
Quando e come nasce l’istituto della responsabilità individuale per crimini internazionali?
Oggi la Corte penale internazionale, sulla scia delle esperienze del Tribunale Militare Internazionale di Norimberga, le altre corti marziali del dopoguerra e i tribunali delle Nazioni Unite per l’ex Jugoslavia e per il Ruanda, giudica la responsabilità penale di individui che pianificano, ordinano o commettono crimini internazionali. Non è sempre stato così: nel diritto internazionale tradizionale le persone erano come “invisibili”, si nascondevano dietro lo schermo dello Stato nel nome e per conto del quale agivano, unico a rispondere delle atrocità. L’impunità era una regola assoluta. Con il processo di Norimberga, si fa strada la consapevolezza che i crimini contro il diritto internazionale sono commessi da uomini, non da entità astratte e si afferma il principio secondo il quale gli individui hanno doveri internazionali che trascendono gli obblighi nazionali di obbedienza imposti dallo Stato a cui appartengono. Il libro racconta questo appassionante processo che è il frutto di contingenze storiche e politiche, e segna un importante momento di maturazione della comunità internazionale.
Quali problemi solleva il tema dell’imputazione individuale?
Una delle questioni fondamentali del diritto penale è determinare il rapporto fra fatto vietato e autore o, in altri termini, stabilire le condizioni per attribuire la responsabilità di una condotta o evento proibito a una persona. In questa valutazione rientra, da una parte, l’attribuibilità oggettiva del fatto al reo in termini di causalità; dall’altra la verifica delle condizioni psicologiche che permettono di imputare il fatto di reato al soggetto sul presupposto che potesse agire diversamente e sia rimproverabile. Ebbene, questo tema cruciale assume caratteri particolari nel diritto internazionale penale che concerne crimini complessi, tanto rispetto al numero delle vittime quanto rispetto alle modalità di commissione. Si tratta di manifestazioni di criminalità sistematica la cui realizzazione è, secondo dati esperienziali, il risultato delle azioni e omissioni di una complessa serie di soggetti per lo più appartenenti a strutture statali civili o militari o altre organizzazioni di carattere non elementare, come gruppi politici armati e milizie. Il processo penale internazionale, per i limitati mezzi di cui dispone e la sua valenza politica, sociale e geopolitica, si indirizza verso i soggetti maggiormente responsabili delle atrocità di massa – coloro che le hanno decise, pianificate, istigate e ordinate – piuttosto che nei confronti degli esecutori materiali. Di norma, più ci si allontana dalla commissione materiale e ci si avvicina al livello decisionale più cresce il peso morale e giuridico della responsabilità individuale. Allo stesso tempo però diviene paradossalmente più difficile imputare i crimini, in termini concettuali e probatori.
Quali sono i crimini internazionali?
Rientrano in questa categoria i crimini di guerra, i crimini contro l’umanità, il genocidio, l’aggressione, la tortura e il terrorismo. I crimini di guerra sono gravi violazioni delle norme del diritto internazionale umanitario che disciplinano i mezzi e le modalità legittime di condotta delle ostilità armate e il trattamento dei non combattenti, le persone estranee al conflitto, essenzialmente i civili, e i militari fuori combattimento in quanto prigionieri, malati, feriti o naufraghi. I crimini contro l’umanità furono concettualizzati dagli Alleati in vista del processo di Norimberga per punire i nazisti del Terzo Reich per i crimini commessi contro i propri stessi cittadini, gli ebrei tedeschi. Sono espressione della tracotanza del potere governativo e consistono in attacchi estesi o sistematici contro popolazioni civili, come omicidi, torture, detenzioni arbitrarie, stupri, persecuzioni. Il genocidio è una forma di crimine di lesa umanità e consiste in condotte violente sostenute dall’intento di distruggere un gruppo etnico, nazionale o religioso. L’aggressione è l’uso illegittimo della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, integrità territoriale o indipendenza politica di un altro Stato. La tortura è l’inflizione di patimenti, dolore, sofferenze fisiche e mentali al fine di ottenere informazioni o confessioni, di punire indebitamente per un atto commesso o sospetto o di discriminare. Il terrorismo è l’uso della paura in modo strumentale a finalità politiche: stragi, omicidi, sequestri sostenuti dall’intento di diffondere la paura fra le popolazioni o di costringere un’autorità nazionale a fare o non fare qualcosa.
