“Domenico Losurdo tra filosofia, storia e politica” a cura di Stefano G. Azzarà, Paolo Ercolani ed Emanuela Susca

Prof. Stefano G. Azzarà, Lei ha curato con Paolo Ercolani ed Emanuela Susca l’edizione del libro Domenico Losurdo tra filosofia, storia e politica pubblicato da La scuola di Pitagora: quale importanza riveste, per la storia del pensiero del Novecento, la figura di Domenico Losurdo?
Domenico Losurdo tra filosofia, storia e politica, Stefano G. Azzarà, Paolo Ercolani, Emanuela SuscaIl libro raccoglie interventi di alcuni tra i colleghi e i collaboratori che più sono stati vicini a Losurdo nel corso degli anni. Già nella sua struttura tematica questo volume mette in evidenza gli ambiti di interesse di Losurdo e quelle problematiche rispetto alle quali il suo apporto è stato più fecondo e originale, sino a risultare oggi imprescindibile per la comprensione di alcune questioni. Si tratta anzitutto del lavoro di Losurdo sulla filosofia classica tedesca: rileggendo quell’esperienza a partire dal suo rapporto con la Rivoluzione francese, Losurdo è intervenuto sull’interpretazione che del posizionamento politico di Kant è ancora prevalente nella storiografia, mostrando quanto stretto sia sempre stato il rapporto tra il pensiero del filosofo tedesco e gli eventi rivoluzionari. In particolare, questa rilettura passa per una sottile reinterpretazione della contestazione kantiana del diritto di resistenza, solitamente intesa come una manifestazione di moderatismo. Losurdo dimostra come Kant non stesse affatto condannando la rivoluzione ma, piuttosto, pensasse in quel momento – esattamente al contrario – al rischio incombente di una sovversione dei nuovi ordinamenti che da essa erano scaturiti, sotto attacco in quel momento da parte delle forze legittimiste e dalla reazione dell’Ancien Régime europeo. Le istituzioni rivoluzionarie, nella loro ispirazione repubblicana, erano invece secondo Kant la traduzione sul terreno politico dell’autonomia della ragione, la quale è superiore rispetto ad ogni privilegio particolaristico e feudale. Un medesimo ragionamento va fatto per Hegel, considerato tuttora come filosofo reazionario e statolatra, capostipite di ogni reazione illiberale. In realtà Hegel è molto più avanti del liberalismo del proprio tempo. Allo Stato assegna il compito di intervenire nelle contraddizioni della società civile rappresentando l’universalità di una legge che già sul piano formale è sovraordinata rispetto agli egoismi privati e di ceto. La teoria hegeliana del Notrecht, del diritto del bisogno estremo, afferma la priorità del diritto alla vita, e cioè dei diritti economici e sociali, rispetto allo stesso diritto di proprietà. Alla luce di questa e altre considerazioni, l’immagine di Hegel è mutata in maniera irreversibile, anche se i settori più arretrati della storiografia filosofica fanno fatica a riconoscerlo. Losurdo, andando per sintesi, si è poi confrontato con il liberalismo, la visione del mondo uscita trionfante dai conflitti degli ultimi due secoli di storia universale, a partire da una distruzione radicale dell’autocoscienza del liberalismo come pensiero della libertà individuale. Al contrario, per Losurdo il liberalismo è l’autocoscienza dei ben nati o dei ben riusciti, i quali limitando il potere centrale si assicurano un potere assoluto senza precedenti nei confronti degli strati sociali o dei popoli subalterni, mediante la definizione di uno spazio sacro della libertà nel quale cooptare o escludere l’Altro in maniera flessibile e secondo i rapporti di forza legati alla situazione concreta. Infine, Losurdo vive l’esperienza della sconfitta del movimento comunista e del marxismo in Europa e in Occidente. Da qui una sorta di autocritica del marxismo che lo porta alle soglie di una vera e propria rifondazione del materialismo storico che muove da una comparazione tra marxismo occidentale e marxismo orientale ovvero tra quel marxismo che è rimasto legato all’utopia e quel marxismo che si è confrontato con il potere e la costruzione dello Stato. Sarebbe complicato entrare nel merito: basti dire che per Losurdo il marxismo è quel pensiero che riesce a universalizzare le promesse del liberalismo, andando oltre ogni concezione binaria e verticale del potere (Stato contro individuo: e il potere che nasce e vive dentro la società civile?) e assumendo l’eredità dei punti alti della tradizione culturale europea, a partire dalla condivisione del terreno della modernità. Sfrondato da ogni messianismo – quel messianismo che ha portato i marxisti a misconoscere la questione nazionale e il ruolo oggettivo delle istituzioni – il marxismo ha per Losurdo ancora un futuro, come dimostra l’esperienza della Repubblica popolare cinese.

Quale funzione ha, per Losurdo, la filosofia?
La filosofia è per Losurdo ciò che era per Hegel ovvero il nostro tempo appreso nel concetto: la comprensione delle tendenze fondamentali della storia e di ciascuna epoca, ottenuta tramite quel lavoro di “critica” che da Kant a Hegel a Marx è anzitutto comprensione dell’oggettività del reale. Proprio la presenza nella realtà di contraddizioni immanenti, di natura oggettiva (non solo, fichtianamente, della contraddizione soggetto/oggetto, io/non io), costituisce la condizione per l’azione organizzata e consapevole dei soggetti storici. Al tempo stesso, la filosofia ha per Losurdo una potenza di trascendimento dell’esistente che consente di vedere la possibilità di nuove e diverse configurazioni degli ordinamenti politici e sociali. Centrale, in questa valutazione, l’analisi della genesi e dell’affermazione del concetto universale di uomo, che è una acquisizione storica nella quale viene riflesso il processo di costruzione del genere umano che si verifica nelle dinamiche storico-politiche.

