“Discorsi scolastici ed esercizi retorici” di Ennodio, a cura di Giulia Marconi

Prof.ssa Giulia Marconi, Lei ha curato la traduzione e l’edizione dei Discorsi scolastici ed esercizi retorici di Ennodio, pubblicati da Città Nuova: che rilevanza assume, nel panorama della letteratura latina tardoantica, l’opera del vescovo gallo-romano?
Discorsi scolastici ed esercizi retorici, Ennodio, Giulia MarconiI ventidue testi che Ennodio compose quando ancora era diacono presso la chiesa di Milano – ora tradotti per la prima volta in italiano – rappresentano l’unica testimonianza che possediamo sulla scuola nell’Italia ostrogota e rivelano che la prima metà del VI secolo d.C. fu un momento fortemente innovativo nella storia della scuola antica: allora alcuni famosi maestri sperimentarono nuove concezioni pedagogiche al fine di adeguare il tradizionale cursus studiorum alle esigenze di un’attualità in rapido cambiamento. Da questa spinta in avanti sarebbe scaturita la paideia cristiana tipica delle università medievali.

Quali opere compongono il corpus ennodiano?
Il ricco ed eterogeneo corpus di opere attribuite a Ennodio di Pavia comprende oltre duecento epistole indirizzate a parenti, amici e notabili, sia laici che religiosi, circa tredici discorsi pubblici di ambito scolastico ed ecclesiastico, quindici esercizi retorici, due agiografie, un panegirico al re ostrogoto Teoderico (allora reggente sull’Italia), uno scritto di polemica ecclesiastica, una ‘autobiografia spirituale’, una lettera didascalica, documenti di amministrazione ecclesiastica, scritti liturgici, circa centosettanta epigrammi. La prima edizione a stampa si ebbe nel 1569 a cura del calvinista svizzero Johann Jakob Grynaeus per i Monumenta S. Patrum Orthodoxographa hoc est Theologiae sacrae et syncerioris fidei Doctores (Magni Felicis Ennodii Opera). Il lavoro, condotto in modo piuttosto negligente, spinse due gesuiti a redigere le opere in due edizioni separate, che uscirono nello stesso anno ma ebbero fortune profondamente diverse. Nella sua edizione del 1611 (Magni Felicis Ennodii Episcopi Ticinensis Opera, Paris) Jacques Sirmond raggruppò le opere in tre categorie, Epistulae, Opuscula miscella, Dictiones, facendone così una raccolta di testi decontestualizzati, utili per lo studio del latino tardo, non certo per la ricostruzione storica dei fenomeni del tempo. Nello stesso anno anche Andreas Schott pubblicò un’edizione del corpus ennodiano (Beati Ennodii Ticinensis Opera, Tournai), comprendente tutte le opere tranne i carmina (pubblicati separatamente l’anno prima) e dividendo le lettere in dodici libri, seguiti dal resto dei testi. La classificazione sirmondiana fu adottata nell’Ottocento da Jacques Paul Migne per la Patrologia Latina e da William Hartel che, nella sua edizione per il Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum del 1882, affermò che era impossibile collocare i testi ennodiani in qualsivoglia ordine cronologico. Finalmente, nel 1885 Friedrich Vogel propose per i Monumenta Germaniae Historica un’edizione rivoluzionaria: ripristinò l’ordine tràdito delle opere sulla base dell’intuizione che l’archetipo ennodiano sarebbe il frutto di un assemblaggio di libelli a cura probabilmente di un segretario personale di Ennodio, contenente le opere in un sostanziale ordine cronologico a eccezione di qualche pezzo in disordine. La sua edizione offrì nuove prospettive di studio sull’autore, facendo intravvedere la possibilità di collocare in un contesto storico più preciso i singoli testi del diacono e l’intero corpus, e avviò, nell’immediato, un dibattito sulla cronologia dell’opera ennodiana che tuttora vede posizioni diverse. La complessità della questione suggerisce di collocare la composizione delle opere nel più ampio arco temporale, che va dal 496/497 (anno cui risale il più antico testo ennodiano datato con certezza) al 521 (anno della morte dell’autore, come riportato nell’epitaffio), e di esaminare ciascun testo nella sua individualità, prescindendo dalla posizione nella raccolta e affidandosi, piuttosto, alle informazioni in esso contenute, siano esse riferimenti a eventi storici noti o a personaggi conosciuti da altre fonti, ovvero alle tappe datate della vita di Ennodio.

