“Diritto costituzionale dell’Unione europea” di Fabrizio Politi

Prof. Fabrizio Politi, Lei è autore del libro Diritto costituzionale dell’Unione europea edito da Giappichelli: qual è l’assetto istituzionale dell’Unione europea?
Diritto costituzionale dell'Unione europea, Fabrizio PolitiInnanzitutto dobbiamo ricordare che il Trattato dell’Unione europea (TUE) assegna la qualifica di “istituzioni” solo ai seguenti organismi: Parlamento europeo; Consiglio europeo; Consiglio; Commissione europea; Corte di giustizia; Banca centrale europea e Corte dei conti. L’assetto istituzionale dell’UE è peculiare perché deve conciliare il rispetto di due esigenze di fondo: la necessità di una “linea decisionale” interna all’ordinamento europeo e, dall’altro lato, la necessità di tenere presenti le posizioni degli Stati membri. E proprio questa è la funzione precipua del Consiglio europeo, organo eminentemente politico composto dai capi di governo di tutti gli Stati membri, che adotta le decisioni di fondo relative allo sviluppo dell’integrazione europea. Il potere normativo, nell’UE, appartiene congiuntamente al Parlamento Europeo e al Consiglio (o Consiglio dell’Unione), composto da un rappresentante di ogni governo di ogni Stato membro (e da tenere distinto dal Consiglio europeo che – come detto – è composto dai capi di governo). Istituzione peculiare dell’assetto europeo è la Commissione europea i cui membri non rappresentano gli Stati ma che agiscono, in piena indipendenza, nell’esclusivo interesse dell’UE e che devono essere dotati di specifica preparazione. Ma, svolte queste preliminari considerazioni sulle singole istituzioni europee, dobbiamo ricordare che, secondo il Trattato, l’assetto istituzionale dell’Unione Europea è strutturato in funzione del perseguimento dei valori su cui l’Unione è fondata ed ha lo scopo di assicurare “la coerenza, l’efficacia e la continuità” delle azioni dell’Unione. Emerge così il legame esistente fra l’assetto istituzionale dell’UE, l’operato delle singole istituzioni ed i valori fondanti dell’Unione medesima. A questo proposito va ricordato che l’articolo 2 TUE dispone che «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini». Il collegamento fra assetto istituzionale e difesa dei valori fondanti l’U.E. costituisce lo snodo centrale intorno al quale deve essere costruito il “diritto costituzionale dell’Unione europea”, cioè la riflessione giuridica volta ad individuare i fondamentali elementi dell’ordinamento giuridico europeo relativi all’assetto dei poteri e al reticolo di garanzie poste a tutela dei singoli.

Quali sono le fonti del diritto nell’ordinamento europeo?
Nell’ordinamento europeo le fonti del diritto si distinguono tradizionalmente in due grandi macroinsiemi: le c.d. “fonti primarie” (o fonti di diritto primario), rappresentate dai Trattati, e le c.d. “fonti derivate” (o fonti di diritto derivato), nelle quali vanno ricompresi, principalmente, il regolamento europeo e la direttiva europea. Il primo è un atto normativo adottato dalle istituzioni europee e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri. L’immediata applicabilità, all’interno di ogni Stato membro, delle norme contenute nel regolamento europeo pone il problema del rapporto fra fonte statale e fonte europea. Questo problema ha impegnato molto (negli anni sessanta e settanta del secolo scorso) la dottrina e soprattutto la giurisprudenza delle supreme Corti (sia statali che europee) e questo “impegno” si è concluso con il riconoscimento della prevalenza delle norme europee su quelle statali. La direttiva europea invece necessita, per produrre effetti all’interno di uno Stato membro, di un atto di recepimento da parte dello Stato secondo modalità di attuazione rimesse alla disciplina interna di ogni singolo Stato. La necessità dell’intervento statale per l’attuazione ed il recepimento delle direttive pone il problema degli effetti conseguenti all’eventuale inadempimento del singolo Stato all’obbligo di recepimento della direttiva medesima. A questo proposito, se i Trattati inizialmente prevedevano solo procedure volte ad affermare l’inadempienza (e dunque la responsabilità) dello Stato, successivamente la Corte di Giustizia dell’UE ha progressivamente individuato una responsabilità dello Stato inadempiente anche nei confronti del proprio cittadino. Per quanto riguarda l’Italia, nel nostro Paese la materia è oggi disciplinata dalla legge n. 234 del 2012, la quale prevede l’adozione ogni anno della c.d. “legge di delegazione europea”, che pone (ogni anno) le disposizioni di delega necessarie per il recepimento delle direttive.

