
Quali effetti produce la rivoluzione digitale sulle categorie del diritto privato?
Possiamo identificare almeno tre caratteristiche chiave che connotano i mercati digitali, tutte strettamente connesse tra loro: il coinvolgimento della comunità degli utenti nella produzione e nello scambio di beni e servizi; la nascita di imprese piattaforma, ossia di intermediari digitali che facilitano l’interazione degli utenti grazie ad un’interfaccia tecnologica; infine, la centralità dei dati e dell’informazione – ossia, di dati organizzati o strutturati – come risorsa fondamentale e fonte primaria di ricchezza. Ciascuna di queste trasformazioni ha ricadute importanti sul diritto privato. Quello che il libro intende fare è ricostruire gli effetti della rivoluzione digitale proponendo una prima sistematizzazione delle nuove forme economiche attraverso le categorie del diritto privato: impresa, concorrenza, lavoro, contratto, proprietà e responsabilità civile.
Quali nuove sfide si trova ad affrontare il diritto dei contratti?
Il diritto dei contratti si trova ad affrontare numerose sfide nei mercati digitali: vale la pena di concentrarsi almeno su due di queste.
In primo luogo, si assiste alla crisi del diritto dei consumatori, dal momento che in molte delle transazioni abilitate dalle piattaforme digitali non è possibile distinguere i due “classici” protagonisti di questo comparto di regole. Infatti, tramite piattaforme come eBay o Airbnb chiunque può vendere un bene o fornire un servizio, senza che sia necessaria un’organizzazione d’impresa per effettuare queste attività. Di conseguenza, nel rapporto contrattuale diventa difficile individuare il professionista e descrivere quelle asimmetrie informative tra le parti del rapporto che consentono di applicare la disciplina del diritto dei consumatori invece che il diritto comune dei contratti. L’economia tra pari, in cui tutti possono produrre qualcosa, non è però priva di insidie: infatti, l’impossibilità di ricorrere alla disciplina consumeristica implica la rinuncia a regole e rimedi che sono state pensati a tutela della parte più debole del rapporto. La sfida dunque è quella di pensare a criteri che siano idonei a offrire un’adeguata protezione anche in un contesto economico e produttivo così diverso da quello del capitalismo industriale, in cui anche il diritto dei consumatori è stato elaborato. Il manuale offre una panoramica delle soluzioni che sono state elaborate dalle istituzioni europee e prende in considerazione i criteri formulati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.
In secondo luogo, un’altra sfida importante che sta affrontando il diritto dei contratti riguarda l’emersione di servizi che vengono proposti come gratuiti. Sembrerebbe dunque che la gratuità sia una caratteristica di molte delle prestazioni che si svolgono online, dato che alcun pagamento è richiesto per usare, ad esempio, i social network o i motori di ricerca. Tuttavia, è ormai ben noto che le piattaforme digitali che forniscono questi servizi sono interessate a raccogliere dati degli utenti, per trattarli, aggregarli e poi venderli, anche nella forma di prodotti predittivi. La questione interpretativa che emerge, pertanto, riguarda la qualificazione del conferimento dei dati, dal momento che la sua descrizione in termini di corrispettivo non monetario contrasterebbe con la qualificazione del diritto alla protezione dei dati in termini di diritto fondamentale della persona. Ciò che si osserva, quindi, concerne nuove declinazioni della dicotomia onerosità – gratuità, le quali assumono caratteristiche originali da cui derivano implicazioni che non riguardano soltanto la coerenza complessiva del diritto dei contratti, ma più in generale la tutela della persona umana nel mercato digitale.
Il manuale affronta molte altre questioni, tra cui quella che emerge dall’osservare il rapporto che lega la piattaforma digitale che fornisca anche il servizio c.d. sottostante per il tramite di un prestatore in carne e ossa. Si tratta di questioni molto dibattute, a partire per esempio dal rapporto che lega la piattaforma Uber ai conducenti non professionisti che eseguono il trasporto in città. In questo caso, la sfida riguarda il diritto del lavoro, ma, ancora una volta, la definizione di criteri e standard certi diventa l’unico strumento utile per evitare l’insediamento di nuove forme di sfruttamento.
