo tocca poi i temi della vita creativa, parte fondante del processo di ricerca del Sé, la sessualità, parte imprescindibile del corpo e della mente, e le altre forze della psiche. Alla fine, riprende dalle storie, chiudendo il cerchio.
Donne che corrono coi lupi è un libro strutturalmente e stilisticamente innovativo e avvolgente. L’opera si apprezza se viene letta con una totale immersione nel mondo dell’autrice, che non solo ha studiato, ma ha vissuto e vive di quel che racconta. Difatti, i passaggi in cui prova ad addentrarsi in terreni metafisici e spirituali sono inconsistenti: dato che l’unica dimostrazione della tesi che propone sono le storie che ha udito e selezionato, così va guardato il libro, solo come una storia. È un romanzo di genere da tenere sul comodino e sfogliare quando si ha bisogno di racconti antichi, di natura, di incoraggiamento. Oppure, perché no, se si ha abbastanza fiducia, è da consultarsi anche per sentire l’ombra della Donna Selvaggia che corre dietro di noi.
Vittoria Elena Fabbro