
Sono diverse le sfide che il professionista, giovane o anziano che sia, affronta oggi in una società tecnologica che sta mutando a velocità incredibili. Alfabetizzazione informatica e cultura digitale, innanzitutto, sono le prime due: devono essere poste al centro di ogni azione nel tentativo di superare un analfabetismo diffuso e una situazione delle infrastrutture, in molti casi, che non è adeguata. In Europa un professionista su tre, e quattro adulti su dieci, non hanno le competenze informatiche di base.
Un’attenzione particolare deve essere data, poi, al ruolo del diritto e delle norme, con interventi che da un lato non alterino il delicatissimo ecosistema tecnologico e non criminalizzino inutilmente le tecnologie e, dall’altro, che mettano però al centro i valori dell’essere umano e la protezione sua e dei suoi dati. Vi è la tendenza, oggi, da parte dello Stato di disciplinare l’informatica con un approccio liberticida, per una sorta di “paura ancestrale” che il legislatore si porta dietro nei confronti del digitale.
Vi è, come ulteriore aspetto, un problema di responsabilità ed etica di tutti i soggetti coinvolti nello sviluppo delle tecnologie che hanno cambiato, o che stanno cambiando, il nostro mondo. Il ritorno dell’attenzione verso la computer ethics, la responsabilità d’impresa e lo sviluppo di prodotti sostenibili è un segnale molto interessante. Si pensi all’uso dei droni in contesto bellico, al riconoscimento facciale come strumento di controllo dell’individuo nei luoghi pubblici, all’intelligenza artificiale e ai pericoli di discriminazione. L’attenzione all’aspetto etico è, oggi, essenziale, vista anche la potenza delle tecnologie più moderne.
Infine, diventa essenziale una sorta di autoregolamentazione da parte di ciascun utente – nelle sue scelte, nei contenuti condivisi, nel rapporto con gli altri utenti – che dovrebbe contribuire a rendere l’ambiente più sano e più rispettoso dei diritti di tutti. Correttezza anche nel senso di comunità che si dovrebbe generare in rete.
Sono punti, quindi, che potrebbero migliorare la situazione attuale ma che, nella pratica, sono estremamente difficoltosi da applicare.
Educazione, diritto e uso delle tecnologie stesse per migliorare il quadro complessivo sono, in estrema sintesi, gli elementi chiave che potranno rendere la società digitale realmente antropocentrica.
Perché è sempre più necessario che la figura del giurista contemporaneo sviluppi una specializzazione ibrida?
Il giurista ibrido, e un professionista che metta, al centro, le nuove competenze digitali, sono ormai indispensabili.
L’obiettivo è quello di disegnare il profilo di un esperto che sia contaminato e con competenze trasversali. L’attenzione dovrà essere, allora, per lo sviluppo delle digital skills e per lo sviluppo di consapevolezza personale, e aziendale, dell’importanza dei temi informatici e della trasformazione digitale, nonché della necessità di una divulgazione di qualità sui temi più critici.
Alcune delle azioni si dovranno per forza basare, allora, sull’idea di interdisciplinarità e la presenza di figure/competenze ibride tra i giuristi, sul rapporto tra il giurista e la programmazione (l’importanza, per esempio, del coding for lawyers), sulle competenze necessarie in tema di legal design, di smart contracts, di analisi del rischio e di governance del dato, di consultazione delle banche dati giuridiche e di attività di OSINT (ricerca di informazioni su fonti aperte).
Centrale sarà, anche, la progettazione, e creazione, di politiche aziendali per responsabilizzare i dipendenti sul rischio informatico, la considerazione dell’importanza di una divulgazione corretta su temi critici quali i crimini informatici, la cybersecurity e le digital skills, la diffusione dell’idea di uno studio legale sicuro e di un’attività professionale sempre attenta alla sicurezza, nonché della necessità di aumento delle competenze in periodo di emergenza Covid-19 e dell’acquisizione di competenze specifiche, anche tramite la cifratura dei dati e l’attivazione di connessioni sicure durante le comunicazioni in ambito professionale.
Gli studiosi più illuminati non si dovrebbero limitare all’analisi degli aspetti di ingegneria informatica, del software e di computer science, ma dovrebbero investigare un simile ambito di studio applicando una eterogeneità di approcci interdisciplinari e scientifici e, soprattutto, coordinando in ogni momento punti di vista tecnici, giuridici, economici, etici e filosofici apparentemente distanti, o in conflitto, tra loro.
Non è facile convincere il mondo giuridico – ancora molto legato alla forma, all’immagine, alla carta e ai muri – ad avviare un processo di dematerializzazione e ad abbracciare senza riserve le competenze tecnologiche, spesso viste come skills da relegare alle segreterie o ai collaboratori più giovani.
Quali nuove competenze saranno richieste al giurista del futuro?
Nella seconda e nella terza parte del manuale, una volta delineato il quadro di fondo dei diritti delle nuove tecnologie, mi occupo proprio di disegnare nel dettaglio alcune aree di specializzazione ibrida del giurista e le modalità migliori per sviluppare quelle digital skills ormai indispensabili per continuare a operare con successo nel mondo che sta cambiando.
Sono convinto che anche il giurista, come tanti altri professionisti, debba necessariamente interessarsi sempre di più a tematiche di confine, mantenendo ferma, in ogni momento, la consapevolezza che tali nozioni saranno utili per comprendere nuovi linguaggi e per avviare originali sfide imprenditoriali finalizzate al rinnovamento della professione dall’interno.
Il tutto richiede una sorta di nuova alfabetizzazione informatica, una disponibilità reale di tecnologie e reti efficienti nelle aule di tribunale, negli studi, negli ordini professionali e nelle scuole, connessioni veloci, laboratori ben organizzati e, soprattutto, competenze digitali specifiche in capo a magistrati, avvocati, personale e docenti.