Cosa comporta, dal punto di vista della loro disciplina giuridica, la smaterializzazione di beni e proprietà?
Nei mercati digitali non si concludono soltanto transazioni che hanno ad oggetto beni materiali: infatti, l’acquisto e il download di file rappresentano due operazioni molto comuni. Software, e-book e file musicali rappresentano nuovi beni immateriali che archiviamo all’interno di computer, smartphone o altri nuovi dispositivi tecnologici (come per esempio gli e-book reader). La domanda a cui rispondiamo nel manuale concerne la possibilità di definirsi pieni proprietari di questi beni, e quindi di poter usare i file in modo esclusivo e di poterne anche disporre, attraverso prestiti, vendite o atti di successione post mortem. La questione è molto complicata perché i poteri del titolare del bene devono essere verificati caso per caso, guardando al contratto di licenza d’uso del file, che sovente non ha effetti traslativi. Questo significa che la proprietà degrada in mera detenzione e tale trasformazione produce degli effetti molto significativi su ciò che il titolare del file può fare o non può fare con un bene che crede di aver acquistato. Di conseguenza, se volessimo rispondere in maniera radicale a questa domanda, la smaterializzazione dei beni a cui stiamo assistendo sembra comportare la scomparsa della proprietà privata e l’obbligo di verificare i propri poteri a partire dalla lettura del contratto di licenza d’uso.
Come evolvono imprese, lavoro e concorrenza nei mercati digitali?
Dinanzi alla crescente massa di informazioni che contraddistingue la transizione dal web 1.0 al web 2.0 si verifica una radicale trasformazione anche del modello d’impresa. La sfida per qualsiasi organizzazione produttiva diviene quella di creare sistemi che inducano gli utenti alla partecipazione, strutturando la loro interazione in modo tale da costruire valore attorno ad essa. È per questo che nasce l’impresa piattaforma, ossia intermediari digitali in grado di raccogliere, esaminare e utilizzare tutte le informazioni che derivano dal processo produttivo e dall’interazione tra utenti. In un’economia basata sui dati, questo modello di organizzazione produttiva risulta molto più efficace perché consente di raccogliere e utilizzare dati preziosi in modo ben più efficace di quanto non sia in grado di fare un’organizzazione tradizionale. Un’altra novità riguarda la nascita di organizzazioni complesse di tipo distribuito grazie all’impiego di blockchain e di smart contract, denominate Distributed Autonomous Organization (DAOs).
Anche la concorrenza assume nei mercati digitali caratteristiche molto diverse da quelle consuete. Gli esiti di questa trasformazione non sono ancora definiti e non puntano in un’unica direzione. Le tecnologie digitali possono migliorare in molti modi l’efficienza dei mercati e promuovere la concorrenza, ma possono anche portare minacce sconosciute. Da più parti si ritiene che la maggior parte dei mercati digitali si caratterizzi per una tendenza connaturata alla concentrazione per due ragioni fondamentali: le esternalità di rete e le economie di scala. Le questioni aperte sono numerose: può il trattamento dei dati essere considerato una questione di concorrenza? In che modo tale trattamento incide sul benessere dei consumatori? Il diritto della concorrenza deve occuparsi dei dati e del loro impiego o tali questioni esulano dal perimetro dell’antitrust? A sfide non inferiori per complessità e difficoltà è sottoposto il diritto del lavoro, con la nascita di un nuovo modello di organizzazione della produzione che ricorre sempre meno a lavoratori dipendenti delle imprese, e sempre più spesso ad una ‘folla’ indistinta di persone a disposizione su richiesta, reclutate attraverso un invito aperto a una platea indefinita di soggetti. Nascono così nuove forme di lavoro atipico e non standard e, con esse, il rischio di una crescente precarizzazione. I rider sono solo la punta di un iceberg di un fenomeno di dimensioni ben più ampie.