A distanza di un ventennio dalla sua creazione, quali sono i risultati e le prospettive della Corte penale internazionale?
Quando fu approvato lo Statuto di Roma, a mezzanotte del 17 luglio 1998, era trascorso mezzo secolo dai primi tentativi di costituire una corte internazionale penale e l’impressione diffusa era che il progetto sarebbe rimasto utopia. Si opponevano all’idea di una giurisdizione indipendente grandi potenze sovraniste che ne sono rimaste fuori: Stati Uniti, Russia, Cina, Turchia, Israele, Iran, Arabia Saudita. Oggi centoventitré Stati, più di un terzo dell’intera comunità internazionale, dichiarano di riconoscersi nei valori solennemente espressi nel Preambolo dello Statuto. È di per sé un risultato importante che contribuisce a cementare un ordine internazionale, politico, etico e morale che nel secondo dopoguerra fu edificato sul sangue e la sofferenza di generazioni intere. Ma la determinazione di molti Stati si è dimostrata di gran lunga meno ferma, sincera e incondizionata delle parole. Il cammino della Corte è stato meno deciso di quanto si era sperato. Gli attori, procuratori, giudici, personale, non sono stati all’altezza delle sfide. Nel libro viene condotta in proposito un’analisi molto severa e indicati i correttivi necessari e urgenti. E tuttavia, il ruolo della Corte oggi non si è ridotto, piuttosto la necessità di una giurisdizione a tutela dell’umanità è cresciuto. La contemporaneità è caratterizzata da fenomeni involutivi, un generale arretramento nei parametri che qualificano la civiltà moderna. La democrazia è in costante declino; oltre un terzo della popolazione mondiale vive sotto il dominio di autocrazie. In ottanta dei centonovantatré Paesi del mondo i civili sono coinvolti in conflitti armati e situazioni di deprivazione sistematica e violenta dei diritti fondamentali. Terrorismi, atrocità di massa, metodiche violazioni dei diritti in molte aree del mondo sono cronica inerenza del potere, cinica grammatica della politica. Le architetture politico-ideali del secondo dopoguerra sono andate frammentandosi. La politica internazionale è ammalata di relativismo morale; a seconda di interessi contingenti sostiene o giustifica le atrocità internazionali oppure osserva con indifferente apatia la quotidiana carneficina dei diritti fondamentali. La Corte ha uno spazio di azione limitato per concezione e finanziamenti e, a meno di improbabili iniziative del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, è esclusa dalle indagini sui crimini che si concentrano nel quadrante del mondo che la Rivista Limes chiama “Caoslandia”, nel quale ricadono Iraq, Siria, Libia, Yemen e Africa subsahariana. E tuttavia è e resta un argine imprescindibile contro il Male e l’oblio del Male.
Rosario Salvatore Aitala è presidente della Sezione Predibattimentale della Corte Penale Internazionale e professore di Diritto Internazionale Penale alla Luiss Guido Carli. Da magistrato ha lavorato a Milano, Trapani e Roma; è stato consigliere per le aree di crisi e la criminalità internazionale del ministro degli Esteri e consigliere per gli affari internazionali del presidente del Senato. Ha vissuto in Albania, Afghanistan, nei Balcani e America Latina occupandosi di mafie, terrorismi, crimini internazionali e costruzione istituzionale. Consigliere scientifico della Rivista italiana di geopolitica Limes, ha pubblicato Il metodo della paura. Terrorismi e terroristi (Laterza 2018) e diversi saggi.