“Domare il drago. Laboratorio di poesia per dare forma alle emozioni nascoste” di Isabella Leardini

Dott.ssa Isabella Leardini, Lei è autrice del libro Domare il drago. Laboratorio di poesia per dare forma alle emozioni nascoste edito da Mondadori: poeti si nasce o si diventa?
Domare il drago. Laboratorio di poesia per dare forma alle emozioni nascoste, Isabella LeardiniPrima si nasce e poi si diventa. I grandi poeti non hanno scelta, la poesia è una lingua che parla attraverso di loro e malgrado loro; il compito di chi nasce poeta è diventarlo fino in fondo. Non è soltanto talento e spesso non è neanche un merito, affrontare il proprio dono per loro è un prezzo che il destino trova il modo di imporre. Questo riguarda le grandi voci che si avvicendano nei secoli, ma la poesia come ogni arte non è soltanto materia del genio: anche se i grandi poeti sono pochi la poesia sa essere di molti, perché il linguaggio poetico è qualcosa che ognuno prima o poi sperimenta, qualcosa che ognuno può usare nella propria vita. È un istinto innato, lo dimostrano i bambini che senza accorgersene riaccendono le parole in immagini e ritmo. Un laboratorio di poesia non fa diventare poeti, ma è un’esperienza che può rivelare molte cose: dai grandi poeti possiamo imparare l’attenzione appassionata e la ricerca di una parola che ci assomigli.

Quale ruolo per la poesia in una società come la nostra?
Un ruolo fondamentale: custodire il simbolico e la sua potenza antica. Il nostro tempo usa il simbolo in modo compulsivo, rischia di farne svuotata punteggiatura; la poesia invece – anche inconsapevolmente – si tiene salda a ciò che è radicato e a ciò che va in profondità, difende la complessità, l’invisibile, l’energia tragica che questa epoca sembra sfuggire o neutralizzare. La poesia entra da marginale nel sistema di comunicazione del nostro tempo, mette radici e come ogni specie resistente trova un modo per sopravvivere.

Perché è importante la poesia?
Perché è resistenza e in un certo senso è anche immortalità: piccolo organismo povero e perfetto, la grande poesia resta nel tempo come nient’altro; la storia lo dimostra. Saffo, Dante, Shakespeare non diventano puro reperto, continuano ad essere corpo vivo, annullano la distanza psicologica della storia e attraverso di loro vive anche il loro tempo. Se la nostra epoca non trova i suoi grandi poeti, anche se non fa altro che documentare se stessa, parlerà di noi solo come documento.

In che modo la poesia può servirci?
«Sono riuscita a dire cose che credevo non sarei mai riuscita a dire, perché non sapevo come dirle» è la risposta che mi ha dato una ragazzina di dodici anni, alla fine del laboratorio che tenevo nel reparto di disturbi del comportamento alimentare; in quell’esperienza ho capito che la poesia può incidere nella vita di qualcuno in modo decisivo. La poesia serve a dire l’indicibile, fronteggia il limite e porta fuori una misteriosa corrente che cerca una forma. È un’energia che si misura con il bene ma anche con il male: la poesia non pacifica il dolore, l’ansia, la paura, ma li compie in una forma capace di dargli dignità e bellezza, quanto più li ascolta con esattezza e li lascia parlare, tanto più li libera. C’è qualcosa di magico in questo: la natura ritmica e visionaria del linguaggio poetico ritrova la forza misteriosa e primitiva della parola, agisce sulla nostra vita.

In cosa consiste il “metodo dei sette sì”?
Sono sette sì da dire alla poesia, uno dopo l’altro. Il primo sì è al silenzio in cui la parola può nascere e prendere forma, imparare ad ascoltarlo è il primo passo per scrivere. Il secondo sì è alla parola, da afferrare mentre si fa strada nel mistero dell’ispirazione, arriva come qualcosa che viene dettato dall’interno e inizia a prendere forma. Il terzo sì è all’altro, ci porta a scoprire il nostro «tu»: il vero destinatario delle nostre parole, che spesso è nascosto e dobbiamo riconoscerlo. Il quarto sì è il lavoro sul testo, l’appassionante ricerca della parola insostituibile: qui si svelano i trucchi del mestiere, i rischi e i tranelli; scrivere meglio è solo la conseguenza di ciò che il lavoro sul testo mette nelle nostre mani. Il quinto sì è la discesa nell’abisso della coscienza, è toccare il nodo, trovare il nostro grande argomento e avere il coraggio di guardarlo. Il sesto sì è la scrittura che si fa corpo nella voce e si libera ancora, il settimo sì è la forma fissata in un manoscritto o in un piccolo libro da costruire con le proprie mani. Per questa grande caccia alla ricerca di una verità, ho usato le parole dei grandi poeti, i miti, le fiabe, le storie e i versi di tanti ragazzi incontrati nei miei laboratori; il metodo infatti è anche una narrazione, protagonisti sono una trentina di ragazzi tra gli undici e i vent’anni, con la loro vita e le loro incredibili voci.

Cos’è per Lei la poesia?
Una belva alata, che attraversa l’altezza e il sommerso, con un corpo che non appare mai intero: una parte resta sempre invisibile come un segreto che nessuno può toccare. Difende una perla di conoscenza e il suo nome significa occhio: per me il drago è la poesia.

A quale poeta è particolarmente legata?
C’è una costellazione di poetesse che mi accompagna. Emily Dickinson che è miracolosa e inesauribile, Anna Achmatova che ha formato la mia poesia, Edna St. Vincent Millay, Marina Cvetaeva, Marianne Moore che è un prisma, l’indomabile Sylvia Plath, la rivoluzionaria Elizabeth Barrett Browning e Cristina Campo, esatta come un diamante.

Quale futuro per la poesia?
Un bellissimo futuro, migliore di quanto si creda, come dopo una grande mareggiata. Ci sono lingue lontanissime e enormi ferite che entrano come energia nuova in una letteratura così antica, io credo che sulla distanza questo porterà alla poesia nuove voci imprevedibili.

Si racconti con una Sua poesia.
Sono io la rondine bianca
la perfezione dello scherzo di natura
che non si vede finché non si posa
l’eccezione che sparisce contro il cielo
dentro la frenesia di tutti i voli.
Nessuno la crede capace
di arrivare dove tutte vanno
nessuno ferma il suo impazzire chiaro.
Sembrava solo quella che s’illude
l’intrusa scappata da un balcone
che non tocca la fine del mare.
Guardate come compie il suo cerchio
senza il marchio della disperazione
la rondine passata nell’inverno
quella che può resistere alla neve
che dorme bianca vicino a te.

da Una stagione d’aria, Donzelli Editore, 2017

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