
Ora, come puoi spiegare in che modo
lui chinava il capo, come per deprecare
se stesso, e sollevava gli occhi a te
timidamente, come fa un bambino…
Come si era insinuato nel tuo cuore:
dolce, adorante, giocondo…
Lui diceva: “Tu sei così forte amore.
E io lo credevo. Io Lo credevo!”
Pubblicato per la prima volta nel 1970, Donne che amano troppo, scritto da Robin Norwood, psicoterapeuta americana, è diventato un best seller da cinque milioni di copie vendute. L’edizione italiana, a cura di Feltrinelli, è preceduta da una presentazione di Dacia Maraini.
Ma che cosa significa “amare troppo”? Nelle parole della Norwood “amare troppo è calpestare, annullare sé stesse per dedicarsi completamente a cambiare un uomo “sbagliato” per noi che ci ossessiona, naturalmente senza riuscirci.”
Essenzialmente, dunque, le “donne che amano troppo” sono quelle sempre alla ricerca di un uomo non disponibile, in tutti i sensi possibili, sia perché irraggiungibile o timoroso di una vera intimità, sia perché troppo preso da sé stesso, oppure sempre freddo e distante o addirittura perché sadico o violento.
Secondo la tesi della psicoterapeuta, alcune donne sono sistematicamente attratte da questo tipo di uomini. Probabilmente, suggerisce la studiosa, la causa primaria sono dinamiche affettive sbagliate che hanno segnato la l’infanzia di queste donne – genitori anaffettivi o altrettanto irraggiungibili degli uomini da cui, in età adulte, saranno inesorabilmente attratte. La conseguenza è che finiranno per avere una visione errata, malata, dell’amore e rimarranno continuamente invischiate nella medesima relazione disfunzionale.
Per queste donne, sono diversi i sentimenti che vengono confusi con l’amore. In primo luogo la passione: “la società in cui viviamo […] confonde continuamente le due specie di amore. Ci si promette in mille modi che una relazione appassionata ci darà appagamento e gioia. Infatti, è sottointeso che, se la passione è abbastanza intensa, ne nascerà un legame duraturo. [Ma] questa premessa è falsa”. Ma anche la paura può portare a scegliere di legarsi all’uomo sbagliato, senza riuscire a distaccarsene, “paura di restare sole, paura di non essere degne di amore e di considerazione, paura di essere ignorate, abbandonate o annichilite”.
C’è qualcosa di disturbante in questo libro. Il fatto che si presenti come l’ennesimo manuale di autoaiuto dedicato alle donne, per esempio, come se le donne abbiano sempre bisogno di qualcuno che dica loro che cosa fare. O forse l’eccessiva linearità del rapporto causa/effetto (tuo padre era un tipo distante, dunque cercherai una relazione con un uomo altrettanto distante) che è tipico di una certa cultura psicanalitica. O infine la banalità sconcertante di alcuni suoi consigli – coltiva la tua autostima, affronta i tuoi problemi con coraggio, amati! – quasi aforismi da cioccolatini.
Tuttavia, è pur vero che l’equazione amore uguale sofferenza è purtroppo fondamento di tutta una narrazione romantica, che impregna film, romanzi e canzoni e persino fiabe per bambini, e la donna, per pregiudizio culturale ancora diffuso, è colei che si realizza nell’annullarsi nella cura degli altri (adattandosi, come dice la Maraini nella presentazione, “a fare da infermiera, da serva, da madre, da sorella, da confidente, da consolatrice, da aiutante”).
Ma davvero un libro del 1970 ha ancora qualcosa da dire alle donne di oggi?
Il 31,5% delle donne dai 16 a 70 anni ha subito nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Sono dati Istat presentati in occasione della giornata contro la violenza sulle donne (25 novembre). Si parla di 6 milioni e 788 mila donne, e non sono incluse le violenze psicologiche.
Dunque, Donne che amano troppo, lungi dall’essere un libro datato, è quantomai attuale. E se la sua rilettura avrà il merito di far raggiungere una più profonda consapevolezza sul proprio valore anche a una sola donna, facendole comprendere che “quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo”, avrà comunque raggiunto il suo scopo.
Silvia Maina