
Va infine aggiunto per chiarezza che esistono diversi tipi di disuguaglianza, non solo quella economica, ma anche quella di genere, generazionale, o etnica. Ma in questa ricerca alla fine l’attenzione si è concentrata soprattutto sulla disuguaglianza economica.
Quali sono i fattori istituzionali e gli attori che possono promuovere le diverse uguaglianze?
Sia in questa ricerca che in un lavoro precedente (Libertà, Uguaglianza, democrazia. L’Europa dopo la Grande Recessione, 2021), si è visto come alcuni fattori istituzionali, sia politici che economici, assicurano il contesto più favorevole alla predisposizione e realizzazione di politiche di riduzione della disuguaglianza. Se ci fermiamo sui fattori politici interni, anche per quello che abbiamo appena sostenuto, va ricordata l’essenziale importanza che rivestono la presenza di diritti garantiti efficacemente. Altri fattori istituzionali di contesto riguardano i diversi aspetti dello stato di diritto, quali il mantenimento dell’ordine pubblico, la presenza di un’amministrazione effettiva e funzionante, un giudiziario indipendente, l’assenza di corruzione. Qui, non va dimenticato un altro elemento più specifico. Ovvero in democrazie consensuali caratterizzate non solo da leggi elettorali proporzionali e assetti parlamentari ma anche da rapporti negoziali, più o meno istituzionalizzati, tra i gruppi di interesse, allora abbiamo un welfare più sviluppato e, dunque, nell’insieme una minore disuguaglianza socioeconomica. Il che significa che siamo in un’economia di mercato coordinate. Ed è questo l’ulteriore fattore di contesto di cui dobbiamo tenere contro come elemento che facilita la possibilità di politiche di riduzione delle disuguaglianze.
In quanto agli attori interni, è stata tradizionalmente la sinistra a sostenere quelle politiche per avere minore disuguaglianza, ma gli ultimi trenta anni hanno mostrato che per ragioni di strategia elettorali le sinistre di alcuni paesi abbiamo cominciato a guardare ad elettori moderati di centro ed adattare conseguentemente le proprie politiche; le forze di destra abbiamo inglobato nei propri programmi la difesa di diritti sociali, e in alcuni paesi questo ha lasciato spazio a movimenti e partiti di protesta che hanno proposto modalità di riduzione delle disuguaglianza che hanno avuto il sostegno di ampie schiere di cittadini. A proposito si è parlato di partiti neopopulisti che avrebbero dovuto successivamente rivedere le proprie posizioni se fossero diventate forze di governo, come è in parte avvenuto.
Quali sono le politiche ugualitarie più sostenibili?
Per chiarezza, va subito detto che a questa domanda si può rispondere in un solo modo: le politiche fiscali possono avere effetti redistributivi, e possono essere anche sostenibili. Però, nelle attuali democrazie i governi e le relative maggioranze parlamentari, che sostengano queste politiche, specie in assenza di crescita, sono difficili da trovare e, se si trovassero, difficili da mantenere. Dunque, le politiche che in concreto trovano più sostegno sono quello contro la povertà e di fatto quelle più perseguite ad esempio, con la creazione del cosiddetto reddito di cittadinanza, che tuttavia è ancora messo in discussione in qualche paese dalla destra. L’Italia ne è un esempio.
La sinistra, oggi, è ancora protagonista di quelle politiche?
La sinistra è stata tradizionalmente sostenitrici di programmi di riduzione delle disuguaglianze, e se al governo, delle politiche conseguenti. Sin dai primi anni di questo secolo con la ‘terza via’ inglese e tedesca, queste politiche sono state messe in sordina, e in parte riprese solo recentemente dal partito laburista. Però, in altri paesi i partiti socialisti in coalizione con l’estrema sinistra (Portogallo), con partiti di protesta come Podemos (Spagna), con partiti cristiani (Belgio) o altri partiti di centro-sinistra (Irlanda) sono riusciti a realizzare politiche che hanno diminuito le disuguaglianze complessive in quei paesi.