Che rapporto esiste fra normativa europea e normativa degli Stati membri?
La Corte di Giustizia (a partire dalla sentenza Costa/Enel del 1964) ha affermato il principio del primato del diritto europeo sul diritto interno. In seguito anche la Corte costituzionale italiana (nella sentenza n. 183 del 1973) ha riconosciuto la prevalenza della norma comunitaria su quella statale ed infine con la sentenza n. 170 del 1984 la Corte costituzionale, riconoscendo che l’ordinamento comunitario e quello statale sono configurati come autonomi e distinti, ancorché coordinati, ha definitivamente dichiarato che le antinomie scaturenti dal contrasto fra norme statali e norme europee vanno risolte mediante la disapplicazione del diritto interno contrastante con quello europeo. Nella pronuncia del 1984 la Corte conferma inoltre la c.d. “dottrina dei controlimiti” (già delineata nella sentenza n. 183 del 1973) che si fonda sul riconoscimento del carattere inderogabile dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale italiano e dei diritti inalienabili della persona umana, affermando dunque la propria competenza ad intervenire nel caso di lesione di tali limiti. L’unico caso in cui si è delineata una tale possibilità è stato nel c.d. “caso Taricco” quando, a seguito di una pronuncia della Corte di giustizia del settembre 2015 che affermava la disapplicazione della prescrizione in casi di frodi gravi in materia di iva, la Corte costituzionale ha espressamente rivolto un quesito alla Corte di giustizia che ha riconosciuto la fondatezza delle questioni poste dalla nostra Corte costituzionale.

Come vengono tutelate le libertà nell’ordinamento europeo?
A completamento del riconoscimento della cittadinanza europea, istituita dal Trattato di Maastricht, quale status comune a tutti i cittadini degli Stati membri, che si affianca alla cittadinanza nazionale e si concretizza in specifici diritti e doveri previsti nei trattati, si pone la Carta dei diritti fondamentali, solennemente proclamata a Nizza nel dicembre 2000 (ed infatti definita anche “Carta di Nizza”) ma che per molti anni non h avuto una specifica veste giuridica. Però uno specifico articolo del Trattato di Lisbona dichiara che la Carta dei diritti fondamentali ha lo stesso valore giuridico dei trattati, pertanto oggi le libertà elencate nella Carta di Nizza (che, con riguardo ai specifici contenuti, si pone nel solco delle diverse carte costituzionali europee) trovano specifica tutela anche nell’ordinamento europeo e, non a caso, numerose pronunce della Corte di giustizia di questi ultimi anni hanno trovato fondamento in disposizioni della Carta. Va infine ricordato che il Preambolo della Carta afferma che la dignità umana, insieme alla libertà, all’uguaglianza e alla solidarietà, costituisce uno dei valori indivisibili ed universali su cui si fonda l’Unione Europea. Tali valori sono dichiarati comuni agli Stati membri in una società fondata sul pluralismo, sulla tolleranza, sulla giustizia, sulla solidarietà e sulla non discriminazione. La Carta dispone fra l’altro l’inviolabilità della dignità umana, il diritto alla vita, il diritto all’integrità della persona, la proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti e la proibizione della schiavitù e del lavoro forzato. La Carta pone infine norme di determinazione del livello di protezione garantita, giacché nessuna disposizione della Carta può essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, e di divieto dell’abuso di diritto.

