
Di fronte a questa profonda crisi storico-spirituale appare necessario anzitutto ricercare le ragioni che hanno portato sin qui, volgendo lo sguardo al passato: è nella storia per come si è in concreto sviluppata che devono rinvenirsi le radici del declino, ma anche le possibili vie per riprendere il corso del progresso. Non è infatti un destino necessario quello della “caduta nella barbarie” (ovvero nell’abbandono definitivo delle ragioni espresse nei testi costituzionali moderni). Se è vero che la storia è fatta dagli uomini e dalle donne concrete, non può che concludersi che ad essi deve farsi risalire ogni responsabilità e il futuro non appare predeterminato.
Come si riflette sul progetto europeo lo smarrimento politico generale?
Dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale la storia dell’Europa ha rappresentato la sfida più grande per la costruzione di una nuova idea di progresso. La dimensione non più solo nazionale dei rapporti umani e la sfida della globalizzazione che non ha riguardato solo l’economia, ma ha coinvolto anche i modi in cui vengono, di fatto, garantiti i diritti e salvaguardata la divisione dei poteri, hanno ben presto imposto la necessità di guardare oltre lo Stato. Nel Vecchio continente si è sostenuta da tempo la convinzione (almeno sin dal progetto formulato nel Manifesto di Ventotene) che non ci si potesse più esimere dal dare un assetto “politico” all’Europa. Un nuovo equilibrio tra le nazioni che sapesse assicurare “l’unità nella diversità”. Una strada che ha avuto grandi ambizioni, ma che alla fine ha prodotto la sua stessa crisi, che è oggi drammatica. Anche in questo caso guardare alle origini, alle illusioni ed agli errori che si sono compiuti è apparso il modo migliore per tornare a pensare ad una nuova Europa politica, se si vuole impedire la incipiente dissoluzione di ogni idea di Europa solidale.
Dove vanno ricercate le cause di tale crisi?
Cause molteplici, legate alle complesse vicende storiche. Nel testo si criticano quelle visioni deterministiche, che presumono di poter indicare un’unica causa di decadenza, assunta come inevitabile regresso, ovvero, simmetricamente, quelle interpretazioni che esaltano lo sviluppo di magnifiche sorti e progressive.
Quel che può dirsi è che la crisi è maturata al termine di un trentennio, iniziato dopo la devastazione della Seconda guerra mondiale, che si era caratterizzato per lo sforzo – più o meno riuscito, ma in ogni caso fortemente perseguito – di attuare il progetto specifico del costituzionalismo Novecentesco. Un modello di società che si può condensare nell’idea della centralità della persona e dei suoi diritti sociali.
Fu nei “terribili anni Ottanta” del secolo scorso che si è cominciato ad allontanarsi da una visione “costituzionale” legata ai diritti per assumete una visione “funzionalista” che punta invece ad affermare una logica totalizzante legato alle ragioni del mercato.
Entro la dimensione nazionale (in Italia) si è passati dalle politiche di attuazione della costituzione a quel revisionismo costituzionale che ha favorito solo una forte delegittimazione dei principi scritti nella legge fondamentale della nostra Repubblica senza riuscire a conseguire nessun risultato utile; neppure quei risultati che gli stessi fautori delle riforme si erano proposti. Si pensi al fallimento della cosiddetta “democrazia maggioritaria”.
Nel Vecchio continente, dopo l’incubazione degli anni Ottanta, fu con l’approvazione del Trattato di Maastricht che si è affermato un vero e proprio “paradigma” che ha trascinato nel fondo degli abissi ogni visione di Europa sociale ancorata al dominio dei diritti e delle persone. Dopo un pur nobile tentativo di costruire un Europa dei diritti (con l’approvazione della Carta di Nizza e il fragile tentativo di scrivere una “Costituzione europea”), si è imposta una sorta di religione economico-finanziaria: sempre più stringenti misure di austerità hanno soffocato ogni possibile cambiamento politico e sociale. Misure di contenimento del debito pubblico, politiche monetarie prive di prospettive sociali, hanno sottratto sia agli Stati, ma anche all’Unione europea nel suo complesso, ogni futuro politico.
Neppure ora, sotto i colpi della devastante pandemia in corso, si ha il coraggio di abbandonare definitivamente il “paradigma Maastricht”: il patto di stabilità, infatti, è stato solo “sospeso”, nell’illusione che, passata la tempesta, si possa tornare ad applicare le stesse politiche economico-finanziarie neoliberiste che ci hanno portato sull’orlo del baratro.
Quali prospettive offre il costituzionalismo democratico moderno?
Solo ricollegandosi al progetto costituzionale – passando dal “paradigma Maastricht” al “paradigma costituzionale” – si può uscire dalla crisi riscoprendo la centralità della persona e il valore della dignità sociale. Ma per far questo è necessario ribaltare un abusato luogo comune che è tra le ragioni della perdita di senso della storia. Quella idea stravagante che indica la Costituzione come strumento di governo (frutto della ossessione della governabilità a tutti i costi), anziché fonte del cambiamento. Bisogna restituire la dignità perduta alla Costituzione – ma anche al movimento storico del costituzionalismo moderno – indicando la sua vera natura che, come si spiega nel libro, è quella di essere la nostra “utopia concreta”, legata alla prospettiva materiale della primazia dei diritti fondamentali entro un assetto dei poteri determinato e assiologicamente orientato. È la Costituzione che deve tornare a dettare l’orizzonte del cambiamento possibile.
Questa prospettiva per essere attuata implica la presenza di tre condizioni necessarie: una forte critica del presente, una diffusa coscienza popolare che venga organizzata da forze politiche realmente rappresentative, una spinta al cambiamento in grado di abolire lo stato di cose presenti. Spetta ad un popolo consapevole, determinato e fantasioso realizzare un’utopia. La costruzione di queste condizioni storiche e soggettive è il compito che ci si pone difronte. Non facile, ma necessario.
Quale attualità mantiene la concezione storica di Giambattista Vico?
Nella prospettiva perseguita la lezione di Gianbattista Vico appare essenziale. È l’autore che ci ha indicato la rotta. Anzitutto, fornendoci una realistica chiave di lettura storica che si concentra sui soggetti reali e sulla convinzione che siano le persone concrete a determinare il proprio destino. La “teoria ciclica” vichiana, inoltre, ci richiama al senso di realtà, non facendoci cadere nella disperazione nichilista del “tutto è perduto”, ovvero della fine di ogni valore; ma avvertendoci che appare altrettanto illusoria la prospettiva di una linearità di uno sviluppo infinito, una deterministica filosofia della storia in continua ascesa. In fondo, ci dice Vico e noi con lui, la scelta di dove andare, se verso la caduta nella nuova barbarie ovvero verso la riscoperta dei diritti e dei valori della persona dipende solo da “noi”.
Gaetano Azzariti ordinario di diritto costituzionale presso la facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Roma “La Sapienza”. Direttore di “Politica del Diritto” e di “Costituzionalismo.it”. Presidente dell’associazione “Salviamo la Costituzione”. Editorialista del quotidiano “il manifesto”. Tra le sue pubblicazioni: Il costituzionalismo moderno può sopravvivere? (Laterza 2013); Contro il revisionismo costituzionale (Laterza 2016); «È dell’uomo che devo parlare». Rousseau e la democrazia costituzionale (Mucchi 2020).