Saranno necessarie basi di analisi dei dati e di crittografia, di sicurezza e analisi del rischio, di governance delle informazioni, di automazione delle procedure, soprattutto di quelle a basso costo, per individuare nuovi servizi – anche nell’ambito della gestione documentale – e nuovi mercati.
L’avvocato del futuro è a suo agio nel mondo della cybersecurity e degli incidenti informatici che possano colpire un suo cliente, è in grado di interpretare le condotte correlate a crimini informatici nuovi, come frodi o attacchi ransomware, è in grado di effettuare piccole analisi del rischio, o valutazioni d’impatto, quando i dati dei clienti sono in pericolo.
Quale trasformazione sta subendo il diritto in seguito alla sempre maggiore diffusione delle nuove tecnologie?
Tutto il diritto sta diventando informatico. Non esiste, oggi, un ambito, o un caso, che non presenti connotazioni digitali.
Si pensi al diritto di famiglia (ormai deciso da conversazioni WhatsApp e fatti presenti sui social network), al diritto commerciale e al commercio elettronico, al fisco con le cryptovalute, alla diffamazione, ormai quasi esclusivamente online, alla reputazione online e alla protezione dei diritti digitali, e dei dati, dei cittadini.
Questa trasformazione comporta la necessità, per il giurista, di avere anche un minimo di nozioni tecniche o, almeno, di essere in grado di dialogare senza problemi con esperti informatici. Ciò diventa essenziale per la comprensione stessa della questione e anche, da un punto di vista deontologico, per garantire quella competenza richiesta in ogni momento dalla legge professionale.
In quali ambiti, a Suo avviso, sono destinate a registrarsi le maggiori innovazioni per la professione legale?
Nell’introduzione al mio libro cito le teorie, molto apprezzate a livello internazionale, dell’esperto Richard Susskind, che nei suoi scritti analizza il processo di innovazione che sta caratterizzando il mondo legale e delle professioni lamentando, al contempo, la necessità urgente di una nuova vision in capo al giurista del futuro, per far sì che la professione sopravviva alla disruption tecnologica, ossia al cambiamento repentino che, inevitabilmente, colpirà anche il mondo legale.
Secondo Susskind ci sarà, in altre parole, una sempre minor richiesta di giuristi tradizionali e una sempre maggior domanda di nuove professionalità. In altre parole: prevede la “morte” del professionista tradizionale.
In particolare, lui individua quattro aspetti che contribuiranno a disegnare il quadro delle professioni giuridiche del futuro.
Il primo lo definisce come “ingegnere con conoscenze giuridiche”. Secondo l’autore, infatti, non appena la tecnologia sarà ancora più pervasiva, le persone avranno la necessità di organizzare, e modellare, un grande quantitativo di materiali giuridici complessi. Il diritto e le leggi dovranno essere analizzati, “catturati” e “incorporati” nei sistemi informatici: ciò richiederà una nuova forma di intelligenza, soprattutto per distillare argomenti così ampi e complessi e ridurli alle loro parti essenziali.
Vi sarà, poi, il profilo che lo studioso definisce tecnologo legale: un interessante punto d’incontro tra diritto e tecnologia. A volte (raramente) ci s’imbatte, nota Susskind, in tecnologi che conoscono la legge, o in avvocati che conoscono l’informatica e vantano, addirittura, esperienze di programmazione. Serviranno, allora, profili con un buon livello di competenza nelle due discipline, ossia professionisti che possano essere a loro agio sia nell’interpretare sentenze, sia nel programmare in Python, in Solidity, in Java o in altri linguaggi oggi molto di moda (e obiettivamente molto efficaci). Un ruolo centrale avrà, infine, l’analista dei processi legali. Si applicheranno sempre di più, prevede lo studioso, principi di ingegneria ai processi legali, cambiando i flussi di lavoro, i procedimenti e le attività di test, e ci sarà sempre più bisogno di profili con una solida capacità di ottimizzare e migliorare i processi.
Giovanni Ziccardi (Castelfranco Emilia, 1969) è professore di Informatica giuridica presso l’Università di Milano; insegna Criminalità informatica al Master in diritto delle nuove tecnologie dell’Università di Bologna. Coordinatore Scientifico del Centro di Ricerca Coordinato in “Information Society Law” (ISLC), è componente del Comitato Etico e del Comitato Sicurezza dell’Ateneo milanese. Dal 1984 – anno in cui gli fu regalato il primo computer – ha tenuto i contatti con gli ambienti hacker nazionali e internazionali, incontrandone gli esponenti e studiandone l’evoluzione. Ha dedicato a quegli anni un saggio (Hacker – Il richiamo della libertà, Marsilio, 2011) e due thriller (L’ultimo hacker, Marsilio, 2012, e La rete ombra, Marsilio, 2018). Avvocato e pubblicista, è laureato in Giurisprudenza presso l’Università di Modena e dottore di ricerca presso l’Università di Bologna. I suoi ultimi lavori sono sull’uso delle tecnologie in politica (Tecnologie per il potere, Raffaello Cortina, 2019), sulla resistenza elettronica (Resistance, Liberation Technology and Human Rights in the Digital Age, Springer, 2012), sulla società controllata (Internet, controllo e libertà, Raffaello Cortina, 2015), sulle espressioni d’odio (L’odio online, Raffaello Cortina, 2016) e sulla morte digitale (Il Libro Digitale dei Morti, UTET, 2017). Ha pubblicato articoli scientifici in Italia, Europa e Giappone e monografie con i più importanti editori nazionali e internazionali. Dirige una rivista scientifica, “Ciberspazio e Diritto”. Organizza da anni i percorsi formativi informatico-giuridici in occasione del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.