Come cambia, in un contesto digitale, il tema della responsabilità civile?
Il tema della responsabilità civile è oggetto di profonde trasformazioni. Preliminarmente dobbiamo osservare che le regole che applichiamo per determinare la responsabilità delle piattaforme digitali sono state pensate in un contesto economico e tecnologico molto diverso da quello che stiamo vivendo. La disciplina, infatti, è stato introdotta nel 2001 dalla Direttiva 31, poi adottata in Italia nel 2003. Si parlava di responsabilità dell’internet service provider, e quindi un operatore digitale che, essenzialmente, svolgeva le funzioni di veicolare contenuti (testi, immagini, video, ecc.) prodotti dagli utenti e di memorizzarli, in maniera temporanea oppure stabile. Il provider era inteso come un soggetto passivo e neutrale rispetto a queste attività e pertanto, qualora nell’eseguirle avesse rispettato le condizioni stabilite dalla legge, avrebbe trovato un “porto sicuro” in cui rifugiarsi, non potendo in alcun modo essere ritenuto corresponsabile dei contenuti illeciti prodotti dagli utenti e poi trasmessi o memorizzati online.
Oggi siamo di fronte a uno scenario molto diverso. Sono emerse le piattaforme digitali che operano online come intermediari che abilitano rapporti tra gli utenti; esse prestano questo servizio veicolando contenuti privati che spesso organizzano, promuovono o mettono in evidenza, proprio con l’obiettivo di facilitare l’incontro delle parti. Di conseguenza, una piattaforma come YouTube può essere ritenuta neutrale qualora, oltre a memorizzare un video caricato da un utente in violazione della disciplina a tutela del diritto d’autore, lo inserisca in specifiche categorie o lo segnali tra i contenuti più visti della settimana? Il tema della responsabilità civile, dunque, richiede alle corti e agli interpreti di misurarsi con operatori attivi e non passivi per cui l’esonero dalla responsabilità per fatti illeciti non può trovare applicazione. La questione è particolarmente urgente non soltanto perché sono emerse nei mercati digitali le piattaforme di intermediazione, ma anche perché la grande diffusione della rete e di dispositivi tecnologici per accedervi ha determinato un incremento degli illeciti online, che consistono principalmente in violazione delle regole a tutela del diritto d’autore o di diritti della persona.
Allo stesso tempo, molte piattaforme controllano i contenuti prodotti dagli utenti tramite procedure automatizzate proprio allo scopo di evitare la pubblicazione online di materiale illecito. Anche qui tuttavia non mancano le criticità: è giusto attribuire a soggetti privati il potere di controllare e selezionare i materiali degli utenti? Nel testo ci occupiamo di verificare e di discutere questi meccanismi, dando anche conto degli interventi giurisprudenziali che si sono misurati con i problemi qui richiamati.
Guido Smorto è professore ordinario di Diritto privato comparato all’Università di Palermo, dove insegna anche Analisi economica del diritto. In qualità di visiting professor ha svolto attività didattica e di ricerca in diverse università straniere. Sull’economia digitale ha scritto numerosi saggi scientifici e articoli divulgativi. Sugli stessi temi ha condotto ricerche, pubblicato studi e contribuito in qualità di esperto alla stesura di documenti ufficiali per conto del Parlamento e della Commissione UE.
Alessandra Quarta è ricercatrice di Diritto privato all’Università di Torino, dove coordina il progetto di ricerca gE.CO Living Lab finanziato dal programma dell’Unione europea Horizon 2020. Autrice di numerosi saggi, ha pubblicato la monografia Non-proprietà. Teoria e prassi dell’accesso ai beni (ESI, 2016) e, con Ugo Mattei, The Turning Point in Private Law. Technology, Ecology and the Commons (Edward Elgar, 2018).