Quali tappe hanno segnato la storia costituzionale dell’integrazione europea?
L’odierno assetto dell’Unione europea è il risultato di un lungo cammino, caratterizzato da grandi spinte ideali che, in contrasto con interessi nazionali e settoriali, hanno generato, fra vari momenti di crisi, il raggiungimento di importanti risultati e di soluzioni eterogenee. Da ultimo, con l’entrata in vigore sul finire del 2009 del Trattato di Lisbona (firmato nel 2007), l’Unione europea, istituita già con il Trattato di Maastricht del 1992, sostituisce e succede alle Comunità europee. Il processo di integrazione europea prende le mosse dalla c.d. “dichiarazione Schuman”, consistente nell’intesa franco-tedesca, aperta a tutti i paesi europei, da cui germina l’integrazione europea. Infatti il 9 maggio 1950 Robert Schuman, allora ministro degli esteri francese, pronunciava il discorso, c.d. “dichiarazione Schuman”, con cui esponeva l’idea di creazione di un’organizzazione destinata a risolvere le questioni legate alle risorse carbosiderurgiche della Ruhr e della Saar – e dunque concernente innanzitutto i rapporti tra Francia e Germania – ma anche aperta alla partecipazione di tutti gli altri paesi europei. Questa impostazione era appunto finalizzata a fondare le basi di una unificazione economica volta a realizzare i primi concreti strumenti di una federazione europea indispensabili per la salvaguardia della pace. In tale dichiarazione viene individuato il primo passo del cammino che porta alla redazione ed alla firma dei trattati istitutivi delle Comunità europee (Trattato istitutivo della Ceca firmato a Parigi il 18 aprile 1951 ed i Trattati istitutivi della Ceea e della Cee firmati a Roma il 25 marzo 1957), tant’è che proprio la data di tale discorso, 9 maggio, è stata individuata quale giorno della Festa dell’Europa. I principali passaggi successivi da ricordare sono: l’Atto unico europeo (firmato a Lussemburgo nel 1986), il Trattato di Maastricht del 1992 (a sua volta oggetto di modifiche da parte del Trattato di Amsterdam del 1997 e del Trattato di Nizza, firmato nel 2000) ed il Trattato di Lisbona, sottoscritto nel 2007 ed entrato in vigore nel 2009. Va inoltre ricordato il fallimento della “Costituzione per l’Europa” (da cui poi germinerà il Trattato di Lisbona). Ma nella storia dell’integrazione europea vanno ricordati anche gli “allargamenti” registrati negli anni. Infatti se le tre comunità europee degli anni cinquanta vedevano la partecipazione di soli sei stati (Francia, Germania, Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo), nel 1973 si registra l’ingresso di Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca; negli anni ottanta avremo l’ingresso della Grecia (1981) e di Spagna e Portogallo (1986) e nel 1995 di Austria, Finlandia e Svezia; nel 2004 avremo poi l’ingresso di 10 Paesi (Malta, Cipro, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Lituania, Estonia, Lettonia, Polonia, Slovenia) poi seguiti da Romania e Bulgaria (2007) e Croazia (2013). Nel frattempo abbiamo registrato anche la prima fuoriuscita (in realtà negli anni ottanta già la Groenlandia era uscita dalle comunità europee) giacché con la Brexit, perfezionatasi nel 2020, la Gran Bretagna ha abbandonato l’Unione Europea. Probabilmente anche questo sarà una delle maggiori sfide che l’Unione sarà chiamata ad affrontare nei prossimi anni soprattutto di fronte alla revanche delle istanze sovraniste e nazionalistiche.

Fabrizio Politi è Professore Ordinario di Diritto Costituzionale e Diritto dell’Unione Europea presso l’Università degli Studi dell’Aquila

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