
a cura di Tommaso Gnoli e Federicomaria Muccioli
Bononia University Press
«Questo volume vede la sua genesi in un convegno internazionale sul tema dell’apoteosi tenutosi a Ravenna il 15 – 17 marzo 2012 […] Non si tratta però di una semplice riproposizione delle relazioni esposte in quella sede, in quanto se ne sono poi aggiunte altre, su alcuni periodi o aspetti ritenuti particolarmente importanti o meritevoli di approfondimenti. […] L’intento dei curatori è quello di offrire un quadro generale sul fenomeno della divinizzazione, del culto del sovrano e, più nello specifico, dell’apoteosi, con interesse anche al Nachleben, volgendo l’attenzione non solo al mondo greco-romano, come di consueto nella storia degli studi, ma anche, pur senza pretesa di esaustività, a realtà politiche e religiose parallele, e in alcuni casi addirittura tangenti, quali quelle iraniche o iranizzate (dagli Achemenidi ai Parti, fino ai Sassanidi). […]
È bene precisare che il concetto di apoteosi rischia di essere fuorviante se applicato al mondo greco (a meno che lo si vincoli strettamente o lo si sovrapponga tout court a quello di divinizzazione, con tutte le sue sfumature). Colà, infatti, l’uso del termine (e derivati) applicato ad una vera e propria divinizzazione può sembrare quanto meno improprio, ed è usato per lo più in absentia o presupposto aprioristicamente. Infatti è pur vero che Polibio accusa Callistene di aver divinizzato Alessandro, usando proprio ἀποθεοῡν, ma la vis polemica dello storico acheo va sfumata e senz’altro va riconosciuta una certa imprecisione, tanto più nell’uso del verbo.
In chiave più generale, si può affermare che le fonti, generalmente, evitino proprio di usare tale verbo e il sostantivo relativo. Anzi, quelle letterarie (e molto spesso anche quelle epigrafiche) non offrono descrizioni particolareggiate dell’apoteosi, nonostante la prima, riconosciuta apoteosi, exemplum fondante per buona parte dell’antichità, sia quella di Eracle (modello, dichiarato o meno, per molti protagonisti della storia greca, come Lisandro e Alessandro Magno). Anche quando si assiste a descrizioni di fenomeni di divinizzazione, occorre considerare con molta cautela la possibile interpretatio romana. Così, per citare solo un caso assai discusso nella scholarship degli ultimi anni, l’atleta Eutimo di Locri venne onorato per la sua impresa contro l’eroe di Temesa nel V secolo: un culto, peraltro ignorato da Pausania (notoriamente ben informato sugli atleti, e su questo personaggio in particolare, e sugli onori ad essi resi post mortem), che viene variamente definito o interpretato come eroico ovvero divino. Secondo la testimonianza di Plinio, costui, addirittura, consecratus est. Anche se è vero che l’erudito romano attinge qui a Callimaco, è indubbio che si assista ad una sovrapposizione, quanto meno linguistica, tra mondo greco e mondo romano […].
In buona sostanza, indipendentemente dal tentativo di scorgere connessioni e una visione unitaria, difficilmente si potrà considerare il mondo greco speculare a quello romano per quanto riguarda il fenomeno strettamente correlato all’apoteosi, che trova, notoriamente, la sua mordace parodia nel senecano Ludus de morte Claudii o Divi Claudii Ludus de morte Claudii, spesso noto con il titolo Apokolokyntosis, tràdito da Cassio Dione.
Altri sono i tratti che possono essere accomunati o comunque accostati, nell’interpretazione dei moderni, anche in una prospettiva che tenda a creare un continuum, per quanto disomogeneo, tra mondo greco e mondo romano. Il Ruler Cult, nelle sue diverse forme, di cui l’apoteosi (con la sua creazione/rielaborazione soprattutto in ambito imperiale romano) costituisce il momento più evidente, anche e soprattutto dal punto di vista del rituale, è stato spesso considerato una forma di instrumentum regni. È palmare che dietro l’uso di termini come isotheos oppure hemitheos si celi la volontà di creare una limitazione allo status divino, ovvero evitare una perfetta e pericolosa sovrapposizione con le divinità tradizionali. Nelle dinamiche politiche di età ellenistica tra sovrano, regno e singole poleis (a lui collegate, a diverso titolo) la divinità del monarca, nonostante rigidi rituali e prassi cultuali, è una divinità ‘funzionale’, ovvero in stretta (e, vista con occhi moderni, cinica) connessione con la temperie e l’opportunità politica. Particolarmente significativi a riguardo sono i casi di Antioco III e Laodice III a Teos, oppure quello di Stratonice moglie di Seleuco I e poi di Antioco I, che a Smirne diviene Afrodite Stratonikis (accettando l’ipotesi, ampiamente diffusa, che sia lei la sovrana in questione) e presentata come tale nel mondo greco. Smirne, pronta più di altre città d’Asia Minore a cogliere il cambiamento politico e a stabilire un rapporto privilegiato con i Seleucidi, fu poi la prima a offrire un tempio alla Dea Roma nel l95 a.C. Non sorprende affatto, conseguentemente, che Livia, moglie di Augusto, sia stata gratificata dell’epiteto di Stratonikis, in un ideale passaggio di consegne a livello cultuale tra mondo ellenistico e imperium romano.