Che finalità avevano le dictiones ennodiane?
I manoscritti tramandano alcuni testi attribuiti ad Ennodio sotto il termine dictio. La parola, che in latino indica sia l’atto del parlare sia ciò che viene detto, nel linguaggio tecnico dei retori era principalmente sinonimo di declamatio, oratio, compositio, e poteva essere riferita sia a discorsi pronunciati per essere ascoltati, sia a discorsi scritti per essere letti. In quanto tale, il termine dictio era strettamente connesso con l’ambiente delle tradizionali scuole romane nelle quali i retori insegnavano l’arte della parola.

Quelle attribuite a Ennodio sono di due tipi: discorsi pubblici ed esercizi scolastici. Le orazioni pubbliche (dette tradizionalmente scholasticae) furono pronunciate da Ennodio in occasione di alcuni momenti significativi della vita della scuola municipale del retore Deuterio a Milano: per celebrare l’inaugurazione della nuova sede, per introdurvi alcuni giovani, per lodare i successi degli studenti. Si tratta di una testimonianza eccezionale perché non esistono raccolte comparabili per l’antichità romana. Ennodio, al tempo diacono presso la chiesa locale, li pronunciò a sostegno di giovani che, in quanto orfani, erano stati affidati alla chiesa milanese (Aratore, Lupicino e l’anonimo figlio di Eusebio) e dei propri parenti (Paterio e un giovane anonimo).

Diversamente, gli esercizi preparatori (progymnasmata) ci sono giunti senza riferimenti al contesto di fruizione, e per questo sono state avanzate diverse ipotesi nel corso del tempo: secondo alcuni il diacono collaborò alle attività della scuola milanese di Deuterio, in veste ufficiale oppure senza essere un professore formalmente riconosciuto; secondo altri dirigeva una scuola lui stesso oppure un seminario voluto dal vescovo Lorenzo. Il confronto con altri testi, in particolare gli epigrammi, suggerisce un’altra ipotesi: potrebbe trattarsi dei materiali didattici che Ennodio usava per un’attività didattica che egli offriva presso le strutture ecclesiastiche locali, e che aveva l’obiettivo di insegnare a reinterpretare in senso cristiano le vicende e i personaggi della tradizione classica e a scegliere gli exempla più adatti ai valori del cristianesimo. Di tale insegnamento non sarebbe rimasta traccia scritta perché sarebbe stato in gran parte affidato all’oralità. Gli esercizi attribuiti a Ennodio sono confrontabili con altre raccolte, la più cospicua delle quali, per la tarda antichità, è rappresentata da Libanio (314-394 d.C.). Alla luce degli antichi manuali di esercizi preparatori che conosciamo (Elio Teone, Ermogene di Tarso, Aftonio e Nicola il Sofista), i testi ennodiani rientrerebbero in tre tipologie: monologhi di personaggi mitologici (ethopoiiai) nei quali lo studente doveva immaginare le parole che un personaggio mitologico avrebbe potuto pronunciare in una determinata situazione; argomenti comuni (koinos topos), nelle quali agli studenti era richiesto di attaccare un criminale riconosciuto o parlare in difesa di un benefattore riconosciuto; opposizione a una legge esistente in cui non si discute su azioni acclarate come buone o cattive, ma su questioni la cui valutazione è ancora oggetto di discussione.

Quali utili indicazioni forniscono le opere di Ennodio per comprendere le modalità con cui si svolgeva l’insegnamento retorico-cristiano?
Dalle indicazioni dei manoscritti apprendiamo che alcune delle esercitazioni retoriche composte da Ennodio furono ‘date’ a due giovani, Aratore e Ambrogio, presumibilmente perché si esercitassero a memorizzarle e pronunciarle, ovvero perché fornissero loro un modello da emulare. Il fatto che uno dei due destinatari dei progymnasmata, Aratore, fosse anche uno studente dell’auditorium di Deuterio, ha fatto pensare che questi esercizi andassero contestualizzati nell’ambito delle attività didattiche della scuola, ovvero che fossero gli strumenti didattici che Ennodio usava per la sua prassi di insegnante o assistente didattico presso l’istituzione. Tuttavia, un’attenta lettura delle parole che il diacono usò per introdurre alcuni di questi esercizi offre spunti per un loro diverso apprezzamento. Il diacono, infatti, consigliava ai suoi studenti di interpretare le allusioni pagane contenute negli esercizi (ad esempio alle vergini vestali) non come un riferimento antiquario a un passato scomparso, ma come metafore di una realtà vitale e cristiana (in questo caso le vergini consacrate cristiane), secondo quanto già insegnato da sant’Ambrogio.