Qual è la domanda effettiva di uguaglianza nelle nostre democrazie?
Questo è un quesito molto rilevante. La domanda di uguaglianza cambia nel tempo e riguarda soprattutto i paesi con problemi più gravi in termini di minori diritti sociali e maggiore povertà. La domanda si è in parte accentuata sia dopo la Grande Recessione che con la pandemia, anche se le democrazie europee hanno mostrato una notevole capacità di reazione/adattamento alle condizioni economiche più sfavorevoli. Quindi, quella che è aumentata relativamente di più è stata la povertà con la relativa domanda di contrastarla.
Quali sono i maggiori ostacoli all’uguaglianza?
Gli ostacoli di cui ci stiamo vincoli occupando sono quelli che frenano o bloccano l’implementazione di decisioni di politiche redistributive. Ci sono ostacoli interni ed ostacoli esterni. Tra i primi, alcuni sono di politica economica (debito pubblico), altri sono procedurali e istituzionali, come le stesse regole maggioritarie che alla fine predispongono un contesto meno favorevole alla redistribuzione. Altri ancora sono collegati ai meccanismi propri del consenso democratico in certi ambienti culturali tradizionali o semi-tradizionali (clientelismo). Costituiscono ostacoli esterni i livelli di convergenza/divergenza nello sviluppo economico, le trasformazioni del capitalismo in direzione neoliberale, e l’impatto esiziale della globalizzazione. Sta alla capacità e abilità dei leader superare, aggirare, neutralizzare quegli ostacoli interni ed esterni alla loro azione.
Che ruolo svolge, a riguardo, l’Unione Europea?
In sintesi, al di là delle dichiarazioni per un’Europa coesa e solidale, e delle simpatie o antipatie che si possono avere verso l’Unione, il ruolo essenziale sta nel contribuire a costruire quel contesto di rule of law, libertà, e anche attenuazione degli ostacoli che possono mettere più facilmente i leader che sostengono politiche di riduzione delle disuguaglianze ad attuarle. Va subito aggiunto che quando c’è stata la pandemia, la precedente esperienza e i ritardi nella reazione alla Gande Recessione hanno spinto l’Unione a un intervento più diretto e rilevante specie con il PNRR.
Ridurre le disuguaglianze è dunque possibile?
Sì, sappiamo che è possibile, ed è stato fatto in alcuni paesi anche in questi anni, per quanto in maniera relativa e parziale. Le modalità concrete sono assai differenziate e definite sia dal contesto che dalle domande dei cittadini e l’azione dei leader. Possono essere, quindi, il risultato della protesta o anche l’azione anticipata di leaders. In ogni caso, le politiche di sostegno alla povertà sono più semplici da sostenere ed è più facile che intorno ad essere si formi una maggioranza che le sostiene.
Leonardo Morlino è Professore Emerito di Scienza Politica, Presidente dell’International Research Centre on Democracies and Democratizations (ICEDD), LUISS, Roma, oltre ad essere stato il Presidente dell’International Political Science Association (IPSA). Come autore, co-autore, curatore e co-curatore ha pubblicato 50 volumi e circa 240 articoli su riviste e capitoli di libri. Tra le sue pubblicazioni più recenti, si segnalano Changes for Democracy (Oxford UP, 2012, trad.it. 2014 e tr. spa. 2019), The Quality of Democracies in Latin America (International IDEA, 2016, trad. sp.2016), The Impact of the Economic Crisis on South European Democracies, con F. Raniolo (Palgrave, 2017, trad. it. 2018), Political Science, con B. Badie e D. Berg-Schlosser (Sage Publications, 2017, trad.it. 2018), Comparison. An Methodological Introduction for the Social Sciences (Barbara Budrich Publ., 2018, trad. it. 2019), Equality, Freedom and Democracy. Europe after the Great Recession (Oxford UP, 2020, trad.it. 2021), L’illusione della scelta. Come si manipola l’opinione pubblica, con M. Sorice (Luiss University Press, 2021).