Tenuto conto di ciò, è inevitabile che una chiave interpretativa ricorrente nel volume sia quella di analizzare la divinizzazione nella sua dimensione politica, in senso lato. Tralasciando le possibili corrispondenze o somiglianze con la cosiddetta ‘religione della politica’, per usare una categoria interpretativa che ha avuto un certo successo nell’analisi soprattutto dei regimi monocratici o dittatoriali del XX secolo, tale scelta non può prescindere da tutta una serie di tematiche attinenti al problema, invero complesso, dei rapporti tra politica e religione: la sacralizzazione del potere, la politicizzazione della religione, la religione civile e la religione politica (oltre alla succitata religione della politica) o anche la teologia politica.
Accanto all’aspetto ‘politico’ della divinizzazione, quasi sempre soggetto alla temperie politica, nonostante indubbi fenomeni di persistenze cultuali, dall’età ellenistica a quella romana, per non parlare delle tardive rivitalizzazioni (anche cultuali) o creazione ex novo di culti per personaggi entrati nella memoria storica greca, vi sono indubbiamente altri elementi, che vanno considerati e adeguatamente apprezzati e che interagiscono inevitabilmente con quell’aspetto, permettendo una precisa contestualizzazione del culto del sovrano (Ruler Cult/Herrscherkult) e dell’apoteosi, anche nei suoi processi di trasformazione ed evoluzione. Il termine culto, anzitutto, comunemente usato nelle principali lingue scientifiche per indicare questo fenomeno, ha in sé una certa ambiguità, giacché comporta il ricorso a strumenti e linguaggi tecnici che sono propriamente tangenti alla sfera religiosa della polis o della comunità. Altra discriminante, a parte il momento topico dell’apoteosi vera e propria, è il tentativo di ritualizzare questi onori cultuali, sovrapponendoli, accostandoli o anche apponendoli al calendario religioso tradizionale.
Nelle intenzioni di chi lo sollecita e di chi lo introduce in contesti dinastici o civici, il culto diventa una pratica religiosa ufficiale, regolamentata dalle strutture politiche che presiedono al controllo della sfera religiosa e questa considerazione vale sia nell’ambito della polis (e nelle realtà ellenistiche) sia, tanto più, in una società più complessa e stratificata, come l’ecumene sotto l’imperium Romanum. È un controllo, esercitato spesso anche dall’alto, che esercita la sua influenza nelle pratiche rituali, controllandole e regolamentandole; una considerazione questa che non riguarda solo i culti divini ed eroici qui presi in esame, ma anche, ad es., la sfera funeraria e la sua rappresentazione pubblica.
Ma non si può dimenticare anche il motivo prettamente religioso e ‘devozionale’, finora sotteso o spesso eluso, e che pure è tangibile, pur se soffocato da fonti letterarie e documentarie che tendono a ignorarlo o a sottostimarlo, per motivi diversi. È un aspetto trasversale a tutta la civiltà greca, nelle diverse forme cultuali, e che obbliga anche a riconsiderare dogmi o cesure particolarmente significative o a vederle sotto una luce diversa.
Infatti, riguardo al mondo greco (inteso in senso estensivo, fino alla fine dei regni ellenistici), per lungo tempo la critica si è soffermata soprattutto su Alessandro Magno, con relativa attenzione ai prodromi cultuali di tipo divino (su tutti, Lisandro). Agli occhi di chi scrive, risulta però metodologicamente proponibile e fecondo inserire la divinizzazione di Alessandro, considerata peraltro giustamente momento imprescindibile a livello politico e religioso, nell’ambito di un lungo periodo di ‘fluidità’ cultuale, con un’interazione tra culti eroici e culti divini e compresenza reciproca anche nella stessa età ellenistica. Tralasciando la nota richiesta del Macedone circa il culto più appropriato per l’amico defunto Efestione, basterà solo ricordare come accanto alla divinizzazione del figlio di Filippo II in Egitto (e alla sua presenza nel culto dinastico dei Tolemei) vi sia anche un suo vero e proprio culto del fondatore ad Alessandria, che si richiama a quello ecistico, che durò almeno fino al II secolo d.C., fenomeno che trova un importante pendant in altre città di nuova fondazione nella prima età ellenistica, sia pure in modo difficilmente documentabile. Una fluidità e, anzi, dialogicità, dunque, che conoscono fenomeni di resistenza, più o meno palese, alla nuova temperie, con ritorni al passato o rivitalizzazioni di culti per divinità tradizionali.»