Gli elementi paratestuali che accompagnano gli esercizi, dunque, lasciano supporre che i testi che ci sono giunti fossero utilizzati da Ennodio per organizzare un insegnamento orale particolare, focalizzato sulla reinterpretazione in chiave allegorico-cristiana delle vicende e dei personaggi attinti dalla classicità pagana, ancora dominanti nelle orazioni scolastiche all’inizio del VI secolo. Gli studi sulle pratiche didattiche nell’antichità, infatti, hanno acclarato che la personalizzazione dell’insegnamento era affidata in gran parte alla spiegazione orale, e questo spiega il conservatorismo caratteristico dei testi scolastici attraverso i secoli e da autore ad autore.

La fisionomia di questo insegnamento è ulteriormente chiarita da indizi conservati nell’epistolario: scrivendo a un amico poeta che aveva composto versi su famosi episodi mitici, Ennodio lo rimproverò perché non era stato in grado di far emergere principi coerenti con la morale cristiana dalle fabulae del patrimonio mitologico classico; ad esempio, del rapporto di amicizia di Pilade e Oreste, Niso ed Eurialo, Castore e Polluce avrebbe dovuto ricordare la concordia e la fedeltà piuttosto che gli atti osceni di cui furono protagonisti, perché nell’era cristiana il criterio di valutazione del mito riposava sulla possibilità di desumerne principi evangelici. In tal senso, la preoccupazione di Ennodio non era inedita. Agostino in Occidente e Basilio in Oriente, infatti, si erano già posti il problema di come utilizzare i testi classici, convinti che essi andassero sottoposti alla sensibilità morale e agli obiettivi spirituali dei cristiani.

Sulla base di questi rari indizi, è legittimo ipotizzare, seppur con prudenza, che i progymnasmata di Ennodio fossero gli strumenti didattici sui quali poggiava un insegnamento a voce incentrato sulla reinterpretazione in senso cristiano delle vicende e dei personaggi della tradizione classica. Di tale insegnamento non sarebbe rimasta traccia scritta proprio perché sarebbe stato in gran parte affidato all’oralità.

Un insegnamento di questo tipo potrebbe essere definito di ‘retorica’ o, meglio, di ‘disciplina’ cristiana, concepito a integrazione e completamento dello studio tradizionale e rivolto agli orfani affidati alla chiesa di Milano (Aratore) e a giovani cristiani interessati (Ambrogio) che contemporaneamente frequentavano la scuola del retore. È anche legittimo supporre che venisse offerto presso le strutture ecclesiastiche di Milano, ovvero in una delle scuole cristiane che, stando alla testimonianza di Cassiodoro di poco posteriore, erano attive da tempo in città importanti come Roma. L’insegnamento della ‘disciplina cristiana’ era anche potenzialmente destinato a giovani chierici che aspiravano a far carriera nelle gerarchie ecclesiastiche forti anche della conoscenza dell’arte oratoria classica, come il figlio di una certa Camilla, già chierico (lector o exceptor) in Provenza, che fu mandato da Ennodio, a Milano, per essere educato.

L’istituzione milanese di cui sono testimonianza le dictiones di Ennodio, dunque, rispondeva alla necessità pedagogica di completare l’educazione classica con conoscenze e competenze religiose considerate fondamentali per la formazione di un cristiano; a Milano fu la concomitanza di una serie di fattori a creare l’occasione per sperimentare un magistero cristiano speciale: il ruolo assunto sia dal vescovo locale negli anni dello scisma laurenziano, sia dalla città metropolitana nelle strategie geo-politiche teodericiane; l’ascesa al diaconato di un retore come Ennodio, in grado di offrire agli studenti delle scuole municipali un’educazione religiosa che partisse dalla loro formazione classica.

Giulia Marconi è professore a contratto presso la cattedra di Fondamenti di storia antica dell’Università di Perugia. Ha pubblicato la monografia Ennodio e la nobiltà gallo-romana nell’Italia ostrogota 2013 e le miscellanee Roman Imperial Cities in the East and in Central-Southern Italy (Andrade-Marcaccini-Marconi-Violante 2019) e The Collectio Avellana and Its Revivals (Lizzi Testa-Marconi 2019). Il principale campo di ricerca è la cristianizzazione della società romano-imperiale, con particolare attenzione alle istituzioni scolastiche.

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