Che nesso esiste, per Losurdo, tra filosofia e politica?
La politica costituisce per Losurdo il banco di prova della filosofia, il suo experimentum crucis. Proprio perché la filosofia deve comprendere il proprio tempo, il giudizio politico – cosa è progressivo, cosa reazionario; dov’è la destra, dove la sinistra – è il suo ritorno al mondo e alla realtà dopo il momento dell’analisi e della riflessione. Non si contano le filosofie e le metafisiche sistematiche, anche grandiose, che però hanno fallito di fronte alla politica. Pensiamo all’opera di giganti del pensiero come Schmitt o Heidegger: ebbene, nel momento di confrontarsi con il mondo queste filosofie falliscono clamorosamente e si schierano dalla parte della reazione. È la conseguenza di una inadeguata elaborazione del nesso tra universale e particolare, una questione che della filosofia di Losurdo costituisce il cuore pulsante. Esiste un particolarismo incapace di trascendere gli interessi privati o di parte, e che coincide con la destra, la quale non riesce a pensare l’uomo e la donna nella loro universalità. Esiste però anche una universalità “imperiale”, e cioè aggressiva, che concepisce questi concetti in maniera astratta e immediata, pretendendo di imporli a chiunque in ogni tempo e in ogni luogo (pensiamo al dirittumanismo odierno), e che non è capace di sussumere il particolare sotto l’universale tenendo conto delle sue ragioni. Si tratta, ancora con Hegel, di pensare una forma di universalismo concreto che consenta la coesistenza e il dialogo di forme di razionalità anche diverse a partire dall’individuazione di un terreno condiviso di metarazionalità.

Qual è l’eredità filosofica di Domenico Losurdo?
Losurdo ha scritto molto e molto ha lasciato. Dopo la sua morte i collaboratori più stretti hanno costituito il Gruppo di ricerca “Domenico Losurdo”, coordinato da Giorgio Grimaldi, che unisce università e ricercatori italiani e stranieri. Il Gruppo sta lavorando alla ripubblicazione di alcuni testi ormai introvabili: abbiamo fatto sì che Bollati Boringhieri rendesse nuovamente disponibile Democrazia o bonapartismo, ad esempio, un testo imprescindibile per comprendere i processi di concentrazione del potere nella società postmoderna; abbiamo inoltre curato la nuova edizione delle Filosofie del diritto di Hegel, una analisi comparatistica attraverso la quale Losurdo fa emergere la carica progressiva e emancipazionista del pensiero hegeliano. Dell’attività del Gruppo fa parte la pubblicazione del mio libro La comune umanità. Memoria di Hegel, critica del liberalismo e ricostruzione del materialismo storico in Domenico Losurdo (La scuola di Pitagora). Soprattutto, il Gruppo sta lavorando sugli inediti e cioè su una enorme quantità di materiali presenti nei computer e nei supporti informatici di Losurdo, per la cui rielaborazione l’Università di Urbino ha messo a disposizione dei finanziamenti. Non posso ancora dire nulla ma presto, su questo piano, ci sarà una bella sorpresa.

Per quanto riguarda l’eredità filosofica più generale, questa riguarda anzitutto la ricostruzione del marxismo nelle condizioni del XXI secolo. Il materialismo storico e la teoria della lotta di classe sono ripensati come una teoria generale del conflitto, che consente di leggere le forme principali di conflitto presenti nelle società storiche: il conflitto di genere, quello tra i raggruppamenti sociali veri e propri, quello tra le nazioni e le grandi centrali colonialiste o imperialistiche. Per come è messo il mondo odierno, c’è una grande quantità di problemi di contraddizioni che aspettano di essere reinterpretate in questa chiave. Nel mio minuscolo, è quanto cerco di fare nel mio ultimo libro, Il virus dell’Occidente. Universalismo astratto e sovranismo particolarista di fronte allo stato d’eccezione (Mimesis), nel quale tra le altre cose cerco di ricostruire le risposte della filosofia italiana di fronte alla pandemia, tematizzando la sua subalternità alla visione liberale del potere e la sua incapacità di riconoscere realmente l’altro (esperienze e ordinamenti politici e sociali diversi da quelli occidentali) e di dialogare con essi. Un rifiuto e una chiusura, palesi in Agamben e altri autori ma non meno accentuati nelle frange “sovraniste” e comunitariste, che hanno portato l’Occidente di fronte al rischio del suicidio, visto che sino all’ultimo – e ancora oggi, per certi aspetti – è stata negata anche la realtà stessa di un’emergenza che sembrava potesse colpire altri mondi, più arretrati e opachi, ma non certamente l’inscalfibile e invulnerabile realtà della società capitalistica, con le sue legge “naturali” ed eterne di funzionamento.

Stefano G. Azzarà (Messina, 1970) insegna Storia della filosofia all’Università di Urbino. È segretario alla presidenza della Internationale Gesellschaft Hegel-Marx e dirige la rivista scientifica “Materialismo Storico”. Il suo lavoro si concentra sul confronto tra le grandi tradizioni filosofiche e politiche degli ultimi due secoli: conservatorismo, liberalismo, marxismo. Ha pubblicato diverse monografie e numerosi articoli su riviste italiane e internazionali.

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